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Storia delle epidemie - 21

La peste russa, le ribellioni e il generale che “salvò Mosca dai guai”

Nel 1772 a Mosca regnava il panico: i cadaveri giacevano per le strade e la polizia non aveva abbastanza mezzi di trasporto per l’asportazione dei malati e dei morti...

L’epidemia di peste negli anni 1770-1772 fu l’ultima di questa malattia in Europa, e arrivò a Mosca attraverso l’Ucraina e la Moldavia durante una delle campagne russo-turche, causando una terrificante mortalità in città, nonché anarchia, panico e sommosse. Il conflitto, iniziato nell’anno 1768, ha coinvolto due grandi potenze: l’Impero turco ottomano, di religione islamica e l’organizzazione politica di un califfato, e la Coalizione ortodossa, guidata dall’Impero russo. Gran parte del conflitto ha avuto luogo nei Balcani e nel Caucaso, dove ci sono stati piccoli e regionali focolai di peste, molto probabilmente a causa delle terribili condizioni di vita che solitamente una guerra provoca. La peste si diffuse poi a Mosca insieme ai soldati di ritorno dalle ostilità, così come attraverso bottini di guerra e merci. C’è da ricordare che nel XVIII secolo la capitale della Russia era San Pietroburgo.

Nel novembre 1770 all’ospedale generale di Mosca morì un ufficiale recentemente tornato dalla guerra, subito dopo morì anche il suo medico curante. Successivamente di peste morirono 22 persone delle 27 che si trovavano in ospedale. Il medico primario Afanasy Shafonskij fu il primo a diagnosticare una “pestilenza” e lo riferì alle autorità.

Il secondo grande focolaio di diffusione della malattia fu la “Grande manifattura del tessuto” a Zamoskvorechye, un quartiere storico a Mosca, situato sul lato opposto del fiume Moscova dove si trova il Cremlino. Dall’1 al 9 marzo 1771 in fabbrica morirono 130 persone. Dopo di che la manifattura fu chiusa e gli operai furono trasferiti fuori città, dove furono messi in quarantena. Inizialmente, il governo rassicurava i residenti affermando che la malattia non fosse così pericolosa, ma dopo il secondo scoppio dell’infezione, il comandante in capo di Mosca Peter Saltykov informò l’imperatrice Caterina II della comparsa di una pericolosa malattia.

Le misure preventive furono però prese troppo tardi. L’approntamento degli edifici di quarantena non fu tempestivamente fatto, a causa della sfiducia della popolazione negli ospedali e nei medici, che erano per la maggior parte stranieri. La gente, inoltre, credeva che nessuno di quelli messi in quarantena rimanesse vivo. La peste colpiva principalmente la gente povera, i lavoratori delle fabbriche e delle manifatture, che vivevano assembrati e in condizioni insalubri. La situazione igienica, nella Mosca della seconda metà del XVIII secolo, contribuì alla diffusione della mortale malattia: spazzatura e immondizie varie non venivano asportate, ma gettate nelle strade e sgrondate nei ruscelli e fiumi. Il picco dell’epidemia si è verificò tra il luglio e il novembre 1771: più di mille persone morirono ogni giorno. I cadaveri venivano gettati in strada o segretamente sepolti in giardini, orti o scantinati.

Le autorità di Mosca non uscivano dalle loro case oppure scappavano dalla città. Dopo la partenza dei funzionari, la direzione del presidio moscovita passò al generale Peter Eropkin. Il suo compito principale era quello di frenare l’epidemia, in modo che la peste non potesse raggiungere la capitale, che non arrivasse quindi a San Pietroburgo. Eropkin ordinò di non far entrare o uscire nessuno da Mosca. Su ordine di Caterina II, nel 1772 fu costituita una commissione per studiare le cause della diffusione della peste a Mosca, così come lo sviluppo di misure per combatterla. Tra le prescrizioni c’era l’isolamento forzato di persone affette da peste e con sintomi simili: si tenevano in quarantena dai 20 ai 40 giorni, tuttavia senza molta supervisione. Gli effetti personali dei morti di peste venivano bruciati.

A Mosca regnava il panico: i cadaveri giacevano per le strade e la polizia non aveva abbastanza mezzi di trasporto per l’asportazione dei malati e dei morti. Questo lavoro fu affidato ai mortus (dal latino mortuus), detenuti vestiti in abiti impregnati di catrame con buchi per gli occhi e la bocca, che raccoglievano i morti con ganci speciali. Tra la popolazione che soffriva di peste, fame, disoccupazione, apparvero appelli alla ribellione: i primi focolai di malcontento di massa iniziarono il 29 agosto e il 1° settembre a Lefortovo, quartiere storico nella parte sud-est di Mosca.

Altri si rifugiarono nella religione, credendo che l’icona della Madre di Dio di Bogoliubov fosse miracolosa e che li avrebbero protetti dalla peste. Una replica dell’icona dei tempi di Pietro I si trovava sopra la Porta Barbarica del Kitaj-gorod, un quartiere storico dei mercanti della città. Una marea di persone iniziarono a precipitarsi lì per pregare e portare le donazioni. L’arcivescovo di Mosca Ambrogio, rendendosi conto che l’accumulo di persone contribuiva alla diffusione dell’infezione, proibì le preghiere e ordinò che l’icona venisse rimossa. I soldi donati furono sigillati perché potevano essere fonte di infezione, ma molti pensarono che l’arcivescovo si fosse preso le donazioni. Il 15 settembre 1771 iniziarono le devastazioni: diverse migliaia di persone, armate di clave, mannaie, pietre e pali, irruppero nel Monastero Čudov al Cremlino e lo saccheggiarono.

