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Storia dei vaccini - 3

Le prime scoperte sui batteri: rivoluzione medica e sociale

È con l’olandese Antoni van Leeuwenhoek, nel 1674, che per primo era riuscito ad osservare i movimenti dei piccoli “animalculi”, che avvenne una vera rivoluzione.

Con la “rivoluzione pastoriana”, tratteggiata nella puntata precedente, abbiamo visto le scoperte effettuate da Louis Pasteur: esse sancirono definitivamente il ruolo dei batteri nello sviluppo delle malattie infettive e dei sistemi per neutralizzarli. Portarono altresì alla costruzione di istituti volti allo studio specifico e sistematico dei microorganismi e del loro ruolo nell’insorgenza dei morbi.

Partendo dall’intraprendenza e acutezza del microbiologo francese, si è giunti quindi a un punto di svolta nella storia delle malattie infettive e nella storia della vaccinazione. Ma come siamo arrivati a ciò?

Occorre fare un salto di circa un secolo e poi ancora più indietro, come vedremo, quando, spinti dal successo della variolazione prima e della vaccinazione poi, si era provato, per analogia, a immunizzare contro altre malattie: il dottor Home di Edimburgo aveva tentato con il morbillo già nel 1778, il toscano Eusebio Valli con pus pestoso e saliva di cani rabbiosi (attenuati, a suo dire, con succo gastrico di rane); il francese Auzias-Turenne, seguito dall’italiano Sperino, aveva invece eseguito “sifilizzazioni” su alcune prostitute nel 1850. Tutti questi esperimenti, se si esclude quello del Valli, che comunque non ebbe il seguito sperato, furono ovviamente fallimentari in quanto ai loro propositori mancavano fondate e razionali conoscenze di microbiologia e immunologia che potessero giustificare le pratiche.

La situazione iniziò a cambiare soprattutto dalla seconda metà del 1800, periodo in cui si osservarono i primi batteri in presenza di alcune malattie e dunque si incominciò a pensare a una correlazione causale tra l’esistenza di tali microorganismi e l’insorgenza di una data affezione. Inoltre tali scoperte portarono all’allestimento di veri e propri laboratori in cui si potevano studiare i vari agenti patogeni al fine di capirne le leggi di sviluppo e costruire antidoti contro di essi. Finalmente la vaccinazione poteva fondarsi su basi scientifiche.

Questo sviluppo scientifico lo dobbiamo anche all’invenzione e la diffusione dei primi microscopi nei primi anni del XVII secolo; ma è con l’olandese Antoni van Leeuwenhoek, nel 1674, che per primo era riuscito ad osservare i movimenti dei piccoli “animalculi”, che avvenne una vera rivoluzione. Egli sfruttò per le sue ricerche i grandi progressi compiuti nel Seicento nella costruzione delle lenti, allo stesso modo di Galileo Galilei. Mentre Galilei però le usò per osservare i corpi celesti, cioè oggetti molto grandi e lontani, lo scienziato olandese le usò per vedere gli organismi piccolissimi con cui abbiamo a che fare ogni giorno senza rendercene conto.

Van Leeuwenhoek, ottico e naturalista per vocazione, viene quindi ricordato perché fu il primo a osservare i batteri usando un microscopio, e per questo lo si considera il primo “microbiologo”. Oltre ai batteri, van Leeuwenhoek fu anche la prima persona a osservare al microscopio il sangue e la placca dei denti.

Antoni van Leeuwenhoek nacque nel 1642 a Delft, nei Paesi Bassi, dove morì nel 1723 (per l’epoca ebbe una vita lunghissima). Figlio di un artigiano che produceva cesti, a dieci anni fu mandato a studiare a Warmond, vicino a Leida, e successivamente si trasferì a Benthuizen, dove viveva un suo zio che faceva l’avvocato. Si sposò una prima volta nel 1654 e lo stesso anno tornò a Delft, dove visse il resto della sua vita. Inizialmente lavorò come commerciante di tessuti: poi nel 1660 divenne funzionario del municipio di Delft, lavoro che svolse, con diverse funzioni, per circa 40 anni.

