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Report 16-22 marzo

Covid Bergamo: meno positivi, più ricoveri e terapie intensive, 29 decessi

La nostra provincia nell'ultima settimana ricalca la situazione che si registra a livello nazionale

La curva epidemica a livello nazionale sembra prossima all’inversione di tendenza, con il passaggio a valori negativi dopo sei settimane consecutive in espansione. La svolta è attesa nel corso della prossima settimana, ma è già riscontrabile in alcune Regioni. Si conferma di fatto una situazione “a macchia di leopardo”, che non viene correttamente percepita guardando solo ai valori complessivi.

Veniamo al dettaglio: nell’ultima settimana epidemiologica (16-22 marzo) i nuovi casi a livello nazionale hanno registrato un leggero calo (-3,4%), a quota 151.962 dai 157.299 della settimana precedente. A preoccupare, più che il dato totale dei positivi, è la base complessiva di “attualmente positivi” che costituisce un motore importante sia per la diffusione del contagio, sia per la costante alimentazione del numero dei ricoverati in area medica, di quelli in area critica e dei decessi. Al 22 marzo le positività in corso sono 563.067 (+6,2%) rilevate ufficialmente, ma è possibile ipotizzare che in realtà siano circa il doppio sulla base del calcolo inverso, a partire dagli ingressi in terapia intensiva. Alla rete diagnostica, in altri termini, scapperebbe un positivo su due a causa dell’alto numero di soggetti asintomatici. Sarebbe comunque un ottimo risultato se consideriamo che nel corso della prima ondata veniva individuato un positivo su 6, come dimostrato dall’indagine sierologica nazionale per la ricerca degli anticorpi al Sars-CoV-2 condotta a metà del 2020.

L’occupazione dei posti letto in terapia intensiva è salito a 3.510 al termine del periodo di rilevazione, contro 3.157 della settimana precedente (+11,2%). Va meglio per quanto riguarda il numero dei nuovi ingressi in terapia intensiva, 1.838 con un +3,3%, che fotografa la situazione sul campo meglio dell’occupazione dei posti disponibili, che alla voce “uscite” include sia i pazienti le cui condizioni sono migliorate, sia i pazienti deceduti. Quest’ultimi sono stati 433 in più della settimana scorsa (2.829 contro 2.396), portando il totale a 105.328.

In Lombardia

Passiamo alla Lombardia: i nuovi casi sono stati 30.802, in calo del 6,5% dai 32.945 del periodo precedente. Il valore di Rt puntuale alla sera del 22 marzo era 0.97. Il miglioramento della situazione non può essere visto come dato singolo e avulso da altri, ipotizzando rapide riaperture che avrebbero come unico effetto quello di far riprendere la corsa del contagio e aumentare ulteriormente la pressione su un sistema sanitario allo stremo: i nuovi ingressi in terapia intensiva sono stati 405, con un incremento del 13,4% sul periodo precedente, mentre i posti occupati in area critica sono leggermente scesi. Un altro dato, in particolare, dimostra la fondatezza delle ripetute raccomandazioni a non affidarsi a un solo valore per interpretare l’andamento epidemico: i soggetti attualmente positivi in Regione, 98.653 alla data del 22 marzo, ci dicono che secondo le rilevazioni ufficiali un lombardo su 100 è attualmente infettato dal Sars-Cov-2 (il doppio, uno su 50, con le stime che abbiamo visto in precedenza a proposito del dato nazionale).

A Bergamo

Anche in provincia di Bergamo si è riscontrato un leggero calo di nuovi casi: da 2.266 a 2.105, mentre crescono ancora i ricoverati: 769 rispetto ai 662 precedenti e le Terapie Intensive, 87. Anche se solo un terzo dei posti nelle strutture sanitarie è occupato da pazienti bergamaschi, si evidenzia il fatto che essendo quasi raggiunto il limite massimo diventa sempre più difficile garantire gli altri interventi. Ancora alto il numero di decessi in provincia, 29.

