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La novità

Berta: “È l’ora degli investimenti pubblici”, lo studio BNC su Forbes e Sky

Nella serata di venerdì 5 febbraio il format economico “Il futuro dei media" andrà in onda su BFC TV canale 511 di SKY e 61 di TIVUsat alle 22.30.

Pubblichiamo un estratto dell’intervista a Giorgio Berta, fondatore e socio dello Studio BNC, la versione integrale è sul numero di gennaio di Forbes.

“È l’ora degli investimenti pubblici, necessari per superare l’emergenza e fare da volano per i capitali privati”. È la ricetta per il rilancio dell’economia nazionale di Giorgio Berta, commercialista bergamasco autore di numerose pubblicazioni sul mondo imprenditoriale, già professore a contratto all’Università di Bergamo e consigliere d’amministrazione di numerose società.

Dal sul punto di vista di osservatore privilegiato, come sta andando l’economia reale?
“Varia molto a seconda del settore di attività. Molte hanno tenuto fatturato e margini altre stanno ancora soffrendo la negativa congiuntura economica con fatturati che a fine anno si stima possano scendere tra il 25% e il 40%. Dunque l’emergenza è la tenuta dei margini: nell’immediato occorre un forte monitoraggio della gestione, ancor più assiduo che nel passato, finalizzato alla salvaguardia della continuità aziendale e quindi in molti casi alla selezione di quelle spese non più ritenute necessarie al riposizionamento sul mercato. È probabile che la ripresa comporterà un radicale cambiamento nel modo di lavorare ed è possibile che assetti organizzativi come lo smart working continueranno ad essere applicati anche se con un approccio meno caratterizzante rispetto ad oggi. Difficile capire appieno quale sarà l’evoluzione, ma non è improbabile che fra cinque anni lavoreremo tutti in modo sostanzialmente diverso rispetto ad oggi”.

Un cambiamento radicale che decreterà vincitori e vinti…
“Il cambiamento comporterà il sostenimento di investimenti che dovranno garantire una redditività complessiva che giustifichi la presenza delle imprese sul mercato, pena il rischio di compromettere l’esistenza anche di quelle più virtuose. Le sfide sono però sempre più complesse. Gli imprenditori chiedono a gran voce una politica industriale che sostenga le loro attività non solo finanziariamente ma anche attraverso investimenti pubblici che colmino i ritardi infrastrutturali, fra tutti la digitalizzazione, del nostro paese”.

Di cosa hanno bisogno le imprese oggi per far ripartire il paese?
“Prima di tutto hanno bisogno che si instauri nel paese un clima generale di fiducia, che potrà generarsi se l’emergenza sanitaria avrà finalmente fine o attenuerà i suoi effetti, se le scelte del governo saranno quelle giuste e avranno una prospettiva di medio lungo periodo e non saranno condizionate solo dalla logica del consenso.
In questo contesto è necessario che lo Stato si faccia promotore di una serie di investimenti che siano trainanti dell’intero sistema e dia risposte immediate e i cui effetti non trovino intralcio nei lacci e nei lacciuoli della burocrazia. È oramai storicamente provato che gli investimenti nel settore pubblico hanno il pregio di fungere da traino e moltiplicatore per tutta l’economia ma il problema sta proprio nella constatazione che nell’ultimo ventennio lo Stato ha investito pochissimo. Inoltre è necessario che i settori dell’istruzione e della cultura (oltre a quello sanitario) tornino ad essere al centro dei piani di sviluppo del paese”.

Però anche le imprese sono chiamate a rinnovarsi. Vede nuovi spazi per le aggregazioni?
“Le operazioni di m&a sono in aumento benché le piccole imprese siano ancora poco restie a crescere per linee esterne. I motivi possono essere diversi e riguardare un sistema del credito poco capace a sostenere l’imprenditore che investe, il timore di una legislazione che da un momento all’altro modifica le proprie regole, la burocrazia che rende tutto più complicato di quello che dovrebbe essere. Diverso è il caso dell’ingresso dei fondi di private equity nelle imprese: la mia esperienza al riguardo e nella quasi totalità dei casi è positiva. I fondi generalmente portano conoscenza, regole di comportamento e managerialità di qualità da cui ne consegue per l’imprenditore una possibilità di crescita professionale che difficilmente potrebbe avere in altro modo.
Non sempre tuttavia l’opportunità viene colta dall’imprenditore che si convince con difficoltà quando l’ipotesi di un investitore finanziario si profila per poi porre dei paletti a una condivisione più o meno invasiva della gestione”.

È più facile, dunque, che le operazioni di concentrazione avvengano con logica industriale?
“In molti casi la concentrazione rappresenta l’unica soluzione possibile per restare competitivi su un mercato sempre più globalizzato e competitivo, soprattutto nel caso di aziende famigliari per le quali il tema del passaggio generazionale si pone con particolare enfasi. Esistono aziende dal potenziale inespresso che sino ad oggi hanno trovato nell’intraprendenza del titolare, nelle sue conoscenze, nel suo modo di agire a volte “naif” il loro modo di essere sul mercato. Oggi tutto questo però non è più sufficiente perché l’accentramento delle funzioni, delle attività in capo a una o poche persone rischia di compromettere la continuità aziendale, la conservazione della conoscenza. Per questo è necessaria la condivisione, l’unione, non solo per una questione di vantaggio per la singola impresa ma per tutta l’economia”.

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