Nel 1666 sua moglie morì e nel 1671 Van Leeuwenhoek si risposò: ebbe cinque figli dalla prima moglie, di cui solo una sopravvisse all’infanzia, e nessuno dalla seconda. Van Leeuwenhoek era concittadino e coetaneo del famoso pittore olandese Johannes Vermeer; non si sa con certezza se i due si conoscessero, ma è probabile di sì, sia perché all’epoca Delft aveva solo 24mila abitanti, sia perché van Leeuwenhoek fece da esecutore testamentario di Vermeer, quando morì nel 1675.

La carriera di van Leeuwenhoek come scienziato iniziò un po’ per caso: imparò a costruire i microscopi da autodidatta perché voleva osservare con migliore chiarezza la qualità del filato dei tessuti che commerciava. Cominciò a lavorarci attorno al 1668: nel corso della sua vita costruì circa 500 lenti e una decina di microscopi (di cui era molto geloso, al punto da non mostrarli a nessuno in vita). Alcuni microscopi sono stati conservati fino a oggi: erano e sono molto diversi dai microscopi attuali, e somigliano di più a delle lenti di ingrandimento. Tuttavia van Leeuwenhoek trovò dei modi per migliorare la qualità delle lenti disponibili all’epoca. Alcune di esse gli permisero di ingrandire ciò che vedeva fino a 250 volte: in questo modo poté osservare anche i capillari sanguigni, di cui all’epoca non si conosceva l’esistenza, e le fibre muscolari.

Un suo amico, il medico Reinier de Graaf, segnalò il suo lavoro alla Royal Society di Londra, che nel 1673 pubblicò per la prima volta una sua lettera, in cui van Leeuwenhoek spiegava cosa avesse visto osservando con i suoi microscopi. Negli anni van Leeuwenhoek mandò circa 190 lettere alla Royal Society, condividendo gli esiti delle sue osservazioni. Non era uno scienziato di formazione e per questo seguiva soprattutto le indicazioni della Royal Society per fare nuove ricerche, ma di fatto seguiva il metodo scientifico inaugurato da Galileo Galilei.

Osservò i batteri per la prima volta nel 1676: non diede loro un nome specifico, ma comprese che si trattava di esseri viventi, dato che si muovevano, e li chiamò genericamente animalcula, cioè “piccoli animali”. Solo nel 1838 il naturalista tedesco Christian Gottfried Ehrenberg coniò il termine latino bacterium, ispirandosi al greco βακτήριου, che significa “bastoncino”: il nome gli fu ispirato dalla forma della maggior parte dei batteri osservati. Il nome italiano, batterio, arrivò nel 1881.

Ai tempi della scoperta di van Leeuwenhoek, l’idea che esistessero esseri unicellulari non era mai stata contemplata e per questo inizialmente la Royal Society mise in discussione le sue osservazioni; poi nel 1677, dopo che tre rappresentanti della stessa ebbero assistito a una dimostrazione fatta da van Leeuwenhoek, fu accettata l’idea che tali microrganismi esistessero. Nel 1680 fu nominato membro della Royal Society: ne fu molto onorato, ma nella sua vita non andò mai a Londra e quindi non prese mai parte alle riunioni degli altri membri dell’organizzazione. Divenne molto famoso e anche lo zar di Russia Pietro il Grande volle incontrarlo.

Nel Settecento, invece, erano stati gli studi di scienziati come Vallisneri e Spallanzani a contribuire ad ampliare le conoscenze sul mondo microscopico e, soprattutto, a confutare la teoria della generazione spontanea. Vallisneri fu uno dei primi a parlare di contagio vivo quando, nel 1714, prese parte al dibattito sorto sulla natura della peste che stava infettando diversi bovini nelle campagne italiane. Il naturalista pubblicò le sue opinioni in “Nuova idea del male contagioso de’ buoi”, opera in cui sostenne che la malattia era causata dall’aggressione all’organismo animale da parte di vermicelli submicroscopici, che passavano da individuo a individuo.

In seguito, Spallanzani mise a punto un metodo che gli permise un’efficiente sterilizzazione degli infusori e lo portò, nel suo “Saggio di osservazioni microscopiche” (1765), a sconfessare la teoria della generazione spontanea di muffe e infusori.

