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Bergamo segreta

Il paradiso delle formiche: la riserva naturale dei Boschi del Giovetto di Paline

A cavallo fra la Val di Scalve e la Val Camonica, il parco rappresenta il centro nevralgico per una specie come la Formica rufa, conosciuta comunemente come formica rossa.

La riserva naturale dei Boschi del Giovetto di Paline è un piccolo paradiso incastonato fra le Orobie.

Posto a cavallo fra la Val di Scalve e la Val Camonica, il parco rappresenta il centro nevralgico per una specie come la Formica rufa, conosciuta comunemente come formica rossa.

All’ombra degli esemplari di abeti rossi e bianchi che coprono le fasce più basse è infatti probabile incontrare strane “cupole” composti da aghi di conifere, ramoscelli e grani di terra che nascondono una serie di cunicoli comunicanti destinati ad ospitare i nidi degli insetti.

In grado di ospitare fra le duecento e le cinquecentomila formiche, questi cunicoli  hanno il potere di proteggere i formicai dalle intemperie e dal calore del sole, offrendo così le condizioni ideali per poter difendere la regina e deporre le uova.

Capaci di superare il metro di diametro e di raggiungere un’altezza media di sessanta centimetri, questi acervi appaiono particolarmente animati nel corso della bella stagione, quando schiere di operaie si prestano a compiere diverse azioni fra le quali la cura della prole, la pulizia delle celle e delle gallerie oltre che ad offrire aiuto alla regina e a realizzare alcune aperture nel caso in cui la temperatura aumentasse eccessivamente.

Discorso inverso invece nella stagione fredda, quando la temperatura interna si abbassa fino a dieci gradi centigradi spingendo così le formiche a trasferirsi più in profondità e ridurre al minimo la propria attività.

A caratterizzare la storia dell’area vi era in passato anche la produzione del carbone di legna attraverso dei piccoli forni naturali chiamati “poiàt”.

Posizionate su uno spiazzo libero da radici e sassi, queste cataste venivano realizzate tramite il posizionamento al centro di un bastone alto circa due metri e mezzo attorno al quale veniva creata una sorta di incastellatura utilizzato come condotto centrale.

Dopo aver posto attorno ad essa pezzi di legno di varie dimensioni, il “poiàt” veniva coperto prima con uno strato di fronde e poi con uno di terriccio affinché venisse impedita la fuoriuscita di aria.

L’accensione avveniva inserendo nel condotto alcuni ramoscelli già in combustione offrendo così la possibilità di far propagare internamente il fuoco e dare via così al processo di carbonizzazione con la chiusura definitiva del camino.

Per completare l’operazione i carbonai aprivano alcune buche nel mucchio così da liberare il fumo in eccesso che, a processo completato, cambiava colore divenendo turchese.

Nonostante l’avanzare della modernità abbia modificato in parte l’ambiente e le tradizioni, la riserva naturale dei Boschi del Giovetto di Paline ha conservato intatto tutto il proprio fascino offrendo così la possibilità di scoprire un periodo ormai dimenticato.

Fonti

Gianandrea Rota, Moris Lorenzi; Aree protette della provincia di Bergamo; Bergamo; Provincia di Bergamo; 2008

Moris Lorenzi, Renato Ferlinghetti; Rete natura 2000: i siti di importanza comunitaria in provincia di Bergamo; Bergamo; Provincia di Bergamo, Servizio aree protette; 2006

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