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Treviglio

“L’odissea di mia madre, morta a un mese dal ricovero: dai medici poco aiuto”

La lettera arrivata alla nostra redazione sulla mancanza di comunicazione attribuita ai medici. La risposta dell'ospedale: "Ci scusiamo, anche se solo percepite certe incomprensioni non dovrebbero mai accadere"

Riceviamo e pubblichiamo la lettera arrivata alla nostra redazione sulla gestione di una paziente anziana ricoverata all’ospedale di Treviglio. “Scritta affinché – spiega la lettrice nella sua denuncia – non succeda ad altri quello che è successo a noi”.

“Nostra madre, da oltre 11 anni, era un’ammalata oncologica, seguita dalla preposta struttura del suddetto ospedale.

L’evolversi della malattia ha generato l’occlusione totale dell’esofago. In sintesi, la massa tumorale impediva l’accesso di cibo verso lo stomaco.

D’accordo con l’oncologa e i chirurghi, era stato concordato con la paziente l’inserimento di una “endo-protesi” nell’esofago.

Venerdì 29 gennaio è avvenuto il ricovero. Mia madre è entrata in Ospedale sulle sue gambe, lucida e presente, impaziente per il ritardo di presa in carico. Nel medesimo giorno è stata “operata”.

Sabato 30 gennaio, noi figli abbiamo telefonato per essere aggiornati circa lo stato di mia madre. Il medico presente ci rispose testualmente “che potevamo parlare del più e del meno, ma non della paziente in quanto non la conosceva”.

Martedì 2 febbraio abbiamo avuto un colloquio col primario che ci ha comunicato che nostra madre era pronta per essere dimessa.

La nostra sensazione era peraltro discordante. Da domenica sentivamo telefonicamente nostra madre che riferiva di non riuscire ad alzarsi dal letto, aveva dolori, non riusciva a mangiare. Abbiamo pertanto chiesto che nostra madre venisse curata e stabilizzata prima di essere dimessa.

Per tutta il seguito della settimana – sino a domenica 7 febbraio – nostra madre ci segnalava telefonicamente che la situazione stava peggiorando, piangendo per i dolori che erano diventati insopportabili.

Nella nostra vita, non abbiamo MAI sentito nostra madre lamentarsi, neanche per un normalissimo mal di denti. Solo negli ultimi mesi aveva richiesto al suo medico curante “qualcosa” che le consentisse di meglio sopportare le conseguenze del peggioramento della malattia. Questo ci aveva allarmato: “cosa era successo, a causa dell’intervento, che aveva alterato la situazione al punto che mia madre aveva perso qualsiasi autonomia?”. Nessuna risposta da parte dei medici.

Lunedì 8 febbraio la situazione “precipita”. Da quel momento i colloqui telefonici con nostra madre si sono interrotti. Non era più in grado di gestire una comunicazione telefonica. Il medico di turno ci ha chiamato per comunicare che, nella notte, si era aggravata. Sospettavano fosse stata oggetto di un ictus. La tac cerebrale risultò negativa. Il medesimo medico ci concesse la possibilità di visita perché riteneva la paziente in fin di vita.

Mercoledì 10 febbraio, alla nostra quotidiana telefonata, gli infermieri non sapevano addirittura a quale piano fosse stata trasferita. Seguì una serie di telefonate ai vari piani. Nessuno sapeva dove era stata trasferita. Solo da immaginare la nostra angoscia. Alla fine era rimasta al secondo piano.

Venerdì 12 febbraio, finalmente, il primario ci ha comunicato che se fossero riusciti a stabilizzarla, ci avrebbero contattato dal centro servizi per informarci in quale struttura – hospice o RSA – l’avrebbero trasferita.

Martedì 16 febbraio ci chiamò l’assistente sociale del centro servizi per avvertirci che era pronta per essere dimessa. Avrebbero cercato un centro per cure intermedie e da parte nostra, se non in grado di gestirla a casa, avremmo dovuto cercare un Rsa con nucleo protetto in quanto la paziente era estraniata dalla realtà, insofferente e agitata, allettata, incapace di nutrirsi e gestirsi autonomamente.

Mercoledì 17 febbraio l’assistente sociale ci comunicò che il centro per cure intermedie non avrebbe accolto la paziente in quelle condizioni: dovevamo attivarci con urgenza per trovare una Rsa disposta ad accoglierla.

