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L'intervista

Giulia, scenografa e visual artist, nello staff dei Pinguini Tattici Nucleari

Venticinquenne bergamasca, Giulia Argenziano usa le immagini "per comunicare ciò che non riesco a dire con le parole"

Andare a un concerto, magari in mezzo a migliaia di persone. Vivere due ore, a volte anche tre, con l’adrenalina a mille. Tornare a casa, senza voce, ancora con il cuore in gola, che batte forte. A quanti di voi è capitato?

Non è magia, ma umana, bellissima emozione, che dal cuore emerge fino alla pelle. Quella emozione che solo i concerti dal vivo sanno regalare.

Molti protagonisti però non li vediamo sul palco. Eppure ci sono, lavorano in back office, anche prima, durante o dopo lo spettacolo. Sono tanti, e molti di loro sono dei grandi professionisti, senza i concerti, che ci portiamo nel cuore, non sarebbero stati gli stessi.

Giulia Argenziano, venticinquenne bergamasca, è sicuramente una di loro. Scenografa e visual artist, sta terminando gli studi all’Accademia delle Belle Arti “Santa Giulia” a Brescia, ma ha già una carriera ben avviata.

Giovane e donna. Il mondo di cui fa parte, dominato da una netta preponderanza di professionisti maschi, non è facile da conquistare e da vivere. Giulia però ha una carica positiva dentro di sé, una sensibilità artistica che le stanno consentendo di creare il proprio spazio. Nel 2019 diventa la visual designer ufficiale per “Fuori dall’Hype Tour” ed inizia a collaborare con la squadra dei Pinguini Tattici Nucleari, che ritornano sul palco di Sanremo nella serata di giovedì 4 marzo. È art director e visual designer ufficiale di Naoribi D, progetto solista di Nicola Buttafuoco, chitarrista dei Pinguini. Sua è anche la cover del podcast “ANEDdoti”, un’idea nata dalla sezione di Bergamo dell’ANED, Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi nazisti. E questi sono solo alcuni dei progetti artistici a cui ha partecipato.

Giulia, sei una giovane donna professionista, in un mondo, quello della musica, fatto principalmente di uomini. Come vivi la tua quotidianità?

Partendo dal presupposto che, essendo il mondo musicale composto principalmente da uomini, è difficile entrarci. Come donna, una volta in pista, devi dimostrare molto di più rispetto a tutti gli altri: di avere le stesse competenze a livello tecnico, da un lato, e di essere in quella determinata posizione perché te lo sei davvero meritato, dall’altro. Per cui, entrare in questo mondo è difficile e stressante, ma una volta dentro si ripropone questa stessa dinamica. È inevitabile. Anche con i Pinguini e tutto lo staff, sebbene siano professionisti e colleghi più che corretti, da donna, oltretutto molto giovane, percepisco la sensazione di dover essere sempre sul pezzo. È un fattore sicuramente psicologico che, magari, se fossi un ragazzo, non sentirei.

Parliamo della tua attività nei tour musicali. In che cosa consiste il tuo lavoro e perché è così importante?

Io sono una visual designer. Mi occupo di realizzare le scenografie video alle spalle dei performer sul palco. Si tratta delle animazioni che realizzo per uno scopo ben preciso. Mi sono avvicinata a questo mondo perché ho sempre avuto la passione per la musica. Sapevo di voler lavorare per la musica, pur non facendo la musicista. Secondo me, unire la componente musicale a quella visiva rende lo spettacolo più completo. Ed è questo lo spirito con cui ho affrontato e affronto il lavoro con i Pinguini, ad esempio. Con loro svolgo un lavoro di narrazione parallela, agevolato dal fatto che i loro pezzi hanno un forte ingrediente narrativo. Ogni canzone è una storia a sé: mi sono posta l’obiettivo di raccontare in parallelo, attraverso le immagini, delle suggestioni astratte che emergono dal testo o che io stessa provo ascoltando musica della band. Inoltre aggiungo sempre molti riferimenti ironici e di allegria che caratterizzano i Pinguini.

Oltre che visual artist, sei anche scenografa. Quale percorso ti ha portato a svolgere questo mestiere?

Sono sempre stata una ragazza creativa. Attraverso l’arte riesco ad esprimere al meglio ciò che a volte con le parole non riesco a dire, perché troppo timida. Però poi è arrivato l’amore per il cinema, grazie a mio nonno, che aveva una collezione di più di duecento dvd di film italiani passati alla storia. Mi riferisco ai lavori con Sofia Loren, De Sica, Fellini, Mastroianni, e così via. A sedici anni feci una visita a Cinecittà: è stato lì che mi sono innamorata e che ho capito di voler creare quanti più immaginari possibili. Questo è il lavoro dello scenografo! Per me è ideale, perché mi permette di lavorare dietro le quinte, insieme agli altri artisti e professionisti, senza dover espormi, cosa che non amo.

Ora stai per terminare il tuo percorso accademico in “Scenografia e Tecnologie dello Spettacolo”. Perché nella tua attività la tecnologia è diventata fondamentale?

Tramite i miei studi, ho scoperto che la scenografia non riguarda solo il teatro, ma è molto più multidisciplinare di quanto si pensi. Può essere applicata a spettacoli, a installazioni, mostre o eventi della vita quotidiana. Sempre più si utilizzano i linguaggi tecnologici – in genere video proiezioni – perché possono essere un linguaggio ulteriore di una forza pari a quello degli attori in scena o del regista o della musica. In questo senso la scenografia, arricchita da elementi video, diventa alleata della drammaturgia, rafforzandola.

Tra i progetti a cui hai lavorato, a quale sei più legata emotivamente e professionalmente?

Porterò sempre nel cuore i mesi di lavoro per lo spettacolo “SUPER”, per la promo volta in scena nel 2018 al Teatro Sociale di Brescia. prodotto da Viandanze Teatro diretto da Balletto Civile, una delle compagnie di teatro danza più famose a livello europeo. Qui ho potuto sperimentare l’unione tra arte, scenografia e tecnologia. Ho investito tutta me stessa in questo progetto, che ho seguito dal principio alla fine. Questo spettacolo, un continuo work in progress fino all’ultimo giorno di prova, metteva in relazione la performance di danza con quella attoriale. Gli attori erano dilettanti tra i sedici ai 19 anni, formati dai professionisti di Balletto Civile.

Le porte di teatri, club e sale da concerto sono chiuse da più di un anno. Ricordi dove eri il giorno in cui tutto si è fermato?

Lo ricordo benissimo. Stavo partendo per Pordenone, insieme ai Pinguini. Avevamo in programma per prove per il tour nei palazzetti. Eravamo tutti emozionatissimi. Mai avremmo pensato che sarebbe successo quello che poi è successo. Dal 24 al 27 febbraio dell’anno scorso, abbiamo provato senza sosta fino a tarda notte, chiuso nel Palasport di Pordenone, perché, in cuor nostro, speravamo che tutto sarebbe andato per il meglio. Finchè ci è stato annunciato che il tour sarebbe stato rimandato. Pensavamo che la cosa sarebbe stata procrastinata di settimane, di certo non ci aspettavamo un lockdown, tanto meno che il mondo dello spettacolo potesse fermarsi per così tanto tempo, dimenticato dalle Istituzioni. Perché, di fatti, è quello che è successo.

Dopo questo momento di stop forzato, cosa ti piacerebbe fare?

Sicuramente togliermi il sassolino nella scarpa del tour dei Pinguini nei palazzetti. Sarebbe un momento di grande riscatto personale. E poi vorrei ritornare a godere della normalità del mio lavoro, fatto di relazioni umane prima ancora che professionali.

 

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