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Roberta Villa: “Ecco perché il piano pandemico italiano era fermo al 2006”

La dettagliata spiegazione della giornalista e divulgatrice scientifica bergamasca, che rivela anche un episodio emblematico: le risate di un funzionario al ministero ai primi segnali del Covid di fronte alle sue domande

Perché il piano pandemico italiano era fermo al 2006? Ma soprattutto, per quale motivo a inizio pandemia, nel gennaio 2020, seppur vecchio non è stato subito attuato nel nostro Paese? Se lo stanno chiedendo i magistrati della procura di Bergamo che indagano sulla gestione dell’emergenza sanitaria nella nostra provincia e, indirettamente, anche nell’intero territorio italiano.

Domande a cui prova a rispondere la giornalista e divulgatrice scientifica bergamasca Roberta Villa, laureata in medicina e chirurgia.

L’esperta parte da un’analisi sui virus dei primi anni Duemila: “Dal 2005, in seguito alla diffusione di Sars e aviaria, il mondo della sanità si è attivato a livello mondiale per affrontare le pandemie. In quegli anni sale la paura, si inizia a capire che ci può essere una minaccia. Si comincia a parlare di vaccini e antivirali, e i Governi si preoccupano di procurarseli. L’aviaria alla fine non arriva all’uomo perchè le mancano quattro o cinque mutazioni, che tra l’altro non sono molte, ma per quelle scorte preventive i Governi vengono accusati di aver favorito le aziende farmaceutiche. Oggi invece ci rendiamo conto che se ne avessimo avuto uno contro il Covid…”

Dopo il mancato pericolo aviaria si guarda avanti, ma non troppo… “La gente continua a vivere normalmente. La situazione cambia dopo il 2009 con la dichiarazione di pandemia per l’influenza suina dell’allora direttrice dell’Oms Margaret Chan, che permette di iniziare a produrre i vaccini. Ne vengono sprecati molti e nella società scatta l’effetto ‘al lupo al lupo’. Così nel 2010 scema un po’ il timore: nessuno allora credeva che saremmo arrivati alla situazione attuale. Per questo motivo il piano pandemico italiano risale al 2006. Dal 2005 tutti i Paesi sono chiamati a redigere un piano pandemico e l’Italia predispone il suo. Ma dopo l’influenza suina non è stato più all’ordine del giorno”.

Alla fine tutti i nodi vengono al pettine: “Il Progetto europeo di consultazione Asset ha evidenziato la povertà di quel piano. Non solo non è stato aggiornato, ma era poco preciso. Fatto all’italiana, con tante chiacchiere e poca sostanza. In più avevamo il fattore regioni. In linea teorica avrebbe potuto anche essere vago, perchè poi ogni regione avrebbe fatto il suo in base alle proprie esigenze, ma ciò non è mai avvenuto. Non c’era la percezione di quanto sarebbe stato importante”.

Si arriva così ai giorni nostri, e la dottoressa Villa ricorda un episodio abbastanza emblematico: “A fine gennaio dello scorso anno ero al Ministero a Roma perchè facevo parte dell’organismo di consulenza tecnica sulle vaccinazioni. Si parlava di questo nuovo coronavirus. Mi sono avvicinata a un funzionario che conoscevo, uno che è già stato ascoltato dai pm di Bergamo, e gli ho chiesto del piano pandemico da attuare. Lui mi ha riso in faccia dicendomi che si trattava di una sciocchezza. Qualche settimana dopo, invece, un’altra persona, con responsabilità a livello regionale, non era al corrente dell’importanza di un piano pandemico e lo riteneva utile solo per le vaccinazioni”.

“Quindi – conclude – è vero che il piano non è più stato aggiornato da Ranieri Guerra. E non solo da lui, ma anche da chi l’ha preceduto nel corso degli anni, ministri compresi. Il problema, in generale, più che la cattiva volontà, era proprio la mancata percezione della gravità della situazione e del fatto che potessimo arrivare a una devastazione del genere, memori di come era andata a finire nel 2009 con la suina”.

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