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Un anno dopo

I ricordi dei sindaci: “Impreparati e confusi davanti a un dramma inimmaginabile”

Gli appunti di alcuni sindaci per ripercorrere quella domenica di carnevale del 23 febbraio 2020 quando si chiuse l'ospedale di Alzano per il Covid 19. Il conto dei morti del mese di marzo e i momenti più drammatici che i primi cittadini furono chiamati a vivere nelle loro comunità.

Come una Polaroid la memoria rimanda a distanza di un anno ricordi come immagini flash. Abbiamo chiesto ad alcuni sindaci di ripercorrere quella domenica 23 febbraio 2020 venne chiuso l’ospedale di Alzano Lombardo per un caso di Covid 19. Fu una giornata complessa, il centro di Bergamo così come molti paesi era calati nell’atmosfera del Carnevale. Alle 13 venne dato l’ordine di sospendere le sfilate, mentre in Prefettura si tenne un vertice d’urgenza e nella stessa sera tutti i sindaci della bergamasca furono convocati al Centro congressi Giovanni XXIII. Ecco gli appunti di quella giornata, il conto dei morti del mese di marzo e i momenti più drammatici che i sindaci furono chiamati a vivere nelle loro comunità.

“Ricordo quell’assemblea convocata d’urgenza al Centro congressi Giovanni XXIII – racconta Stefano Micheli, sindaco di Sedrina -. Eravamo in molti e rimasi un po’ colpito quando vidi che alcuni indossavano la mascherina. Sinceramente non avevo percepito la gravità di quanto stava per accadere”.

“Ricordo perfettamente quella sera, la confusione del momento, con gente ammassata in una sala, tutti molto prudenti nel dire che c’era un problema – afferma Jonathan Lobati, sindaco di Lenna e presidente della Comunità montana Valle Brembana -. Fu un incontro organizzato in fretta e furia con errori anche nella definizione del luogo d’incontro”.

“Quella sera eravamo nella sala strapiena e non avevamo idea di cosa ci sarebbe toccato un solo mese dopo – afferma Carla Rocca, sindaco di Solza -. C’era un sindaco che è medico che con tanto di mascherina e che cercava di far capire la gravità dell’epidemia a noi e alle autorità. Mi ha colpito questo: quanto eravamo impreparati, indossare la mascherina sarebbe stato il minimo, ma a quasi tutti sembrava un esagerazione. Eravamo completamente impreparati eppure abbiamo affrontato tutto, un solo mese dopo eravamo operativi”.

“Fu un incontro surreale: 300 tra sindaci e autorità convocati per spiegare, tra le altre cose, che per il futuro avremmo dovuto evitare assembramenti. Semplicemente assurdo – dichiara Stefano Vivi, sindaco di Sorisole -. Ricordo che ero seduto in quarta fila, i pochissimi che indossavano una mascherina erano guardati con curiosità, anche a causa delle bislacche indicazioni date allora dal Ministero della Salute, ma credo che la percezione della gravità della situazione fosse comunque diffusa tra i presenti. Ricordo alcuni dei sindaci che purtroppo sono mancati per colpa del Covid così come rammento le tantissime strette di mano alla fine dell’incontro, e forse è stato proprio lì che, probabilmente come tanti, mi sono contagiato e qualche giorno dopo ammalato, grazie a Dio senza gravi conseguenze”.

“Andai a quell’incontro a Bergamo in auto con mia sorella Beatrice sindaco di Brignano e Gabriele Riva sindaco di Arzago – racconta Claudio Bolandrini, sindaco di Caravaggio -. La sensazione che ricordo è di sospensione surreale in un limbo, di un’attesa in una bolla, come se si attendesse che ci investisse qualcosa senza riuscire a comprendere cosa e quindi senza riuscire neppure a immaginare cosa potesse accadere e cosa potessimo o dovessimo fare per le nostre comunità. Eravamo passati dall’indicazione dei giorni precedenti improntati a non creare allarmismi tra la popolazione, al primo decreto Conte alla mezzanotte di sabato con le sfilate e i festeggiamenti del carnevale in corso, e alla comunicazione che sarebbero state date disposizioni, che comunque rimanevano imprecisate e tardavano ad arrivare. Anche la situazione paradossale e incomprensibile di trovarci tutti insieme nella stessa sala privi di ogni forma di protezione per sentirsi dire di evitare assembramenti aumentava la difficoltà a capire razionalmente che cosa stesse succedendo ma che emotivamente si avvertiva come grave e fonte di preoccupazione”.

