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La mamma

“Da ottobre lontana da mio figlio autistico: la disabilità è un mondo invisibile”

La testimonianza di Laura, mamma di un ragazzo autistico: è una delle cinque storie di donne che vogliamo raccontare in occasione della festa della donna, l'8 marzo

Ibrahim ha 18 anni ed è un ragazzo autistico grave. Laura Nespoli è la sua mamma che si è sempre occupata di lui da sola.

Lei è una delle cinque storie di donne che vogliamo raccontare in occasione della festa della donna, l’8 marzo, per ricordare e omaggiare la forza straordinaria delle eroine del quotidiano: protagoniste e più di tutte vittime dell’emergenza sanitaria. Si stima, infatti, a livello nazionale che il genere più colpito dalle conseguenze economiche, sociali ed umani della pandemia sia proprio quello femminile.

“Non solo le donne, però, una delle categorie più danneggiate e, anche, dimenticate è quella dei disabili”, racconta Laura, iniziando a ripercorrere la storia di suo figlio Ibrahim.

Autistico grave è ospite di un istituto residenziale per disabili minorenni dall’età di 7 anni: cinque giorni in presenza e nel weekend e nelle feste a casa. La pandemia, però, ha stravolto le carte.

“Anche se la struttura era sicura io ero molto più tranquilla all’idea di riportarlo a casa durante l’emergenza sanitaria. E, così, è rimasto con me per tre bellissimi mesi: abbiamo, infatti, potuto ritrovarci e vivere l’armonia famigliare. Però è stato un periodo molto duro: Ibrahim ha bisogno di particolari esigenze e ormai si era anche abituato ai ritmi dell’istituto. Destreggiarmi tra lui e il mio lavoro di insegnante in dad non è stato semplice”, racconta Laura.

“Alla fine della quarantena è rientrato nell’istituto. Tempo di tornare, però, si ammala di Covid. Quindi viene rimandato a casa e con me passa la quarantena. Era però, ormai, arrivato a luglio compiendo 18 anni e l’istituto ospita solo minorenni. Così, senza alcun passaggio e il necessario tempo per metabolizzare il cambiamento, è stato trasferito in un altro centro a Bergamo”, continua Laura.

Da quel momento, Laura non l’ha più potuto portare a casa. Era luglio 2020.

Con l’aggravarsi della situazione sanitaria, anche le poche visite concesse (due volte a settimana per mezz’ora nella struttura) sono state vietate. É, quindi, da ottobre 2020 che Laura non può vedere di persona suo figlio.

“Non mi fanno entrare: ho anche chiesto di pagare di tasca mia i tamponi, ma niente. La persone non se ne rendono conto ed è la mia più grande rabbia: si parla e si discute della riapertura di tutto dagli impianti da scii alle discoteche, ma non si pensa che i centri per disabili sono da sempre in perenne lockdown: lì la ‘zona rossa’ non è mai finita. Ma io mi chiedo: come si fa a dimenticarsi delle persone in questo modo? Si tratta di vite spezzate che sarà difficile recuperare ed è così ingiusto “, spiega.

Con la voce rotta dal pianto Laura racconta, infatti, quanto sia fondamentale la presenza, il contatto, uno sguardo e il suono della voce dal vivo per ragazzi autistici come Ibrahim.

“É basato tutto su quello. E questa lontananza prolungata rischia di far svanire tutto. Vedo già i suoi effetti negativi: Ibrahim non parla, ma quando poteva vedermi emetteva dei suoni fondamentali per il suo percorso: ora, invece, quando lo chiamo questi suoni svaniscono sempre di più. La zona arancione rafforzato peggiora le cose e sposta sempre più in là il giorno in cui potrò vederlo: mi manca così tanto.”

“Chiedo e spero solo che ci sia più attenzione anche al mondo della disabilità negli interessi della politica: io sono una mamma che non vede suo figlio da mesi. Dov’è per me e le altre situazioni come la mia la stessa attenzione che c’è per i negozi, i ristoranti e le palestre?”, conclude Laura.

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