“Avevo 26 anni. Quel concerto fu di fatto il mio debutto. Ricordo l’emozione di stare su quel palco e la paura che provavo prima di suonare”.
Era il 1970 e un ragazzo della provincia di Bergamo era stato chiamato insieme al quartetto di cui faceva parte ad aprire una serata del festival jazz. Su quello stesso palco, quella sera si sarebbero esibiti i più grandi. Per quel giovane musicista era un’occasione d’oro. Quello che allora non poteva sapere è che un giorno il suo nome sarebbe stato utilizzato dall’Enciclopedia Treccani per spiegare il senso della parola jazz. Sono passati tantissimi anni, ma il cuore di Gianluigi Trovesi, il più internazionale tra i jazzisti orobici, rimane lo stesso. Come tale rimarrà il legame con Bergamo Jazz, la rassegna della Fondazione Teatro Donizetti dedicata alla musica afroamericana.
Di quel famoso debutto Trovesi parla durante un progetto voluto dalla stessa fondazione e affidato a Roberto Valentino, giornalista e addetto stampa di Bergamo Jazz e della stagione di Prosa e Altri Percorsi. Sarà una serie in video streaming in cinque puntate dedicate ai momenti iconici del festival.
La prima puntata, alle cui registrazioni abbiamo assistito noi di Bergamonews, sarà incentrata sugli esordi del festival. Non poteva che esserci il maestro Trovesi a fare gli onori di casa. Ci sarà inoltre Guido Conti, architetto appassionato di musica, che ha seguito tutte le edizioni della rassegna dal 1969 ad oggi. “Quale festival non vorrebbe avere un fedelissimo spettatore come lui? – commenta Roberto Valentino – La sua presenza nella serie è un omaggio a tutto il pubblico di Bergamo jazz, senza il quale non esisterebbe”.
Non potrà di certo mancare una puntata dedicata ai due concerti iconici del festival, quello del 1973 con Keith Jarrett e del 1974 con l’Art Ensemble of Chicago che vedrà la presenza del fotografo Roberto Masotti, i cui scatti fecero il giro del mondo contribuendo a diffondere il nome della Bergamo che fa cultura.
In attesa di poter tornare ad ascoltare dal vivo la musica, nelle date di giugno già annunciate dalla Fondazione (https://www.bergamonews.it/2021/04/29/teatro-donizetti-in-festa-il-28-maggio-si-riapre-al-pubblico-dopo-il-restauro/437774/), questa serie allevierà l’attesa dei più affezionati jazz fan.
Roberto, ci racconta il Bergamo Jazz Festival?
Per me è il festival del cuore, grazie al quale ho scoperto il jazz dal vivo. Ricordo ancora il mio primo concerto da spettatore. Era il 1972: da quel momento non ho più abbandonato il jazz. Poi, dopo molti anni mi sono ritrovato a lavorare nello staff di Bergamo Jazz e ancora ci lavoro. Per tutti Bergamo Jazz è una delle rassegne dedicate a questo genere musicale più importanti in Italia e non solo.
Dopo tutte le edizioni a cui ha assistito, è cambiata la sua percezione della jazz?
No. È rimasta la stessa. Proprio grazie a Bergamo Jazz e anche a tutti gli altri festival a cui ho assistito o mi sono trovato a lavorare. Parlando del festival di Bergamo, è stato aperto a tutto il mondo jazzistico, dalla tradizione alle avanguardie. Tutt’ora guardo la musica in questo modo, come un universo molto frastagliato, una somma di tanti linguaggi. Benchè il jazz sia una musica che idealmente unisce i popoli, culture e colori diversi, è anche una musica divisiva, nel senso che al suo interno c’è sempre stato un dibattito molto accesso.
Quali sono i concerti che ricorda maggiormente nella storia del festival?
Sicuramente quello del 1974 dell’Art Ensemble of Chicago. Quel concerto divise il pubblico e la critica, ma io ne rimasi stregato. Fui illuminato sulla via della grande musica nera. Forse non dovrei dirlo, ma lo faccio ugualmente: di quel concerto conservo gelosamente la registrazione che feci dalla prima galleria e che allora effettuai con un registratore portatile. Ancora oggi, quando la riascolto rimango profondamente coinvolto.
Il teatro Donizetti e la musica jazz: come è nato questo legame?
In generale, il merito di aprire il teatro alla musica jazz è stato di Dizzy Gillespie, grandissimo trombettista, figura chiave del bebop. Per quanto riguarda il festival, l’intuizione di crearlo spetta alla azienda autonoma del turismo. Nel 1969, alla prima edizione, il pubblico fu scarso. Ma poi la rassegna esplose, anche per il collegamento ai movimenti giovanili dell’epoca. Per alcuni anni il festival venne trasferito al palazzetto dello sport, l’unico luogo in grado di contenere migliaia di persone, pur avendo una acustica discutibile. Poi, per diversi anni, il festival non c’è più stato, fino a quando nel 1991 il Comune di Bergamo e Il teatro Donizetti decisero di farlo rinascere.
Quale sarà il futuro del festival?
Non posso prevederlo e ovviamente non sono io a prendere decisioni in merito, ma mi auguro che possa continuare a radicarsi nel tessuto sociale e culturale di Bergamo. L’impronta rimane quella data nel 1969: testimoniare, riflettere le tendenze del jazz del momento in cui si vive. Per fortuna, a differenza di quello che dicono alcuni, il jazz è una musica viva e dinamica.
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