“Quella sera al Centro Congressi c’era molta confusione e disorientamento – dice Davide Casati, sindaco di Scanzorosciate –. La percezione di gravità non c’era ancora, si era consapevoli che c’era un rischio da gestire, ma non di così grave portata”.

“Partecipai all’incontro di quella domenica sera. Ricordo la grande preoccupazione, ma sicuramente non avevo ancora la piena consapevolezza della gravità e di quello che sarebbe successo da lì a pochi giorni” dichiara Alberto Nevola, sindaco di Ponteranica.

Francesco Bramani, sindaco di Dalmine: “Ricordo che tutti ci interrogavamo su cosa stesse accadendo perché i morti nei Comuni erano già aumentati negli ultimi giorni, ma nessuno avrebbe immaginato di essere nel mezzo di una pandemia. In quel momento non ebbi la percezione della gravità della situazione, non c’era nemmeno l’idea della gravità di quello che sarebbe accaduto da lì a breve. Solamente un mese dopo Dalmine contava 93 morti, anche se esattamente non sappiamo quanti siano realmente deceduti per Covid”.

“Ricordo bene quella domenica del 23 febbraio dello scorso anno: una giornata convulsa, iniziata con un messaggio di conferma delle sfilate di carnevale, poi alle 13 la chiamata dei carabinieri con la quale veniva chiesto ai sindaci di annullare la sfilata e l’annuncio della riunione urgente a Bergamo in serata – afferma Chiara Drago, sindaco di Cologno al Serio -. Ricordo che arrivammo al centro congressi ed entrando ci guardavamo tra noi, dicendo fra lo scaramantico e il preoccupato: “Se qualcuno ha il Covid, ci ammaleremo tutti!”. Pochissimi indossavano una mascherina. C’era la percezione che stesse capitando qualcosa di radicalmente diverso da ciò a cui eravamo abituati, ma non avevamo ancora idea della portata che avrebbe avuto. In pochi giorni avremmo imparato che davvero questo virus era già fra noi e ci avrebbe colpito duramente”.

I DECESSI NEL MESE DI MARZO

Stefano Micheli: “A Sedrina il mese di marzo ci furono 20 decessi per Covid e molte persone erano in isolamento”. Carla Rocca: “A Solza abbiamo avuto 12 morti in un mese” tanti quanti in un anno”. Jonathan Lobati: “Nel mese di marzo sono morti 10 lennesi”.
Stefano Vivi: “A Sorisole marzo 2020 fu un mese drammatico. Ci furono oltre trenta decessi a fronte di una media mensile di quattro o cinque”.

Claudio Bolandrini, sindaco di Caravaggio: “Nel mese di marzo ho perso 59 concittadini contro i 12 dell’anno precedente. Cinque volte tanto la media dei precedenti anni con un picco di 7 decessi al giorno. Il silenzio era interrotto solo dalle sirene delle ambulanze e delle campane a morto. Subito compresi che i dati ufficiali dei decessi erano di gran lunga inferiori a quelli reali di Caravaggio. Ricordo anche tra le altre cose la frustrazione e solitudine che provai perché i media nazionali chiedevano in quei giorni di cantare o inscenare flash-mob mentre la situazione era già palesemente tragica per la mia comunità. Mi sembrava di vivere in esilio, straniero nella mia Caravaggio, perché la vita quotidiana a cui eravamo abituati era completamente e incomprensibilmente cambiata nel giro di pochi giorni”.

Davide Casati: “A Scanzorosciate i defunti di marzo 2020 furono 78 residenti, più 34 non residenti ospiti alla casa riposo”.
Alberto Nevola: “A Ponteranica nel mese di marzo dello scorso anno morirono 26 persone”.
“A Cologno al Serio nel mese di marzo morirono 45 persone” rammenta Chiara Drago.

