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Bergamo

La Regina del Novecento in mostra alla Gamec e poi al Centre Pompidou

A Bergamo 250 opere di Regina Cassolo Bracchi: sculture, disegni, cartamodelli e taccuini

Che abbiate o no simpatia per il futurismo, l’arte di Regina Cassolo non potrà che conciliarvi con alcune interpretazioni di questo movimento d’avanguardia del Novecento.

Nata a Mede di Lomellina nel 1894, Regina Cassolo, sposata Bracchi ma in arte semplicemente “Regina”, è un nome poco noto al grande pubblico. Eppure a pochi anni dalla sua scomparsa avvenuta nel 1974, si è tenuta una serie di mostre nel nord Italia – tra cui quella del ’79 curata dalla critica e storica d’arte Marisa Vescovo alla Galleria d’Arte Moderna di Modena – che ne hanno consacrato la figura di interprete innovativa e versatile.

Oggi la ricerca dell’artista viene celebrata dalla Gamec di Bergamo e dal Centre Pompidou di Parigi, che di Regina hanno acquisito un importante nucleo di opere. Mentre il museo parigino le dedicherà un’attenzione particolare nella mostra “Women in abstraction: Another History of Abstraction in the 20th Century” (al via il prossimo 5 maggio fino al 6 settembre), la Gamec inaugura ad aprile (con data da definirsi sulla base delle disposizioni governative) la più grande retrospettiva museale dedicata all’artista pavese dal titolo “Regina. Della scultura”. La mostra, a cura di Chiara Gatti e Lorenzo Giusti, raccoglie ben 250 lavori all’interno di un percorso che abbraccia cinquant’anni di attività: un’occasione unica per scoprire una figura di sorprendente originalità nel panorama artistico europeo del Novecento.

regina mostra gamec

Prima donna dell’avanguardia italiana a dedicarsi interamente all’arte plastica, persona emancipata e intelligente, schiva e riservata, Regina con la sua arte leggera e antiretorica formula negli anni Trenta un suo personale alfabeto fatto di liriche astrazioni e sconfinamenti fra bi e tri-dimensione.

I suoi peculiari lavori in alluminio, intagliati in lamine malleabili, attraversati da pieghe, tagli, zigzag e forellini, affascinano i contemporanei e richiamano l’attenzione dei futuristi d’area milanese, tra cui Marinetti e Munari. Nel ‘33 Regina partecipa alla mostra “Omaggio a Boccioni” allestita alla Galleria Pesaro a Milano e, a seguire, a una serie di biennali veneziane e quadriennali romane. L’architetto e critico d’arte Edoardo Persico, animatore di dibattiti e ricerche negli anni Trenta, nel 1931 recensisce su “Casabella” alcuni suoi lavori in stagno, latta, celluloide, alluminio, apprezzandone “l’interessante tentativo di esprimere in una materia insolita o addirittura nuovissima gli stessi sentimenti della scultura in marmo, in bronzo”.

Le sue aeree silhouette di metallo, puntellate con elegante incisività e modellate con ondeggiante fantasia, si offrono all’osservatore nella loro disarmante concisione e, a noi che le scopriamo dopo un secolo, fanno dimenticare l’irruenza misogina e programmatica del primo futurismo del Manifesto marinettiano.

Ma il viaggio di Regina non parte con queste ammiccanti e sperimentali produzioni. Prende invece avvio negli anni Venti con una più tradizionale produzione in marmo e bronzo: di quella stagione restano gli studi sintetici di animali e i suoi ritratti realisti, di gusto Novecentesco. Si tratta di opere ispirate all’apprendistato che la giovane di Meda segue a Torino presso Giovanni Battista Alloati, scultore d’area Liberty e Nouveau, che dagli anni Dieci aveva avviato un’accademia privata di una certa rinomanza destinata esclusivamente alle donne artiste.

Da queste prime prove, comunque di notevole interesse, lo sguardo di Regina si sposta poi su una ricerca meno figurativa e su quel linguaggio astratto che andrà coniugando per tutta la vita, attraverso i montaggi sartoriali di modelli in carta puntati con spilli e issati su leggiadre strutture di imbastitura e le sagome e maschere in alluminio su cui si cimentò anche per la scena teatrale.

In mostra vedremo inoltre i disegni di fiori di campo e i gessi degli anni Quaranta, che declinano una sorta di diario quotidiano di osservazione del mondo naturale, presto modificato nelle linee essenziali di un astrattismo maturo. Qui la forma si semplifica e si libera in armonia col mondo della natura, nell’urgenza sempre più impellente di svincolarsi dalle forme chiuse della scultura.

regina mostra gamec

Questa tendenza al dinamismo e alla de-materializzazione scultorea si esprime poi in forme ancora nuove nella stagione del Mac, Movimento Arte Concreta, il movimento milanese che puntava a un astrattismo prevalentemente geometrico e a cui Regina fu introdotta dall’amico Bruno Munari. Sono gli anni Cinquanta e l’artista si cimenta con la plastica e la fiamma ossidrica realizzando composizioni mobili, spesso in plexiglas, declinate secondo le regole costruttive della natura.

Alcune opere, dal titolo eloquente come “Terra-Luna” sono suggestionate dalle nuove scoperte scientifiche e tradiscono il miraggio di quegli anni della corsa allo spazio.

La retrospettiva della Gamec, allestita dal designer Francesco Faccin (sostenuta da Santini Maglificio Sportivo) si preannuncia quindi di grande interesse per attraversare i vibranti cinquant’anni di attività di questa figura di grande eclettismo, difficilmente incasellabile nella scena contemporanea italiana ed europea.

Una personalità la cui importanza è già certificata dall’editore Vanni Scheiwiller nel ‘71, anno di pubblicazione di una sua biografia ricca e precisa, e ancora nel 1983, quando l’intellettuale milanese, ammirato dall’intima ispirazione dei suoi taccuini, propose in stampa quindici poesie inedite di Regina. Rivelazioni, ancora una volta, di una vita spesa sempre “all’avanguardia”, perché, come lei diceva, “i miei pensieri non sono mai fissi, sono sempre disposta a cambiare opinione”.

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