Zone e Colori

La previsione sull’inutilità delle zone gialle, e più in particolare sul rischio della zona bianca in Sardegna, ha trovato una fin troppo facile conferma: la Regione è passata direttamente in zona arancione (l’Rt nell’isola è in netto rialzo da 0.89 a 1.08), vista la soppressione fino a Pasqua delle zone gialle. Nessun intento punitivo, come qualcuno si è affrettato a interpretare: ma ci auguriamo finalmente un segnale di volontà, a livello nazionale, di aggredire l’epidemia ai primi allarmi e non solo di inseguirla inutilmente come abbiamo fatto negli ultimi mesi. L’auspicio è che la stessa linea venga seguita anche nelle prossime settimane, abbandonando la strategia del “riapri tutto appena possibile” che finora è costata continue altalene tra riaperture e chiusure, un numero crescente di contagiati su livelli progressivamente in aumento, una pressione sempre più insostenibile sul sistema sanitario e come ultima conseguenza, purtroppo inevitabile, un elevato numero di decessi.

La variante inglese

Gli effetti negativi della variante inglese diventano sempre più visibili: i dati degli ultimi 30 giorni mobili (Iss, 20 marzo 2021) mostrano un chiaro incremento dei casi con manifestazioni cliniche o comunque sintomatiche della Covid-19. La differenza è immediatamente visibile analizzando i dati relativi ai soggetti asintomatici, che a metà febbraio (variante poco diffusa) erano ancora nettamente al di sopra del 50% in tutte le fasce di età; in linea con inizio dicembre (variante non ancora rilevata) quando il valore più basso (53%) si riscontrava nella fascia di età 70-79 anni.

Nello stesso periodo si registravano picchi del 75% di asintomatici in quella 2-6 anni e del 65% per gli ultranovantenni, che esprimevano valori simili a quelli dei 30-40enni.

Negli ultimi 30 giorni gli asintomatici sono tornati sotto al 50% in tutte le fasce di età oltre i 30 anni, e anche in quella 2-6 anni il valore ha ripiegato verso quota 70%. Le forme sintomatiche severe, fino a inizio anno praticamente non rilevabili al di sotto dei 50 anni, nell’ultimo mese di rilevazione stanno esprimendo valori statisticamente significativi già a partire dalla fascia di età 30-39 anni (1,3%). Importante anche il confronto con il dato degli asintomatici da inizio epidemia che in tutte le fasce di età, senza esclusione, sono al di sopra del 50%. Nel peggioramento repentino degli ultimi 30 giorni di questo indicatore troviamo dunque ulteriore conferma della maggiore gravità della Covid-19 generata dalla variante del Kent rispetto a quella legata al ceppo originario di Wuhan.

Focus influenza

Le misure di mitigazione contro la Covid-19 hanno avuto un’efficacia solo parziale nel frenare la corsa del Sars-Cov-2, ma sono di fatto riuscite a eliminare il virus dell’influenza. L’ultimo Report di sorveglianza virologica dell’Iss, pubblicato lo scorso 17 marzo, sottolinea come nella decima settimana epidemiologica del 2021 siano stati segnalati, attraverso il portale InfluNet, 314 campioni clinici raccolti dalla rete di laboratori presente sul territorio: 310 di questi sono stati analizzati e nessuno è risultato positivo al virus influenzale. Il dato ancora più importante è che, da quando è iniziata la stagione influenzale con le rilevazioni InfluNet (ottobre 2020) su un totale di 4.637 campioni ricevuti dai laboratori e analizzati, nessuno ha mostrato la presenza del virus influenzale, mentre 927 sono risultati positivi alla ricerca del Sars-CoV-2. La situazione italiana trova conferma anche a livello internazionale: negli Usa, nel corso della nona settimana epidemiologica del 2021, sono stati analizzati 11.988 campioni clinici di soggetti ai quali era stata diagnosticata una sindrome influenzale: uno solo di questi ha confermato la presenza del virus influenzale. A livello Europeo i dati dell’Ecdc, da inizio stagione, hanno rilevato il virus influenzale in soli 693 campioni sui 462.326 provenienti da fonti non sentinella (come scuole e ospedali) e in 35 su 26.763 provenienti da fonti sentinella (la rete di sorveglianza dei medici di base). In tutto 727 campioni positivi su 489.089 raccolti, pari allo 0,1%. L’incidenza dell’influenza in Europa raggiunge un livello rilevabile (identificato come basso) solo in Estonia, Slovacchia e Ucraina. A livello mondiale la rete di monitoraggio continua a segnalare una circolazione bassissima del virus influenzale: al di sotto dei livello inter-stagionale nelle zone temperate dell’emisfero Nord e a livelli inter-stagionali nelle zone temperate dell’emisfero Sud. Livelli che, per la percezione della popolazione generale, corrispondono a “nessun caso” di influenza.

