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L'UE e noi

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I criteri ESG: sostenibilità ambientale, sociale e di governance

I criteri ESG non sono strettamente finanziari, ma le aziende dovranno dimostrare una concreta sensibilità nei confronti dell’ambiente, un impegno continuo per il miglioramento della società e una forte attenzione rivolta alle esigenze dei propri dipendenti.

Nel 2015 la finanza sostenibile si è trasformata in un fenomeno che ha coinvolto gran parte della società. Lo scenario che fa da sfondo è il tema del cambiamento climatico.

I fatti concreti che hanno determinato il cambiamento sono stati:

    • Papa Francesco pubblica l’Enciclica con grande valore ambientalista, Laudato Sì, nella quale la Terra diventa la Casa comune di tutti gli esseri umani;
    • L’Assemblea generale dell’ONU approvai 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile, da raggiungere entro il 2030;
    • A Parigi, in occasione della COP21, organizzata dall’ONU sui cambiamenti climatici, 177 Paesi si impegnano a mantenere l’aumento della temperatura terrestre sotto i 2 C°, rispetto ai livelli preindustriali

I criteri ESG non sono strettamente finanziari, ma le aziende ora, e ancor di più nel prossimo futuro, verranno valutate anche in base al rispetto che mostrano verso questi criteri. Cioè le aziende dovranno dimostrare una concreta sensibilità nei confronti dell’ambiente, un impegno continuo per il miglioramento della società e una forte attenzione rivolta alle esigenze dei propri dipendenti.

Accanto ai tradizionali criteri economici, emergono e acquistano spazio i giudizi legati ai comportamenti non finanziari delle aziende. Il fenomeno si manifesta con più evidenza in quelle nazioni in cui cresce la cultura dei cittadini e le aziende assumono importanza, non solo perché generano reddito e danno occupazione, ma anche perché contribuiscono a incrementare valori, ambientali e sociali, nelle realtà circostanti.

Facciamo alcuni esempi: consideriamo un’azienda che dimostri solidità dal punto di vista finanziario e patrimoniale e presenti un bilancio che consenta ottimi dividendi per gli azionisti, ma non è dotata di buoni depuratori, che limitino le emissioni inquinanti in atmosfera. Questa azienda, non solo verrà multata, perché poco sensibile ai problemi dell’ambiente, ma verrà giudicata negativamente dall’opinione pubblica, sempre più attenta al rispetto delle norme ambientali. Per quanto riguarda l’aspetto sociale, l’azienda deve dimostrare attenzione verso i diritti dei lavoratori, deve promuovere le pari opportunità tra i propri dipendenti, saper cogliere le esigenze dei clienti e dei fornitori, e riuscire ad arricchire, con servizi sempre più puntuali e personalizzati tutti i processi di vendita.

Non solo, ma l’azienda deve cercare di devolvere una parte del proprio reddito in interventi sociali, che contribuiscano alla coesione, allo sviluppo e alla resilienza del territorio nel quale opera. Alcuni aspetti di governance si riferiscono a una ricerca di equilibrio tra le agevolazioni e i guadagni riservati ai manager e agli altri dipendenti,
altri aspetti indicano la ricerca di autorealizzazione nel lavoro, da parte di tutti i dipendenti, e il rispetto dei principi della Carta dei diritti fondamentali, che fanno parte del Trattato dell’Unione europea.

In una società matura i processi che portano al miglioramento della coesione e dell’inclusione sociale dipendono, in gran parte, dagli interventi e dall’efficacia delle norme
proposte dalla classe politica, ma molto anche dai comportamenti sensibili di coloro che, nella società, rivestono ruoli di responsabilità: degli imprenditori, soprattutto. Le aziende europee quotate, con più di 500 dipendenti, sono tenute a indicare queste azioni in un documento:

– Dichiarazione non finanziaria, DNF, allegata al bilancio. Molte aziende, anche di piccole dimensioni, e diventano sempre più numerose, seguono questo esempio e compilano una dichiarazione non finanziaria, che acquista valore anche nei confronti degli Istituti di credito, con le quali hanno rapporti. Fra queste, sono un modello le aziende certificate EMAS, che sono tenute a compilare, periodicamente, la Dichiarazione ambientale, per rendere di dominio pubblico il raggiungimento degli obiettivi decisi dall’azienda, in sintonia con le indicazioni ambientali e sociali, previste dall’Unione europea. La certificazione ambientale EMAS, voluta dalla Commissione e dal Parlamento europeo, già dal 1993, con il primo Regolamento n° 1836, rappresenta un valido strumento di crescita per tutto il personale perché, fra l’altro, obbliga tutti i
dipendenti a seguire corsi annuali di aggiornamento, sugli obiettivi ambientali perseguiti dalla loro azienda.

Il 22 ottobre 2014 è stata approvata la Direttiva dell’Unione Europea n. 95, sulla “Comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità, da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni”. Questa direttiva è stata recepita dall’ordinamento italiano con il Decreto Legislativo del 30 dicembre 2016 n. 254, che ha stabilito l’obbligo, per società aventi determinate caratteristiche, della compilazione di una “Dichiarazione non finanziaria” (DNF). Il Parlamento europeo ha riconosciuto l’importanza della comunicazione, da parte delle imprese, di informazioni sulla sostenibilità, riguardanti ad esempio i fattori sociali e
ambientali, con l’obiettivo di individuare i rischi per la sostenibilità e accrescere la fiducia degli investitori e dei consumatori sui prodotti e sui processi sostenibili.

