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L'intervista

Covid, Garattini: “Adesso l’Italia inizi a produrre i vaccini” video

Silvio Garattini, presidente dell'Istituto Mario Negri non ha dubbi: "L'Italia deve iniziare a produrre i vaccini. Lo ribadisce nell'occasione dell'uscita del suo ultimo libro “Il futuro della nostra salute. Il Servizio Sanitario nazionale che dobbiamo sognare”.

“Ora abbiamo la necessità di produrre i vaccini. Siamo il sesto Paese più industrializzato del mondo e dobbiamo avere la nostra produzione di vaccini. Anche perché non sappiamo se dobbiamo vaccinarci ogni anno o dovremo farlo seguendo le varianti. Potevamo farlo sei mesi fa, i problemi vanno previsti per affrontarli seriamente e ora per l’Italia è tempo di agire”.

Silvio Garattini non ha dubbi. L’Italia deve iniziare a produrre i vaccini. Lo ribadisce nell’occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Il futuro della nostra salute. Il Servizio Sanitario nazionale che dobbiamo sognare”.

La saggezza del 92enne scienziato e farmacologo di fama mondiale, fondatore nel 1963 dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, non manca di affrontare il tema Covid.

Professore, dalla sua esperienza, quando usciremo da questa situazione dovuta al Covid?

“Credo sia ragionevole guardare al peggior scenario possibile. Ci vorranno molti anni, non stiamo vaccinando i Paesi a basso reddito e il virus continuerà a circolare. Dobbiamo vaccinarci e iniziare a produrre i vaccini. Anche il Governo adesso si è messo di impegno e credo sia la strada giusta. Potevamo farlo sei mesi fa ed ora avremmo le dosi per vaccinare tutte le fasce della popolazione. I problemi vanno previsti per poi individuare possibili soluzioni. Ora la soluzione c’è, sono i vaccini ed è tempo di agire”.

Il volume che presenta, edito per i tipi della San Paolo, immortala il Sistema Sanitario Nazionale, come è nato e come è stato ridotto. Da qui, Garattini delinea una riforma che rimetterebbe in piedi “un’eccezionalità” che è sempre stato un vanto per l’Italia fino a quando, poco per volta, sono state erose risorse e personale.

“Il Covid ha messo in evidenza il declino lento e visibile del servizio sanitario nazionale: dalla mancanza di personale alle lunghe liste d’attesa – spiega Garattini -. Per questo va migliorato partendo dalla prevenzione. La prima preoccupazione per la sua sopravvivenza e sostenibilità deve avere questo grande termine: la prevenzione. Il 50% delle malattie non piove dal cielo ma siamo noi che ce le procuriamo con le nostre cattive abitudini. Il 70% dei tumori è evitabile, eppure muoiono ancora 160 mila persone all’anno di tumore. Questo è un punto che influenza tutta la nostra situazione. Noi siamo una popolazione che ha un”aspettativa di vita molto alta: per le donne è 85 anni per gli uomini è di 81 anni. Ma se guardiamo attentamente osserviamo che ci sono  7/8 anni di cattiva vita per via delle malattie, per insufficienza cardiaca o insufficienza respiratoria”.

Come si può avere allora una vita sana?
“Con educazione e formazione. Nelle scuole si dovrebbe parlare di educazione alla salute. A partire dall’asilo e andando avanti a tutti i livelli. E poi ci deve essere uno Stato credibile nel sostenere questa tesi. Non possiamo pensare alla prevenzione e poi lo Stato non fa niente perché la gente fumi, perché raccoglie 13 miliardi di tasse all’anno sulle sigarette. E così è pure per le tasse sull’alcool o i giochi d’azzardo che poi provocano la ludopatia. La prevenzione è un campo che deve essere primario per tutti: vogliamo evitare le malattie e considerare una sconfitta della medicina tutte le volte che c’è una malattia. Un sistema sanitario nazionale non si deve limitare al rapporto medico-paziente, ma deve essere un sistema triangolare che coinvolge anche lo Stato, colui che deve affrontare la spesa e che crea una fascia culturale che sta attorno al sistema sanitario nazionale”.

“Per ristrutturare il sistema sanitario nazionale dobbiamo lasciare fuori lo Stato. Le regole dell’amministrazione pubblica e la burocrazia pubblica uccidono il sistema sanitario nazionale. Quindi per la gestione ci potrebbe essere una fondazione senza scopo di lucro, un organismo che deve essere flessibile e dinamico capace di controlli a posteriori delle scelte prese. A gestire il sistema non devono esserci dirigenti decisi dalla politica, ma soggetti formati ad una scuola superiore di sanità”.

Un sistema sanitario nazionale gestito da una fondazione, con dirigenti formati ad una scuola superiore di sanità e che si basi sulla prevenzione.
Una riforma che potrebbe essere realizzata in cinque anni che coinvolge anche la ricerca, che deve essere indipendente e non legata al mondo dell’industria farmaceutica o che abbia scopi di lucro, e che guardi con attenzione alle medicina del territorio.

“C’è un rapporto di fiducia da ricostruire tra la medicina del territorio e quella ospedaliera. Non è più pensabile che un medico abbia 1.500 pazienti, occorre che si crei un ambulatorio con sei o sette medici, con una segreteria organizzata, operativo sette giorni su sette, che abbia un’infermiera e delle apparecchiature per esami semplici e veloci. Un ambulatorio che abbia uno psicologo che possa fare visite a domicilio, infine che sfrutti la telemedicina. Un ambulatorio di queste dimensioni rappresenterebbe un grande filtro per diminuire l’affollamento dei pronti soccorsi e degli ospedali”.

Professore, recenti studi dimostrano che il Covid ha abbassato le aspettative di vita. A Bergamo, in particolare, le aspettative di vita sono scese di 3 anni e 3 mesi per le donne e di oltre 4 anni anni per gli uomini. 
“Purtroppo è vero. Oltre ai molti anziani colpiti dal Covid che abbiamo perso, si devono considerare tutti i malati che non hanno potuto essere curati, quanti non sono stati operati perché le sale operatorie non erano agibili, o quanti non hanno potuto essere sottoposti alla chemioterapia. Sono tutte persone che abbiamo perso”.

Nel suo libro scrive che percorre ogni giorno cinque chilometri a piedi per mantenersi in forma. Le capita che le persone la fermino per strada e le chiedano consigli?
“Sì, mi fermano per strada, mi scrivono. E io rispondo volentieri perché fa parte del lavoro di un ricercatore, noi facciamo ricerca per gli altri, per questo dobbiamo essere vicini e spiegare quello che facciamo, perché usiamo soldi pubblici e abbiamo una responsabilità verso tutte le persone. Per questo è importante imparare a comunicare, non è più come tanti anni fa quando era disdicevole parlare alla gente di ricerca. I tempi sono cambiati e mi fa piacere quando le persone mi chiedono di ricerca, farmaci, malattie. Lo scopo dell’Istituto Mario Negri è proprio questo: ricercare per curare e migliorare la vita delle persone”.

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