Nella stessa mattinata il medico di riferimento ci comunicò che la paziente era dimissibile: avremmo dovuto portarla a casa perché, testualmente ci disse, in modo arrogante e maleducato: ”l’ospedale non è un albergo”; peccato che qualche giorno prima la paziente era in fin di vita e solo da pochi minuti eravamo stati sollecitati alla ricerca di una Rsa disponibile ad accoglierla.

Nella stessa mattinata troviamo una struttura nel milanese con posti a disposizione in nucleo protetto e istantaneamente lo comunichiamo all’assistente sociale per il contatto diretto.

Sabato 20 febbraio l’impiegata della Rsa ci comunicò che il direttore sanitario non aveva accettato il ricovero con la descrizione “malata oncologica grave con cure palliative, da hospice”.

Richiamiamo immediatamente l’assistente sociale preposta per comunicare la decisione dell’Rsa; la stessa ci comunicava di aver girato la pratica al reparto per una rivalutazione.

Silenzio nel fine settimana.

Lunedì 22 febbraio troviamo un’altra RSA disponibile ad accogliere la paziente. Comunichiamo immediatamente il contatto diretto al centro servizi per il seguito di competenza.

Martedì 23 febbraio siamo stati contattati contemporaneamente dal centro servizi di Treviglio e dall’hospice di Capriate San Gervasio perché c’era disponibilità di un letto. Chiediamo un colloquio con un medico di reparto dell’ospedale di Treviglio per valutare se continuare con il ricovero presso l’RSA ovvero presso l’hospice per evitare di perdere il posto in RSA. Il chirurgo responsabile del piano, alle nostre domande, risponde: “la paziente sta come ieri, come l’altro ieri, come 10 giorni fa”. E cioè? Nessuno si era preoccupato di fornirci informazioni precise aggiornate.

Solo una gentilissima infermiera del terzo piano ci ha aiutato a decidere per l’opzione Hospice.

Mercoledì 24 febbraio nostra madre è stata trasferita in Hospice e lì, finalmente, abbiamo potuto passare la giornata con lei con la costante disponibilità, gentilezza e presenza di tutto il personale addetto alla cura dei pazienti.

Il giorno successivo, giovedì 25 febbraio, nostra madre è deceduta.

Segnaliamo che solo noi abbiamo costantemente aggiornato l’oncologa che da 11 anni seguiva nostra madre. Non era mai stata coinvolta nelle scelte e aggiornata dell’evolversi della situazione da alcun medico.

Cordiali saluti”.

La risposta dell’Asst Bergamo Ovest

Gent.ma testata Bergamonews,

abbiamo sottoposto ai medici del Reparto dove la signora Luigina era ricoverata lo sfogo dei parenti.

I medici, che bene hanno tuttora presente il caso, ci hanno restituito, anche con l’ausilio di documentazione certificata (cartella clinica e referti medici), il seguente quadro:

“La signora Luigina, grande anziana, fragile, pluripatologica e con una storia oncologica importante, veniva ricoverata presso il reparto di chirurgia dell’ospedale di Treviglio, per essere sottoposta a palliazione della disfagia, tramite posizionamento di endoprotesi esofagea, su indicazione dei colleghi oncologi.

In base al buon esito della procedura la si candidava, quindi, alla dimissione e la si comunicava ai parenti, che decidevano però di attivare il centro servizi per sistemazione non al domicilio.

Nei successivi giorni si assisteva, invece, in attesa di trovare la migliore sistemazione in RSA o Hospice, ad un improvviso peggioramento clinico, soprattutto con insorgenza di un quadro neurologico di delirium che sfociava rapidamente in un quadro terminale. In tutte le fasi la collega oncologa è stata sempre informata.

Il personale medico-sanitario si scusa se le comunicazioni con la famiglia sono state percepite, in alcune circostanze, come non consone”. Purtroppo per la sig.ra, il cui destino era legato alla patologia neoplastica di cui soffriva, l’isolamento, l’ospedalizzazione e l’impossibilità di vedere i propri cari, hanno peggiorato il quadro clinico, determinandone la rapida evoluzione.

La gestione clinica della paziente è sempre stata, però, pronta a risolvere ogni problematica che intercorresse.

La Direzione si scusa per la percezione di mancata idonea comunicazione e ci tiene a porgere alla famiglia sentite condoglianze. Anche se solo percepite, certe incomprensioni non dovrebbero mai accadere. Ribadiamo il dispiacere per l’accaduto e restiamo a disposizione della famiglia.

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