Il giorno dopo, ancora più persone ribelli uscirono per le strade di Mosca e alcuni di loro si spostarono verso il monastero Donskoy, presso il quale si rifugiò l’arcivescovo. Dopo che il monastero fu preso d’assalto, la folla trovò Ambrogio e lo uccise brutalmente. Un’altra parte della folla andò a distruggere gli isolamenti di quarantena e gli ospedali. In uno degli ospedali, i ribelli attaccarono il famoso dottore e fondatore dell’epidemiologia russa Danilo Samoilovič, ma lui si salvò miracolosamente. Nello stesso giorno, il generale Eropkin introdusse le truppe armate in città e la cavalleria abbatté i ribelli che erano all’interno del Cremlino. Dopo tre giorni di combattimenti, la ribellione fu soppressa e, secondo i dati di allora, furono uccise circa 100 persone.

Eropkin inviò a Caterina II un rapporto, chiedendo perdono per lo spargimento di sangue a Mosca e la richiesta di accettare le sue dimissioni dall’incarico. In risposta l’imperatrice gli mandò l’accettazione delle sue dimissioni ma senza data, dandogli così l’opportunità di decidere se ripensarci. Infatti, al posto di punirlo, lo premiò con 20 mila rubli (l’equivalente di 15.000 euro di oggi). Con quei fondi in quei tempi sarebbe stato possibile acquistare molti cavalli di razza araba oppure alcune case in Kitaj-gorod, nel quartiere più ricco di Mosca.

Dopo la repressione della rivolta, per ripristinare l’ordine, il governo inviò a Mosca quattro reggimenti di guardia sotto il comando di Grigorij Orlov, un generale e statista russo, favorito dell’imperatrice Caterina II, con “potere illimitato per mettere tutto in ordine”. A Mosca iniziarono le incursioni e gli arresti. Giova qui ricordare che l’Europa stava vivendo il “secolo dei lumi”, che aveva alla base un movimento, essenzialmente intellettuale e borghese, che voleva essere portatore della luce della conoscenza e per questo denominato Illuminismo. Fra le sue grandi caratteristiche vi era proprio una feroce rivalità contro tutti i tipi di nobiltà e una colossale avversione per il sistema monarchico.

Per ordine dell’imperatrice rimossero il battacchio della campana d’allarme Spasskij sulla Torre campanaria per impedire nuovi tentativi di sommossa: i ribelli, infatti, usavano la campana per riunire le persone nelle strade e nelle piazze. La campana fu poi interamente rimossa e conservata nel museo d’Armeria del Cremlino dal 1821.

Il conte Orlov elaborò un piano di misure per sopprimere l’epidemia e pose ai dottori le seguenti domande: come avviene l’infezione, per via aerea o dal contatto con l’infetto? Quali sono le misure preventive contro la malattia? Quali sono i modi per trattare l’infezione? Per combattere l’epidemia, Orlov ordinò l’apertura di nuove quarantene, la costituzione di ospedali specializzati per le malattie infettive, un aumento del numero di ospedali di medicina generale e un aumento degli stipendi per i medici.

La città fu divisa in 27 zone, dove su ognuna fu effettuata la contabilità e l’isolamento dei pazienti, così come la sepoltura dei morti. In caso di dimissione dalla quarantena fu offerto supporto economico: agli uomini davano 15 copechi (l’equivalente di 1 euro di adesso) per ogni giorno di permanenza in quarantena, alle donne venivano dati 10 copechi. Agli uomini sposati che venivano dimessi dall’ospedale veniva versata la somma di 10 rubli (circa 70 euro), ad un celibe invece 5 rubli. Questa misura diventò il modo più efficace per far rispettare i divieti più severi, e per attrarre le persone in quarantena, e così combattere la peste. A proposito, lo stipendio mensile di un lavoratore era di 15 rubli.

L’epidemia servì anche a migliorare la situazione sanitaria ed epidemiologica a Mosca: furono aperti nuovi bagni (terme), le piazze furono liberate dalle vecchie costruzioni, le strade furono pulite, le case furono disinfettate e gli animali randagi furono eliminati. Orlov personalmente visitava le strutture ospedaliere controllando la qualità del trattamento dei pazienti.

Man mano che la vita lavorativa della città riprendeva tornarono le consegne di cibo ed acqua potabile. Nell’inverno l’epidemia di peste andò in declino: a settembre di questa malattia morirono circa 21.500 persone, nel mese di ottobre, 17.500, a novembre 5.200, e nel mese di dicembre 805 persone.

Le azioni di Orlov per combattere l’epidemia e ristabilire l’ordine a Mosca furono molto apprezzate e premiate dall’imperatrice. In suo onore venne organizzata una grande festa presso il palazzo di Caterina a Tsarskoe Selò. Nel parco di Caterina fu eretto l’arco di trionfo di marmo (Porta di Orlov) con la scritta “Orlov salvò Mosca dai guai”, progettata dall’architetto napoletano Antonio Rinaldi che lavorò per tanti anni a San Pietroburgo.

Al termine della pestilenza, potrebbero essere morte fino a 100.000 persone. Anche dopo la fine della peste, l’imperatrice lottò per ristabilire l’ordine. Nel 1773, Yemelyan Pugachev, un uomo che sosteneva di essere Pietro III (il marito giustiziato di Caterina), guidò un’insurrezione che provocò la morte di altre migliaia di persone.

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