Precursore e iniziatore di osservazioni rivoluzionarie che portarono gli scienziati della seconda metà del XIX ad interessarsi del ruolo dei batteri nell’insorgenza di malattie infettive, fu però il lodigiano Agostino Bassi, il quale, nel 1835 scoprì l’agente responsabile del calcino, una malattia del baco da seta. La scoperta lo portò a sostenere, nel suo “Della natura dei morbi ossia dei mali contagiosi” (1853), che i morbi dell’uomo e degli animali sono causati dai parassiti e che, seguendo alcune regole di igiene, essi possono essere evitati. Era la prima volta che un agente eziologico di una malattia veniva individuato.

All’esperienza del Bassi fecero seguito diverse altre osservazioni: nel 1851 i francesi Rayere e Davaine individuarono, sebbene non ne decretarono la responsabilità nell’eziologia della malattia, la presenza del batterio del carbonchio nel sangue di animali morti, mentre nel 1854 l’istologo pistoiese Filippo Pacini vide il bacillo del colera nelle feci dei colerosi. Ancora però non si riusciva a spiegare come un essere di pochi micrometri fosse in grado di generare gravi malattie o indurre alla morte esseri di dimensioni infinitamente superiori.

Infine, nel 1881, Robert Koch mette a punto un sistema scientifico per studiare i batteri, basato sui terreni di coltura batterici, e sviluppa il concetto di coltura pura; in seguito scopre il batterio responsabile della tubercolosi, la più grave malattia dell’epoca. Nel 1884 stila i “postulati di Koch”, ancora oggi utilizzati per stabilire se un microrganismo è o meno responsabile di una determinata malattia. Le osservazioni empiriche e la scoperta dei batteri e dei virus, con la nascita della Batteriologia e della Microbiologia, resero possibile un’altra via di produzione su larga scala dei vaccini, grazie alla capacità di far moltiplicare i patogeni immunizzanti in colture.

Lo sviluppo della microbiologia o batteriologia, produce quindi, a partire dalla seconda metà degli anni ’80 del XIX secolo, una rivoluzione al tempo stesso medico-scientifica e sociale: medica perché alla “dottrina dei germi” si associa rapidamente una tecnica di attenuazione della virulenza dei microorganismi patogeni, con il conseguente sviluppo dell’immunologia, della sieroterapia e della vaccinologia; sociale perché, grazie ad un complesso processo che è stato definito di “medicalizzazione della società”, il rapporto medico-paziente-ambienti di vita e di lavoro veniva reimpostato, spostando l’accento dalla cura del singolo malato alla prevenzione delle malattie a livello sociale. Un legame diretto e causale si stabilisce fra condizioni igieniche e sanitarie dell’ambiente di vita, diffusione degli agenti patogeni ed andamento delle epidemie, grazie alla chiarificazione degli effetti dei microrganismi patogeni sull’organismo, alla determinazione della patogenesi delle malattie, allo studio della storia naturale e dell’ecologia dei parassiti e dei loro eventuali vettori.

Il concetto di microbo stabilisce un principio causale delle malattie infettive, ma anche un mezzo di azione igienica, indicando dei legami fra i diversi fattori, spiegando le condizioni e gli spostamenti delle malattie epidemiche, suggerendo dei modi di intervento.

L’igiene realizza in questo contesto un rovesciamento completo dei propri obiettivi: da una igiene mirata alla precaria conservazione della salute individuale si passa alla sanità pubblica che vuole eliminare le cause di malattia e quindi eradicare le malattie stesse. La prevenzione non passa solo attraverso un buon comportamento igienico, ma richiede una attiva realizzazione di pratiche individuali e di interventi sociali.

Particolarmente evidente nel caso delle malattie infettive, la nuova politica o “filosofia” igienica si diffonde all’insieme delle patologie, comprese le malattie croniche e le malattie mentali (l’igiene mentale nasce come concetto e come pratica terapeutica anch’essa nella seconda metà dell’Ottocento). Il rapporto medico-paziente-ambienti di vita e di lavoro veniva reimpostato, spostando l’accento dalla cura del singolo malato alla prevenzione delle malattie a livello sociale. Un legame diretto e causale si stabilisce fra condizioni igieniche e sanitarie dell’ambiente di vita, diffusione degli agenti patogeni ed andamento delle epidemie e delle pandemie, grazie alla chiarificazione degli effetti dei microrganismi patogeni sull’organismo, alla determinazione della patogenesi delle malattie, allo studio della storia naturale e dell’ecologia dei parassiti e dei loro eventuali vettori.

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