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L'intervista

Frank Mada: giovane cantautore da Bergamo a Londra per la musica

Astratto, alternativo ed energico, questi gli aggettivi di Francesco, l'artista che da Bergamo è volato a Londra e ha pubblicato il suo primo EP.

Francesco Amadini, in arte Frank Mada è un giovane cantautore di 25 anni, originario di Bergamo. Suona la chitarra da quando ha 10 anni; dal 2016 inizia a scrivere canzoni e dopo aver coltivato gli studi di musica al ‘Centro Didattico Produzione Musica’ decide di trasferirsi a Londra per iniziare un percorso universitario in Songwriting al ‘The Institute of Contemporary Music Performance’. Il genere in cui si identifica è il pop, con tratti alternative, e gli aggettivi che lo definiscono di più sono astratto, alternativo ed energico. Scopriamone il motivo attraverso le sue quattro canzoni dell’EP, due delle quali uscite già nel 2020.

La prima è ‘Cold war’ e parla della condizione in cui si hanno troppi pensieri in testa, tanto che sembra esserci nella mente una guerra fredda, appunto.

Scrivere musica ti aiuta a ordinare i pensieri o alimenta la confusione che a volte hai in testa?

Sì, mi aiuta a riordinare i pensieri ma soprattutto in un secondo momento. Prima li butto giù, poi solo dopo li riguardo, li sistemo, ci rifletto in seguito. C’è una parte più impulsiva e poi solo in seguito riesco a sistemare i concetti con la melodia e approfondirli.

In una strofa dici che preferiresti essere un sognatore che essere triste. Essere un cantautore è essere un sognatore oggi?

Si, esatto. Il mio sogno non è il successo ma poter lavorare da mattina a sera con la musica. Aver scelto questa strada significa aver iniziato la strada dei sognatori. Preferisco guardare le cose più positivamente che negativamente, anche se non sono un grande ottimista. Però avere un obiettivo ti fa svegliare la mattina con una certa carica.

In ‘Indifference’ fai un elenco di cose e situazioni verso cui la società resta ingiustamente indifferente. Cantare le cose sbagliate è un modo per combatterle? O ti aiuta ad accettarle?

Sì, già parlarne è un modo per riflettere, mettere in evidenza e in discussione dei problemi. La canzone parla dell’indifferenza delle persone, ma poi nel ritornello tento di smuoverle, non assecondarle. La musica è un modo per mettere in evidenza dei problemi, è un inizio.

In ‘Welcome to your world’ parli di una ragazza che scappa da una realtà difficile per andare in un nuovo mondo, con paura, preoccupazioni e curiosità. L’hai scritta immedesimandoti in lei e in un atto di fuga? Pensi che possa essere adatta ad esempio ai ragazzi che partono per un Erasmus? Lo consiglieresti?

L’ispirazione della canzone mi è giunta più di cinque anni fa, quando ho conosciuto una signora che viveva ad Aleppo in Siria dove c’era la guerra civile, e lei mi ha raccontato della situazione familiare complessa oltre alla guerra. La canzone poi l’ho scritta dopo a Londra, romanzandola dal mio punto di vista. Racconto di questa ragazza costretta a fuggire dal suo paese ma allo stesso tempo curiosa di scoprire nuove cose. Il progetto principale dell’EP è questa canzone. Mi ci sono immedesimato, anche se non fuggivo da niente, ho solo inseguito qualcosa che mi attraeva cioè la musica, avevo bisogno di un’esperienza nuova e diversa. Lo consiglierei sì, mi ha cambiato come persona, la città ha una mentalità completamente diversa, è proprio libera, ti senti a tuo agio in qualsiasi situazione. Ho imparato tanto, e mi ha influenzato anche nella musica. Con l’esperienza in università sono riuscito a mettermi in discussione con compagni che vengono da ogni parte del mondo, anche se non serve un’università per scrivere canzoni.

Come funzionavano le lezioni?

Ogni settimana si portava una canzone con una tematica, come la politica, la religione, sociale come l’indifferenza, per questo ho scritto la canzone. E i compagni davano il loro parere, ti stimolavano, mi ha permesso un percorso più regolare. Così sono nate queste canzoni, grazie a feedback di compagni di classe e produzione.

Hai fatto anche un video clip per questa canzone. Pensi che il video sia un supporto importante per le canzoni o sia più facile diffonderle con Spotify che è più immediato? Hai scelto lo Spazio Fase per realizzarlo, perché?

La cosa complessa da risolvere era trovare la protagonista e uno spazio abbastanza grande per eseguire un piano sequenza, quindi almeno 100 metri, e lo Spazio Fase adempiva a tutte queste e altre esigenze. Il video ha completato e arricchito il significato della canzone, anche perché il testo era già corto e non così profondo come potesse essere anche con un supporto visivo. Nella canzone poi non si coglieva l’aspetto del viaggio mentre nel videoclip risalta, anche grazie alla scelta scenografica del binario.

Nel singolo che deve uscire il prossimo aprile ‘Looking for your eyes’ hai inserito un piccolo inciso in italiano. Pensi che il pubblico migliore, curioso e disponibile a provare generi e autori nuovi sia quello italiano o inglese?

Sicuramente in inglese hai un pubblico un po’ più ampio, sono più aperti ad ascoltare cose diverse. In Italia forse sono un po’ meno disposti ad ascoltare cose nuove, anche se il mio genere è poco nuovo. Alle persone che l’ho fatto ascoltare fino ad ora sono rimaste stupite, anche se magari non capiscono il significato delle parole in italiano. Ovviamente il mercato qui è difficile in italiano, è quasi impossibile emergere con una canzone italiana qui all’estero, perché il testo è una parte importante. Ho inserito la parte italiana perché mi serviva qualcosa per creare uno stacco nella canzone, poi io sono favorevole a mischiare e provare cose nuove.

Hai progetti per il futuro?

Ora mi sono appena laureato alla triennale. Potrei continuare nell’università ma quel percorso ti porta a insegnare, e non è quello che vorrei fare. Per ora lavoro ma punto a non aver bisogno di lavorare in contesti che non siano la musica, che a questo livello non mi permette di avere abbastanza entrate. Intanto penso a far uscire l’EP, e continuo a registrare canzoni.

 

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