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I dettagli

Bergamo, le mani della ‘ndrangheta sul trasporto della frutta: tir bruciati e minacce dietro ai 13 arresti video

Quello del dicembre 2015 per il quale sono in corso due processi non fu l'unico rogo alla Ppb di Seriate: uno con modalità simili ci fu quasi due anni prima, sempre con agganci mafiosi e vendette. In carcere anche una coppia bergamasca

Quello del 6 dicembre 2015 per il quale sono in corso due processi non fu l’unico incendio alla Ppb Trasporti di Seriate. L’azienda specializzata nel trasporto della frutta ne aveva subìto uno con modalità simili quasi due anni prima, nel febbraio del 2014.

Quel primo rogo è al centro dell’operazione dei carabinieri del Comando provinciale di Bergamo, coordinata dalla procura distrettuale antimafia di Brescia, che all’alba di giovedì ha portato all’arresto di 13 persone, 8 rinchiusi in carcere (di cui 7 già detenuti) e 5 finiti ai domiciliari, accusate a vario titolo di estorsione, usura, detenzione illegale di armi da fuoco, riciclaggio e autoriciclaggio di denaro e bancarotta fraudolenta.

Tra loro anche una coppia bergamasca, Francesca Puglisi, 52 anni, e Antonio Settembrini, 57, titolare proprio della Ppb. Secondo quanto ripercorso in aula nel corso del processo, a organizzare l’agguato della notte tra il 5 e il 6 dicembre 2015 in cui presero fuoco 14 autoarticolati fu Giuseppe Papaleo, calabrese di 50 anni con residenza negli Emirati Arabi e domicilio a Predore. L’obiettivo era quello di danneggiare la società seriatese per fare in modo che la Sab Ortofrutta si affidasse a lui e all’azienda della sua compagna, la Mabero Spa di Bolgare.

Per tutta risposta, Settembrini si sarebbe rivolto a un gruppo di calabresi legati alla cosca reggina dei Tegano-Stefano, guidato da Carmelo Caminiti (morto da detenuto a settembre) chiedendo loro di minacciare Papaleo.

Un copione già visto nel febbraio 2014, emerge ora. In quell’occasione Settembrini avrebbe contattato, sempre per intimorire Papaleo che gli aveva mandato in fiamme altri mezzi, uomini appartenenti al clan “Arena” di Isola di Capo Rizzuto (KR), che avrebbero minacciato il rivale, imponendogli un numero limitato di clienti, al fine di avere il controllo sul trasporto frutticolo.

Il blitz di giovedì mattina all’alba, seconda parte di quello del dieci febbraio con quattro fermi, ha portato all’arresto anche degli esecutori materiali di quel secondo incendio. Oltre alla coppia bergamasca (di origini lucane), gli altri sono di Crotone e provincia. Secondo le accuse avevano messo in piedi un sistema di estorsioni nel campo dei trasporti di merce, oltre a realizzare un meccanismo di false acquisizioni societarie, fallimenti fraudolenti, fornitura di prestiti a tasso usuraio e reimpiego di capitali illeciti.

Gli uomini del clan calabrese inoltre, con la complicità di Settembrini, avevano organizzato un complicato sistema di acquisizione fittizia di una ditta di trasporti, per poter operare in prima persona all’interno del settore e, soprattutto, riciclare soldi provento di attività illecite. Società che poi, successivamente, veniva fatta fallire in maniera fraudolenta.

Ma non solo estorsioni perchè i fermati avevano creato in Bergamasca un sistema di prestiti con tasso usuraio e, in un caso specifico, dopo un prestito elargito a un imprenditore, avevano ottenuto, in maniera sproporzionata rispetto a quanto prestato, la parte di una vendita di un immobile, venduto a un prezzo totalmente fuori mercato.

I carabinieri hanno accertato poi che uno degli indagati aveva acquistato gli immobili in questione, già di proprietà di un esponente di spicco della cosca “Grande Aracri”, detenuto in carcere, utilizzando proventi illeciti derivanti dalla produzione di false fatture per operazioni inesistenti, il tutto per ostacolare le indagini a carico di quest’ultimo e occultarne la provenienza illecita.

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