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Storia delle epidemie 9

La letale e rapidissima malattia del sudore: “Allegri a pranzo, morti a cena”

Le prime manifestazioni in Inghilterra nel 1485: di aspetti sconcertanti ne aveva parecchi: il morbo sembrava prediligere le persone di classe agiata dell’Inghilterra, senza risparmiare i nobili di alto rango.

L’epidemia di peste del XIV secolo dopo aver provocato la morte di un terzo della popolazione europea, verosimilmente 20 milioni di individui, si estese in seguito al Nord Africa (1349), penisola araba (1349), Cina (1353-1354), Inghilterra (1361-1363), Islanda (1402-1404). Epidemia di peste bubbonica si riscontrano ancora nel 1428 e 1466 in Inghilterra e fra il 1495 e 1496 in Francia, portando così il totale a 75 milioni di morti sui 450 milioni di popolazione mondiale stimata fra il XIV e il XV secolo.

Curiosamente, tra le tante epidemie che afflissero l’Europa durante il Medio Evo, ce n’è una poco conosciuta e poco ricordata, ancorché misteriosa. Forse perché colpì prevalentemente l’Inghilterra e alcuni paesi dell’Europa continentale del nord (Germania, Danimarca, Scandinavia, Russia), e non può certamente annoverarsi tra quelle che hanno causato più morti. A differenze di altre letali epidemie del passato, come peste, colera e tifo, delle quali sono ormai certe le cause, questo strano morbo, chiamato malattia del sudore o sudore inglese (nella forma latina sudor anglicus), rimane di incerta eziologia. Quel che è certo è che le persone morivano, dall’inizio dei sintomi, nel giro di 24 ore e anche meno, letteralmente in un bagno di sudore.

Il decorso della malattia fu descritto nel 1551 da un medico, John Caius, che è una delle poche fonti su questo misterioso morbo. La malattia iniziava con un senso di apprensione, seguito da forti brividi, vertigini, mal di testa e dolori al collo, spalle e arti. Dopo questa cosiddetta “fase fredda”, che durava da mezz’ora a tre ore, seguiva un periodo di calore e sudore. La sudorazione abbondante, caratteristica del morbo, si scatenava improvvisamente, senza alcuna causa apparente. Contemporaneamente, subentravano sensazioni di calore, delirio, battito accelerato, sete intensa, palpitazioni e dolori al cuore. Nell’ultima fase il paziente provava un esaurimento fisico totale e sentiva il bisogno irresistibile di dormire, considerato fatale se gli fosse stato permesso di farlo. La morte poteva subentrare già dopo due o tre ore, ma in genere il calvario durava da 12 a 24 ore. Chi sopravviveva per più di 24 ore veniva considerato salvo. Il dottore si trovò quindi nel mezzo dell’ultimo focolaio conosciuto in terra britannica, poi, così misteriosamente come era cominciata, scomparve per sempre (si registrò qualcosa di simile, ma non proprio identica, in un’area ristretta della Francia agli inizi del ‘700).

La prima epidemia si presentò nel 1485, durante l’estate, proprio all’inizio del regno di Enrico VII (Enrico Tudor), che conquistò il trono a scapito di Riccardo III dopo la Battaglia di Bosworth Field del 22 agosto e passata alla storia come lo scontro finale della Guerra delle due Rose. Ma fu anche la prima occasione in cui venne menzionata la malattia destinata a seminare terrore e morte in tutto il Paese. Alla vigilia della battaglia, un alleato di Riccardo, lord Thomas Stanley, esitò ad avvicinarsi per timore, come scrisse in una lettera al re stesso, della nuova malattia scoppiata tra le truppe nemiche. Fu quasi certamente un pretesto per mantenere una posizione defilata, in seguito, Stanley cambiò bandiera, alleandosi con Enrico, ma la malattia fu reale e devastante. Il 25 agosto, Enrico Tudor giunse a Londra con i suoi uomini, portando con sé anche il morbo, che nelle cronache cittadine fu menzionato per la prima volta il 19 settembre. Da quel momento e sino alla fine di ottobre, in sole sei settimane, uccise circa 15.000 persone.

L’aspetto più inquietante era l’estrema velocità con la quale si propagava nell’organismo e poteva uccidere persone che, fino a poche prima, erano perfettamente in salute. Come scrisse un cronista “Allegri a pranzo e morti a cena”. Thomas Forrestier, un medico francese che all’epoca viveva a Londra e ha lasciato una prima testimonianza del morbo, vide “due preti che stavano chiacchierando, morendo di colpo. Lo stesso giorno abbiamo visto la moglie di un sarto ammalarsi e morire in un attimo. Un giovanotto che camminava per strada a un tratto cadde e morì”. Forrestier continua con una descrizione della malattia “che arriva con grande sudore e fetore, rossore in faccia e sul corpo, con una sete continua, gran calore e mal di testa per causa dei vapori e veleni”.