Piano vaccini non decolla

Il piano per un aumento considerevole (e necessario) delle vaccinazioni in Italia ancora non decolla: nonostante gli sforzi la soglia delle somministrazioni non potrà andare oltre le 200mila al giorno anche in questa settimana: non ci sono abbastanza fiale per correre di più. In attesa del siero di Johnson &Johnson e di raggiungere l’obiettivo di 500mila vaccinazioni al giorno, si tenta risalita con l’arrivo di oltre 333mila dosi di Moderna e i nuovi stock di Pfizer previsti, mentre mercoledì prossimo ne arriveranno altre 279mila da AstraZeneca. I numeri dei carichi giunti finora sono però ancora troppo bassi rispetto all’aggiornamento delle cifre di inizio marzo: all’appello mancherebbero, secondo le previsioni almeno 4 milioni di dosi, pur prevedendo l’arrivo di altre 2 milioni entro il prossimo 3 aprile (fino a questa data ne sarebbero dovute arrivare 15.694.998 milioni in tutto). Tutto ciò nonostante la capacità di inoculazione nel Paese, anche grazie all’accelerazione del Commissario per l’Emergenza Covid, Francesco Figliuolo, sia già di circa il doppio rispetto alle quantità di siero a disposizione.

Il caso Israele e il resto del mondo

Sullo sviluppo del contagio in Israele è emblematico il dato diffuso dal Weizmann Institute: il confronto è nello sviluppo dell’Rt (indice del contagio) dopo la seconda e poi terza ondata. Prima della vaccinazione l’Rt era superiore mediamente all’ 1,30, nel secondo caso, nonostante lo sviluppo della variante inglese (del 40% più contagiosa), la vaccinazione di massa ha fatto crollare l’Rt a 0,7 dopo soli due mesi. Nel frattempo il governo israeliano ha iniziato con le riaperture di tutti i settori.

Interessante anche il dato dei ricoveri. Considerando oltre a Israele anche Regno Unito e Stati Uniti, osserviamo che la prima dose ha raggiunto rispettivamente il 100%, 44% e 37% della popolazione (in Italia il 9%). Dai dati si evince che la vaccinazione ha fatto crollare i ricoveri. Emblematico il caso del Regno Unito che fino a fine gennaio aveva circa 600 ricoveri per un milione di abitanti e oggi ne ha circa 100. Gli Stati Uniti toccavano 400 ricoveri per un milione di abitanti nella prima settimana di gennaio e oggi sono a circa 100. In Israele il picco è di 300 ricoveri per un milione di abitanti a fine gennaio e oggi è in discesa a 100. Da sottolineare che nell’ultimo mese ci sono stati solo 500 decessi e 77.000 nuovi casi. Crollo di contagi, ricoveri, morti: la speranza di un rapido ritorno alla vita normale è legata proprio a questi dati.

Il numero dei contagiati totali nel mondo è di oltre 124 milioni, mentre i decessi sono complessivamente 2.732.000. Gli Stati Uniti hanno quasi raggiunto i 30 milioni di casi e sono oltre 542.000 i decessi causati dal Covid-19. Il Brasile e l’India sono vicini ai 12 milioni con 294.000 e 160.000 morti rispettivamente.

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