Nel frattempo, il Parlamento e la Commissione europea hanno iniziato un profondo lavoro per stabilire criteri oggettivi, che potessero individuare, soprattutto nel campo dei finanziamenti, gli elementi della sostenibilità.

Definire cosa può essere definito sostenibile, ovvero la tassonomia degli investimenti, ha richiesto l’emanazione del Regolamento UE 852/2020 e alcuni Regolamenti delegati, di recente emanazione.
La produzione legislativa di riferimento ha consentito di rendere più agevole l’emanazione di Titoli verdi, rivolti a investitori istituzionali e a privati. Di fatto è iniziato, e si è ampliato un percorso virtuoso delle aziende verso la realizzazione dei criteri ESG, che erano alla base della “Responsabilità sociale delle imprese”, sostenuta dall’Unione europea all’inizio di questo secolo, per dare sostanza ai comportamenti sottesi all’economia sociale di mercato, che rappresentano il valore dell’economia europea, rispetto alle altre Costituzioni, che si limitano a sostenere la sola economia di mercato.

Va da sé che il grande sforzo delle Istituzioni europee per favorire la nascita e la diffusione di nuova imprenditorialità, va inserito in questa visione, ricca di implicazioni etiche e sociali. Anche il Governo italiano ha dimostrato di condividere questo percorso, teso a migliorare il quadro sociale delle aziende, con l’emissione di 8,5 miliardi di BTp green. E lo ha fatto con molta attenzione, suscitando il plauso degli operatori economici e dei Governi europei. I BTp Green finanzieranno le spese destinate a contribuire alla realizzazione degli obiettivi ambientali, delineati dalla Tassonomia europea delle attività sostenibili:

    1. mitigazione dei cambiamenti climatici,
    2. adattamento ai cambiamenti climatici,
    3. uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e dell’ambiente marino,
    4. transizione ad un‘economia circolare,
    5. prevenzione e controllo dell’inquinamento,
    6. protezione, miglioramento e ripristino della biodiversità, degli ecosistemi e dei servizi ambientali.

Il documento ufficiale, che accompagna l’emissione e ne circoscrive le finalità, cita i puntuali riferimenti con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU. Gli investimenti dovranno essere finalizzati a:

    • fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica e termica;
    • efficienza energetica;
    • trasporti, rivolti alla mitigazione dei cambiamenti climatici;
    • prevenzione e controllo dell’inquinamento e economia circolare;
    • tutela dell’ambiente e della diversità biologica. Uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e dell’ambiente marino.

Per tutti gli investimenti, previsti dalla raccolta finanziaria, vengono indicati gli obiettivi, gli indicatori di risultato e alcuni esempi significativi. La Commissione europea ha avuto parole di apprezzamento sulla struttura chiara del documento, che ha accompagnato l’emissione dei titoli di Stato, e il Governo italiano ha dimostrato di muoversi in materia autonoma, senza sovrapporsi al Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza, previsto dal Next Generation EU.
Un Comitato, appositamente costituito, avrà il compito di garantire il corretto monitoraggio, annuale, dell’uso dei proventi derivanti dalle emissioni, per tutta la durata della vita del titolo. La prevista Relazione annuale dovrà contenere sia la tracciabilità dell’allocazione dei ricavi netti dell’emissione, sia il monitoraggio dell’effettiva applicazione dei criteri di eleggibilità (coerenza degli investimenti), per tutta la durata della vita del titolo Green. Ma vi è anche altro.

Il 10 marzo di quest’anno è entrato in vigore il Regolamento UE 2019/2088, relativo all’informativa (Disclosure) sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari. Il regolamento stabilisce norme armonizzate sulla trasparenza, alla quale devono attenersi i partecipanti e i consulenti dei mercati finanziari, per quanto riguarda l’integrazione dei rischi di sostenibilità e la considerazione degli effetti negativi, nei loro processi e nella comunicazione delle informazioni, connesse alla sostenibilità dei prodotti finanziari. Ma di questo importante documento vale la pena fare, più avanti, una profonda riflessione. Dal quanto sopra scritto si evince che lo sviluppo della nuova politica industriale, sostenuta dall’Unione europea e pronta a realizzarsi dopo la terribile pandemia, che oggi fa soffrire enormemente tutte le attività, va sempre più caratterizzandosi verso valori che, all’interno di un quadro dei diritti, esprimono la necessità di far emergere, con convinzione, l’obbligo di aumentare e approfondire i
doveri, verso le sensibilità connesse con i criteri ESG, che consentono all’Unione di attuare, con la concreta collaborazione delle parti sociali (imprenditori e sindacati) e della società civile organizzata (enti, organizzazioni e ONG), lo sviluppo sostenibile.

*Antonello Pezzini nasce in provincia di Novara nel 1941. Si laurea in filosofia e consegue due master, ha un trascorso da preside di liceo, da consigliere comunale della Dc a Bergamo, da presidenza della locale Associazione Artigiani a membro del CDA dell’Istituto Tagliacarne. Sviluppa uno spirito imprenditoriale nel settore dell’ abbigliamento e ha insegnato economia all’Università degli Studi di Bergamo. La passione per l’energia sostenibile è più recente, ma in breve ne diventa un esperto in campo europeo: oltre alla carica al Cese, è membro del CDA di un’azienda che si occupa di innovazione tecnologica e collabora con società di consulenza energetica.  Dal 1994 è membro del Comitato Economico e Sociale Europeo in rappresentanza di Confindustria.

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