IL DOLORE IN UN RICORDO

“Ricordo lo sguardo smarrito dei miei concittadini e dei dipendenti del comune. Dovevo stare calma e far capire che nessuno era solo” confida Carla Rocca, sindaco di Solza.

“L’immagine dei camion militari che trasportavano le bare dei nostri morti mi ha segnato, ricordo che stavo per andare in diretta con un telegiornale francese e ho chiamato dicendo che non me la sentivo più di parlare: un dolore immenso, incomprensibile” ammette Jonathan Lobati, primo cittadino di Lenna.
“È stato un anno di grande sofferenza anche per la nostra comunità, ma come per la maggior parte dei bergamaschi ritengo che l’immagine della fila dei mezzi militari che portava via i nostri morti rimarrà indelebile – ammette Francesco Bramani di Dalmine -. Ogni sera vedere i dati relativi ai contagi e ai deceduti nel nostro comune è stato straziante, così come vedere la fila degli addetti alle pompe funebri fuori dal municipio”.

Claudio Bolandrini, Caravaggio: “Domenica mattina 8 marzo poco prima delle 8 ricevo una telefonata dall’ospedale di Treviglio-Caravaggio nella quale senza molti giri di parole mi viene chiesto di portare via il prima possibile le salme dei concittadini deceduti nella notte perché bisogna fare spazio ed evitare che la situazione igienico-sanitaria precipiti. Comprendo la reale portata della pandemia. Mi coordino con le agenzie di pompe funebri per accogliere le bare nelle cappelle del cimitero cittadino. Inizia la tragedia delle tumulazioni senza funerali”.

Stefano Vivi, Sorisole: “Non dimenticherò mai il momento del rientro delle urne cinerarie dei nostri concittadini, riportate in comune dai carabinieri dai luoghi lontani dove era avvenuta la cremazione. Neppure dimenticherò mai i feretri in attesa di sepoltura al cimitero. Ma ricordo anche la grande generosità dei volontari che senza esitazione, rispondendo ad una mia richiesta sui social, si misero a disposizione per aiutare la nostra polizia locale nella consegna di mascherine, farmaci e spesa a domicilio. Venne fuori la parte più bella della nostra comunità”.

“Di quel mese ho il ricordo di due suoni che scandivano le nostre giornate – ricorda Chiara Drago, sindaco di Cologno al Serio -. Il primo è quello delle ambulanze. Quanti fra noi hanno come ultimo ricordo del proprio caro il saluto che gli hanno dato mentre saliva su un’ambulanza, senza sapere che non lo avrebbero mai più rivisto! Il secondo suono è quello delle campane, che continuavano a suonare e hanno scandito troppe volte l’ultimo saluto a tante persone che ci hanno lasciato in quei terribili giorni. Il ricordo più doloroso è quello che non ho: in quei giorni ci lasciò anche la nostra amata nonna. Soltanto nostra zia, che lavorava in RSA, poté salutarla. Lei morì il 9 marzo, la sua gemella qualche settimana dopo. La generazione che ha costruito le nostre famiglie ci ha lasciato in pochi giorni, senza nemmeno un saluto comunitario. Credo che questo sia stato l’aspetto peggiore di quei terribili mesi, oltre al senso di solitudine e di paura che tutti abbiamo provato. Per cercare di farmi forza e di fare forza alla mia comunità, ho preso l’abitudine di telefonare ogni sera alle 18 ai miei concittadini, per aggiornarli e tenere unito il nostro legame comunitario. Sempre di quei giorni ricordo anche la straordinaria risposta dei giovani in termini di volontariato: già all’inizio di marzo l’assessore Andrea Gastoldi, con la Protezione Civile, i ragazzi del Gruppo Giovani e i negozi colognesi, era riuscito a mettere in piedi una struttura di consegna a domicilio della spesa, dei farmaci e degli scarsi DPI che in quei giorni incominciavano ad arrivare. Mai come in quei giorni mi sono sentita parte della mia comunità, condividendo la sofferenza di tante famiglie e la grande risposta solidale e corale del nostro paese”.

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