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L'imprenditore regonesi

Crisi Italia-Turchia, “Io, bergamasco, lavoro qui: spero che i rapporti tornino ottimali”

Dopo le dichiarazioni di Mario Draghi contro il premier Erdogan è nata una crisi diplomatica con ripercussioni sulle nostre aziende. Abbiamo sentito Giuliano Regonesi, imprenditore bergamasco che ha una società ad Istanbul.

Giuliano Regonesi, classe 1964, è un imprenditore bergamasco che lavora in Turchia. È amministratore delegato della Noor Techology, un’azienda ad alta tecnologia che ha sede a Istanbul e dà lavoro a 120 persone, provenienti da 11 paesi diversi, di questi circa l’80 per cento è laureato in ingegneria e biologia.

Lo abbiamo sentito dopo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, che nel corso di una conferenza stampa ha definito il premier turco Erdogan “un dittatore”. Ne è scaturito un incidente diplomatico che non si è ancora  risolto. Anzi, per ritorsione la Turchia ha deciso di sospendere alcuni ordini di prodotti italiani.

Dottor Regonesi, crede che il Presidente del Consiglio italiano sia stato troppo incauto con quelle dichiarazioni?

Penso che Draghi abbia voluto esprimere un concetto diverso, sicuramente tra le massime cariche di Governo le parole debbano essere pesate. In ogni caso ritengo che si debba rispettare la scelta di un popolo, una volta che le elezioni siano regolari. Tante volte quelli che noi chiamiamo errori sono solo incomprensioni.

Crede che Mario Draghi abbia mancato di diplomazia non considerando i passi che l’Europa sta facendo nei confronti della Turchia?

Le affermazioni sono in contrasto con la linea europea di trovare formule di accordo con la Turchia. Penso che il significato della diplomazia sia quello di trovare accordi e soluzioni. Non dimentichiamo che la Turchia è una grande nazione, con una storia importante e spesso intrecciata con la nostra. È anche strategica (la sua appartenenza alla Nato lo dimostra). Spesse volte i politici non dicono quello che sentono, ma quello che vogliono far intendere, al diretto interessato o ad altri.

Gli affari sono sempre affari con chiunque, o a volte l’etica può far saltare certi accordi economici?

Difficile conciliare questi due aspetti, ma sembra di notare che la parte economica abbia in genere il sopravvento. Da italiano in Turchia spero che tutto possa essere chiarito e si possa ritornare ad un rapporto, a livello governativo, ottimale. Per quanto riguarda i rapporti con le persone, le posso assicurare che gli italiani sono apprezzati e siamo considerati fratelli mediterranei.

Perché ha deciso di aprire la sua azienda in Turchia?

La nostra è un’azienda ad alta tecnologia, e qui ho le condizioni (ed i costi) più favorevoli. Nella ricerca investiamo più del 50%. Le università locali, con cui collaboriamo, hanno tutte uno standing internazionale, e sono molto propense alla collaborazione con le imprese private.

Lei riunisce diverse nazionalità tra i suoi dipendenti: è una scelta precisa?

Certamente. Non penso che la tecnologia o la scienza siano esclusivamente patrimonio di un paese. Non collaborare con il maggior numero di nazioni possibile non mi permetterebbe di avere una visione completa della nostra area di studio. Inoltre avere collaboratori di molte nazionalità ci permette di avere scambi di ricerche e di opinioni. Anche personalmente è una cosa che mi ha arricchito molto.

Come nasce questa passione per la Turchia?

Ho iniziato a lavorare all’estero nel 2005 circa, ma in modo definitivo 6 anni fa, andando in Qatar, dove con un partner locale abbiamo realizzato una fabbrica. Tre anni fa, sempre con il mio partner qatarino, sono venuto ad Istanbul, e da allora mi sposto tra Turchia, Qatar e Paesi del middle e far East. Da un anno abbiamo fondato la Noor Teknoloji, che attualmente occupa più di 120 persone ed è focalizzata nella ricerca e sulla progettazione di attrezzature che possano migliorare la qualità dell’aria in genere, ed in particolare la riduzione di patogeni come virus e batteri. Stiamo ottenendo ottimi risultati qui e in molti Paesi vicini (Azerbajian, Kazahstan, Iraq, etc). In Europa stiamo cominciando ora a farci conoscere, e mio figlio Gabriele si occupa del mercato italiano. Spero che presto molti italiani possano collaudare le nostra apparecchiature per difendersi da ogni tipo di virus in aeresol (efficaci ed economiche, oltre che totalmente ecologiche). Posso dire che in azienda abbiamo un approccio “bergamasco” che, incredibilmente, è molto simile a quello di molti turchi. Stiamo già lavorando sulla duplicazione del modello di impresa che abbiamo qui ad Istanbul in altri paesi, come Singapore, Nigeria ed il Sud America. Peraltro l’efficacia dei nostri prodotti è ampiamente dimostrata dal fatto che i nostri clienti qui sono ospedali, università, scuole, etc.

Torna spesso a Bergamo?

Sono nato e ho frequentato il liceo a Bergamo e poi mi sono laureato a Milano. Più passano gli anni, più sento nostalgia di Bergamo. È normale, credo, e comunque faccio campagna turistica per promuovere Bergamo e farla conoscere a tutti i miei amici stranieri. Molti sono venuti per vedere la città e tutti ne sono rimasti affascinati. Io stesso cerco di tornare a Bergamo almeno una volta l’anno, ma, per esempio, l’anno scorso, causa Covid, non ho potuto. E ne sono dispiaciuto.

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