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Il sociologo

Addio a Ulderico Bernardi, ha esplorato le migrazioni e raccontato il cambiamento della società

Per anni docente all’Università di Bergamo, è autore di un’impressionante quantità di libri, a testimonianza di una grande molteplicità di interessi. Scrisse testi per alcuni libri fotografici di Pepi Merisio.

Sociologo e acuto analista dei cambiamenti sociali, dai tempi delle migrazioni di popoli – il suo Veneto, ma in generale tutta l’Italia – al passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale, Ulderico Bernardi è morto a 84 anni nella città dove viveva, Treviso.

Storico docente alla prestigiosa università di Ca’ Foscari a Venezia, Bernardi ha tenuto cattedra nelle università di Bergamo e Trieste e alla Statale di Milano. Era un intellettuale con una impressionante poliedricità di interessi: molto preparato e con una capacità di tenersi aggiornato che stupiva. Sapeva leggere in prospettiva i segni dei tempi e – quello che ne accresceva l’autorevolezza, la credibilità e il prestigio – possedeva una lettura intelligente di fatti e protagonisti, contemperando bene passato e futuro. Una delle sue principali e riconosciute doti era proprio quella dell’equilibrio, che veniva dalla conoscenza profonda della storia e dalla misura nei giudizi che dava, spesso anticipandone la traiettoria e l’esito. Nel suo ricco bagaglio professionale, spiccava la saldezza morale, che gli veniva anche dalla terra delle sue radici, il Veneto.

Il popolo delle valigie
e l’entrata nella modernità

Come si insegnava ai tempi, prima di parlare del mondo, bisogna conoscere la propria geografia, territoriale, umana e sociale: Bernardi l’aveva poi sostanziata con studi e ricerche sulle correnti migratorie fino alle Americhe, in particolare il Brasile, ma anche l’Australia, oltre che naturalmente l’Europa.
Giustamente nella sua biografia si legge che i suoi principali interessi riguardavano “il rapporto tra persistenza culturale e mutamento sociale nei processi di sviluppo; le relazioni tra locale e globale; l’educazione all’interculturalità”.

Impossibile elencare i titoli dei libri che ha scritto: forse aveva perso il conto egli stesso, data la sua fecondità produttiva; lo stesso va detto per l’estesissimo intreccio di rapporti che ha costruito e ampliato con i principali nomi della cultura in Italia e fuori. Ha scritto numerosi testi che hanno qualificato libri di documentazione fotografica e tra questi è senz’altro da ricordare la sua lunga e proficua – per entrambi – collaborazione con il fotografo Pepi Merisio, anch’egli morto di recente (il 3 febbraio scorso). Tra i titoli di questo interessante sodalizio: “Oro, incenso e mirra” (uscito in Svizzera con il titolo “Mira il tuo popolo”) e “I mestieri di una volta”.

Nelle stagioni di insegnamento all’Università in Città Alta, Ulderico Bernardi collaborò con “L’Eco di Bergamo” di don Andrea Spada e Gino Carrara. Tra le presenze alle quali teneva, ce n’è stata una in particolare: quella di presidente della giuria del Premio Nonino Risit d’Aur (Barbatella d’Oro), con la sua stella di riferimento, Giannola Nonino e con il regista Ermanno Olmi, ai quali era legato anche da antica amicizia. Non a caso si tratta di un Premio che vuole sottolineare i valori millenari della civiltà contadina “ponendosi a fianco di quelle persone che intendono lottare per la salvaguardia dei tesori alimentari che si vorrebbero anonimamente uniformare”. Va aggiunto che il sociologo e scrittore era un provetto viticoltore e godeva fama anche di eccellente vinificatore: il rito della vendemmia e poi il primo vino novello da assaggiare a San Martino erano giorni di festa, come la tradizione voleva.

L’intuizione della “Comunità come bisogno”

Ho avuto il privilegio e la fortuna della firma di Ulderico Bernardi come editorialista per oltre trent’anni nelle testate di cui sono stato responsabile. Ne ho avuto di giornalisti e scrittori, molti di razza: Ulderico era uno di questi, ma aggiungeva al suo apporto il valore inestimabile e sempre più raro dell’amicizia. Non solo: non ho mai conosciuto un uomo – oltretutto con molteplici impegni quotidiani – più puntuale di lui nella consegna dei suoi interventi. Appassionato come pochi di Edith Stein e di Etty Hillesum, ne irradiava spesso le posizioni nella disanima dello scenario politico e spirituale in ottica europea e oltre.
Nell’elenco di titoli che popolano il suo percorso e nelle molte realtà scandagliate, ce n’è uno che incuriosisce tutti e anche un po’ sorprende: “Cara Piave”, con quell’aggettivo al femminile per un fiume che ha un posto di grande rilievo nella storia d’Italia. Bellissimo – e consigliato – viaggiare alla scoperta di questo fiume, con l’originalità spiegata del genere femminile. Da sociologo ha esplorato in lungo e in largo l’evoluzione (che spesso è involuzione) della comunità e del senso comunitario con le pagine del volume “Comunità come bisogno”: è un itinerario stracarico di intuizioni e indicazioni, uscito 40 anni fa, nel 1981, e tornato di prepotente attualità al punto da essere ripreso e pubblicato nel 2017 con un aggiornamento che conferisce ulteriore attendibilità alla prima versione. L’aggiornamento consiste in buona sostanza nell’incastonatura di vari fatti e nomi che dimostrano quanto fosse in anticipo l’autore nel leggere il “termometro” degli avvenimenti e all’aggravamento di alcuni fenomeni come il terrorismo, il fondamentalismo, la comunicazione, le pseudo comunità proliferate con la rete. Immancabili in ogni opera gli accenti sull’identità e l’appartenenza, che si trovano anche in libri di cultura e storia gastronomica, come “Il profumo delle tavole”, “Stoccafisso e baccalà nel piatto”, “Creaturam vini”.

In genere si è portati a incorniciare la figura dell’intellettuale dentro una nicchia distaccata dalla quotidianità vissuta. Bernardi è stato la smentita di questo approccio. Stare con lui era come entrare in una biblioteca senza avere la fatica di leggere: bisognava solo ascoltare ed era un piacere per il patrimonio di conoscenza che aveva e dispensava, a pranzo o a cena dove si faceva a gara per stargli vicino e apprendere segreti di ricette, camminando o viaggiando con lui o ogni qualvolta contestualizzava l’argomento che aveva svolto o andava a trattare. Non solo, ma onorava anche la maestria dei cuochi ed era un intenditore come pochi, nel concreto e nel gusto, senza sdottorare come amano fare certi luminari sul “colore rubizzo e il retrogusto di fragola o di mirtillo” del vino.

Mancherà a molti Ulderico Bernardi, innanzi tutto alla moglie Adriana, alle figlie e al figlio e a una moltitudine di amici che s’era creato con il suo carattere e i suoi modi. Mancherà al “suo” Veneto e il presidente della Regione, Luca Zaia s’è fatto interprete del doveroso tributo di riconoscenza “per la produzione letteraria, miniera di riflessioni per leggere e comprendere il Veneto e la sua gente”.

Ma mancherà a un incalcolabile numero di studenti, che con lui si sono formati, e di cittadini-lettori che con lui, per decenni, spesso ogni mattina si informavano e imparavano la lettura critica di uomini e storie.

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