Alla fine di ottobre del 1485 la malattia scomparve, per poi tornare a manifestarsi, a intervalli irregolari, per quasi un secolo. Nuove epidemie scoppiarono nel 1507 (anche se già nel 1502 l’allora principe di Galles, Arturo, fu probabilmente vittima del “sudore”) e nel 1517, facendo registrare un alto tasso di mortalità a Oxford, Cambridge e altre città. In alcuni casi uccidendo fino alla metà della popolazione. Solo nel 1528 il morbo raggiunse le proporzioni di epidemia, arrivando come suddetto sul continente. L’ultimo importante episodio infettivo si verificò nel 1551, e poi più nulla: la malattia misteriosamente scomparve, senza però svelare i suoi segreti.

Di aspetti sconcertanti ne aveva parecchi: il morbo sembrava prediligere le persone di classe agiata dell’Inghilterra, senza risparmiare i nobili di alto rango. Il nome malattia del sudore inglese è proprio dovuto al fatto che l’epidemia non si diffuse nelle altre regioni britanniche: Scozia, Galles e in una certa misura l’Irlanda sembravano non interessare al virus, che, a detta del medico John Caius “seguiva gli inglesi come un’ombra”. Ma non solo: colpiva prevalentemente persone giovani, ma sembrava risparmiare anziani e bambini piccoli.

Tra i superstiti eccellenti ci fu il cardinale Wolsey, che pare sia guarito da due diversi episodi (1517 e 1528), e forse anche Anna Bolena. Morì invece l’erede al trono di Enrico VII, Arthur Tudor, e poi, nell’ultima epidemia, i due fratelli Henry e Charles Brandon, duchi di Suffolk, che se andarono a distanza di un’ora l’uno dall’altro.

La principale fonte sulla malattia del sudore è il già citato “A Boke or Counceukk Against the Disease Commonly Called the Sweate, or Sweatyng Sickness”, lo studio pubblicato nel 1552 dal medico inglese John Casus. Nato a Norwich nel 1510, latinizzò in seguito il suo nome in Caius, studiò a Cambridge e poi con Andrea Vesalio a Padova, dove, nel 1541, si laureò in medicina. In seguito girò per l’Italia in cerca di opere di Galeno, Ippocrate e altre autorità greche, per ritradurre i testi in latino. Tra questi anche “l’Hippocrates de Medicamentis”, un’opera allo sconosciuta, probabilmente ritrovata dallo stesso Caius. Tornato in Inghilterra, fu ammesso al Collegio Reale dei Medici ed esercitò la professione a Londra.

Nel 1551 lo scoppio del sudor anglicus gli diede la possibilità di osservare da vicino il percorso della malattia. nella sua analisi, Caius intravedeva come cause principale da una lato la nebbia e le esalazioni cattive e, dall’altro, la voracità e l’effeminatezza degli Inglesi moderni. Come prevenzione, consigliava il consumo di frutta, pesce e carne fresca e la pratica di attività fisiche, quali la caccia, la falconeria o il tennis. Il rimedio consisteva, secondo lui, nello stimolare con erbe e bevande calde la già abbondante sudorazione. Consigliava anche di tirare naso e orecchie del malato, per impedire che si addormentasse. Quanti pazienti siano stati salvati grazie alle cure del medico inglese non è dato sapere, mentre è certo che l’epidemia gli diede la possibilità di arricchirsi.

Negli anni seguenti Caius diventò medico di corte e scrisse trattati che spaziavano in vari campi, fra cui “Su Alcune Piante e Animali Rari” e “Sui Cani britannici”. Inoltre, nel 1557, rifondò e ampliò il Gonville Hall di Cambridge, il collegio nel quale aveva studiato, ribattezzandolo Gonville & Caius College, nome che l’istituto porta tuttora.

Nel corso dei secoli molti ricercatori hanno provato a cercare la causa della malattia, dando spiegazioni anche molto diverse fra loro. Gli studiosi moderni suggeriscono che la malattia potrebbe essere stata causata da un hantavirus sconosciuto, trasmesso all’uomo da roditori portatori. Nell’uomo, esso provoca un’infezione polmonare fatale che induce sintomi simil-influenzali come febbre, tosse, dolore muscolare, mal di testa e letargia. Il tasso di mortalità arriva fino al 36 percento. L’hantavirus fu isolato per la prima volta durante la guerra di Corea (1950-1953), quando le truppe furono colpite da quella che allora veniva chiamata febbre emorragica coreana. Un soldato su dieci si ammalò e morì. Al virus fu dato il nome del fiume Hantan, che si trova in Corea del Sud. Da allora, i casi di hantavirus nel mondo sono stati pochissimi.

Un’altra ipotesi è che la malattia sia stata causata dall’arbovirus, diffuso da zecche e zanzare. In alcune aree la malattia del sudore comparve dopo periodi di piogge prolungate e inondazioni estese, quindi in zone con un alto tasso di umidità. Questo potrebbe spiegare perché le aree ad un’altitudine maggiore e più fredde non furono colpite. Tra le altre ipotesi sono stati considerati il botulismo alimentare e l’antrace, ma alla fine resta difficile dire quale sia sta effettivamente la causa. Del resto, come altre epidemie, la malattia del sudore scomparve improvvisamente così come era apparsa.

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