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L'ex magistrato

Caso Grillo, Carmen Pugliese: “I processi si celebrano nei tribunali, si abbia rispetto della Giustizia”

Dopo il video di Beppe Grillo che chiede di non condannare suo figlio Ciro (accusato di violenza sessuale), abbiamo chiesto un intervento a Carmen Pugliese, già magistrato alla Procura di Bergamo dove ha affrontato per anni procedimenti e processi per vittime di violenze sessuali.

Ciro Grillo, figlio di Beppe Grillo, è accusato di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una 19enne. In un video Beppe Grillo afferma la completa estraneità ed innocenza del figlio. Abbiamo chiesto a Carmen Pugliese, già magistrato alla Procura della Repubblica di Bergamo, di commentare questo intervento di Grillo. 

In relazione al video/intervento di Beppe Grillo mi astengo doverosamente da ogni valutazione di carattere politico (in quanto proveniente da leader politico) o di carattere morale (in quanto proveniente dal padre di un figlio indagato).

Mi astengo anche da ogni valutazione pseudo-femminista sull’attacco alle donne e sull’offesa alla loro dignità perché estranee al ruolo che per anni ho svolto, peraltro proprio in questo settore.

Mi limito ad osservare solo le inesattezze giuridiche e procedurali presenti in quel video-intervento.

Partiamo dal presupposto indiscutibile che Ciro Grillo è persona innocente finché il Presidente del Tribunale che lo giudicherà si alzerà pronunciando la sua sentenza “In nome del popolo italiano” è quella sentenza sarà definitiva all’esito dei tre gradi di giudizio.

Sarà in un’aula di Tribunale che si formerà la prova in ordine alla colpevolezza e innocenza di quella persona e dei suoi coimputati.
Sarà l’accusa a presentare gli esiti delle indagini svolte sottoponendole al vaglio del giudice e sarà la difesa (gli avvocati e non un congiunto dell’imputato) a evidenziare le la une o le contraddizioni del materiale probatorio fornito dal pubblico ministero.

È pur vero che di recente l’esposizione mediatica sulle indagini di rilievo è forte, ma il dibattito mediatico deve essere sempre e solo un momento di riflessione, di discussione sul tema oggetto dell’indagine, ma mai diventare affermazione anticipata di colpevolezza o innocenza.

Si parla di video e foto relativi al presunto stupro; sarà il Giudice, alla cui visione saranno sottoposti, a stabilire se gli stessi documentino una violenza sessuale di gruppo o un gioco di ragazzi in preda ad euforia alcolica o festaiola.

Nell’intervento di Grillo si pone l’accento sulla tardività (secondo il personale parametro temporale dell’autore) della denuncia.
Ma si dimentica un dato importante: che il termine temporalmente dilatato per la presentazione di una denuncia per violenza sessuale è stabilito dal nostro ordinamento che dai sei mesi inizialmente fissati dall’art. 609 septies CP lo ha esteso, con l’entrata in vigore della normativa relativa al cd codice rosso, ad un anno.
E la “ratio” dell’ampiezza di questo termine è legata proprio alla particolare condizione della vittima.
Denunciare di essere stata vittima di uno stupro non è come denunciare di essere stati rapinati o derubati.

La denuncia di uno stupro investe la propria sfera più intima ed è necessaria una profonda e non affrettata riflessione della vittima prima di esporla all’attenzione degli inquirenti prima e dei giudici dopo.

Non tutte le donne possono avere la forza e il coraggio di raccontare ad un Tribunale (sia pure in un processo celebrato a porte chiuse) quanto hanno subito, riferire le parti del proprio corpo violate e le sopraffazioni psicologiche subite.
E l’ampiezza del termine per denunciare è in stretta correlazione con la irrevocabilità della querela; proprio perché non è più consentito fare “un passo indietro” quella denuncia deve essere il frutto di una decisione maturata e consapevole.

Proprio per questi motivi il termine in cui la denuncia è presentata non deve essere un parametro di valutazione dell’attendibilità della vittima che in linea di principio (fatti salvi gli altri elementi di valutazione) è uguale sia che denunci il fatto dopo un’ora o dopo 11 mesi e giorni.
Oggetto della valutazione del Giudice non sarà il termine in cui ha denunciato ma la coerenza del suo racconto, la sua attendibilità intrinseca, il suo comportamento e i riscontri a quel racconto, attraverso le testimonianze “de relato” di chi ha ricevuto quel racconto prima degli inquirenti.

L’intervento/video di cui parliamo ha avuto poi l’effetto di dimostrare a chi, non frequentando le aule di giustizia e quindi ignorando che cosa accade, che in questi procedimenti c’è solitamente una inversione netta dei ruoli: la colpevolizzazione della vittima e la vittimizzazione del responsabile.

Pugliese
L'ex magistrato Carmen Pugliese

Si cerca in questi processi di sottoporre ad una sezione quasi chirurgica il racconto della vittima, per evidenziarne le crepe e le contraddizioni. Anni e anni di questi procedimenti me lo hanno dimostrato.
Si fanno valutazioni pseudo moralistiche sul comportamento, sull’atteggiamento e sull’abbigliamento della vittima.
Si tende in tutti i modi di evidenziarne il consenso al rapporto sessuale.
Il ruolo del difensore in questo tipo di processi (come in tutti peraltro) merita profondo rispetto perché la difesa dell’imputato è un diritto costituzionalmente garantito ma deve trovare lo sbarramento necessario del rispetto della vittima, della sua sfera fisica e psichica.
In tutti questi dibattimenti, nel mio ruolo di pubblico ministero, nell’oppormi a quelle domande che quel rispetto travalicavano, non mancavo di far garbatamente notare l difensore che stavamo “processando” il suo assistito e non la vittima, la cui deposizione doveva solo essere valutata.

È indubbio che la trattazione di questi procedimenti è difficile ed estremamente delicata e deve contemperare il doveroso accertamento della colpevolezza o innocenza dell’imputato con il rispetto della vittima.
“Processare” la seconda per “assolvere” il primo non risponde certamente a quell’esigenza di giustizia e verità e corretto esercizio del proprio ruolo che tutti auspicano e che deve portare ad affermare la colpevolezza dell’imputato solo quando questo sia dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio.

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