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L'intervista

La pandemia e il sogno del musicista: “80 giorni”, nuovo singolo di Andrea Bertè

Il 18enne di Ponteranica, noto al grande pubblico per una grande performance sul palco di The Voice of Italy, dal 2 febbraio è presente su tutte le piattaforme digitali col brano inciso con etichetta Polydor/Universal Music.

“La strada del cantante è la mia prima scelta. Qui mi gioco il tutto e per tutto”. Sa quello che vuole dalla vita Andrea Bertè, diciottenne di Ponteranica: fare un concerto in uno stadio colmo di gente.

Che avesse stoffa e coraggio da vendere, ne avevamo già la prova, dopo averlo visto a soli diciassette anni sul palco di The Voice of Italy, quando conquistò i giudici con il brano “We Don’t Talk Anymore” di Charlie Puth.

Ora Andrea, che sta frequentando l’ultimo anno al Liceo Natta di Bergamo, torna in carreggiata con “80 giorni”, il suo nuovo singolo dal due febbraio su tutte le piattaforme digitali su etichetta Polydor/Universal Music.

Raccontaci la storia di “80 giorni”. Come è nata?

Questa canzone è nata durante il primo lockdown da una situazione che stavamo vivendo io, Andrea Tripodi e Stefano Paviani, le due persone con cui ho scritto “80 giorni”. Raccontiamo la mancanza di una persona a noi cara, in particolare questa situazione è stata vissuta molto intensamente da Andrea, bloccato a Milano, mentre la fidanzata stava a Londra. Sono stati divisi dalla pandemia.

Una canzone creata nel momento più difficile della pandemia. Come avete lavorato?

Il tutto è avvenuto a distanza, ognuno a casa propria. L’unico spostamento che, per forza di cose, ho dovuto fare è stato quello di recarmi nello studio di registrazione di un amico.

Come organizzavi le tue giornate in quel periodo?

Scuola e musica, era inevitabile. Devo dire che sono riuscito ad abituarmi alla routine a casa, sono riuscito a trovare il lato positivo della situazione, sfruttando il tempo al meglio.

Hai appena citato la tua famiglia. Che rapporto hai con i tuoi?

I miei genitori sono le persone che mi hanno insegnato a cantare. Avevo tre anni ed era un gioco per me. I miei genitori hanno sempre organizzato feste a casa, in cui le persone cantavano e ballavano. È stata in una di quelle occasioni che ho preso in mano il microfono per la prima volta. Da lì, quello che era un gioco si è trasformata nella mia passione. Ora è da diversi anni che continuo a studiare canto con gli stessi insegnanti, che mi seguono benissimo.

La canzone ti vede anche protagonista di un videoclip molto suggestivo. Dove è stato realizzato?

È stata la mia prima esperienza di registrazione di un video ufficiale. Il lavoro è stato fatto subito dopo il primo lockdown, nel momento in cui si è potuto di nuovo uscire. È stata una giornata stupenda di riprese all’ex manicomio di Mombello, una struttura abbandonata e parzialmente distrutta.

È uscito da poco il tuo nuovo singolo. C’è un album in cantiere?

Ci sono già dei pezzi pronti, ora capiremo con Universal quali saranno i prossimi passi da compiere.

Questo tuo nuovo singolo esce su etichetta Polydor/Universal Music: un traguardo importante….

È una grande emozione poter lavorare per una etichetta di questo calibro. In tutto onestà non me l’aspettavo di partire da questo punto. Sono felice. La produzione è stata fatta da noi e poi mi sono ritrovato catapultato negli uffici di Universal.

Se te ne fosse data la possibilità, con chi ti piacerebbe duettare?

Per quanto riguarda il panorama italiano, mi piacerebbe lavorare con Irama e Ultimo. Anche con cantanti diversi dal mio genere, come Sfera Ebbasta, Mr. Rain. Poi ci sono altri miti: mi riferisco a Jason Derulo, BTS, Justin Bieber e Bruno Mars o ai grandi disc jockey, quali DJ Khaled e Marshmello.

Quale momento preferisci della vita di palcoscenico?

Il prima e il dopo. Prima di iniziare c’è un senso di ansia che ad un certo punto si trasforma in adrenalina. Poi quando sei sul palco, senti il calore della gente, l’adrenalina sale alle stelle: quello è il momento più bello.

Ora hai diciotto anni. Prova a immaginarti tra dieci anni: cosa vedi?

Il mio desiderio più grande è un futuro di fare un concerto in uno stadio, magari a San Siro, con tantissime persone che cantano le mie canzoni.

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