Fotografare è scrivere con la luce. Per un aspirante fotografo nato a Caravaggio, paese natale del genio della pittura Michelangelo Merisi – detto appunto il “Caravaggio, che ha fatto della luce il suo codice – non deve essere stato facile.
L’aspirante fotografo ci ha lasciato all’età di 90 anni, il suo nome è Pepi Merisio: un maestro della fotografia italiana. Un grande scrittore della luce, in particolare quella del lavoro e dell’etica contadina che si traduce in pochi simboli ma di altissimo valore. Così come era per Giacomo Manzù nella scultura con la sedia, i cardinali, le nature morte, così come lo è stato poi per quel capolavoro cinematografico che è “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi.
Pepi Merisio si inserisce in questo filone con la sua macchina fotografica. Negli anni del boom economico, il suo raccontare per immagini è in perfetto equilibrio tra l’artigiano e l’artista. Suo il reportage per “Epoca” del 1964 “Una giornata dal Papa”, su Paolo VI. Un servizio che gli diede la ribalta internazionale. E non fu solamente per il soggetto, un pontefice, ma per come lo raccontò, lo immortalò su carta.
Dopo la provincia bergamasca raccontò di panorami, di paesaggi, dalla Lombardia alla Sicilia. Una carta d’identità onesta e sincera dell’Italia di allora. Nel 2007 la Fiaf gli ha dedicato il volume “Grandi autori” dopo averlo nominato nel 1988 Maestro della Fotografa Italiana. Nel 2008 il ministero degli Esteri lo incaricò di allestire la mostra “Piazze d’Italia” da esporre nelle principali capitali europee e nel 2011 fu ospite dell’edizione numero 54 della Biennale di Venezia.
Il suo narrare con le fotografie fu un lavoro quotidiano, una cronaca dei giorni e dei luoghi che testimoniano un secolo che passa veloce, come fu appunto il secolo breve del Novecento. Nel 2019 la sua arte fu raccolta a Bergamo nella mostra “Guardami” al museo della Fotografia Sestini, che oggi ospita il suo fondo composto da 252.000 diapositive, 165.000 negativi su pellicola e 154.000 stampe. Tutti scatti scelti dal maestro di Caravaggio, perché nulla del suo operato, fatto di ricerca, studio e fatica andasse perduto. Ora resta la sua arte a ricordarlo, a noi il compito di ammirare, imparare e celebrare la sua grandezza.
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