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L'ue e noi

Ciò che manca nel Piano di Ricerca e Resilienza del Governo

Il Piano dell’Italia dovrebbe fornire indicatori sull'impatto economico e sociale della crisi, in particolare nel quadro di valutazione sociale, per aiutare a riflettere su come potrà agire la crisi sul PIL, sul reddito alle famiglie, sui sistemi della salute e dell’assistenza, sulla disoccupazione, sull'occupazione

Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del Piano per la Ripresa e la Resilienza si sono intensificate, in numerosi giornali, le critiche al documento.

Fra tutte, ho apprezzato molto l’analisi, molto puntuale, mossa da Giovanni Tria – Il Sole 24 Ore del 16 gennaio u.s.- con argomentazioni convincenti e ricche di sostanza. L’esempio inziale dell’analisi di Tria sintetizza la Sua posizione “Se affermiamo che dobbiamo costruire un ponte, per attraversare un fiume, esprimiamo un bisogno reale, ma non presentiamo un progetto”.

In sostanza, secondo Tria, aver espresso nel documento: gli Assi principale del Progetto, le priorità trasversali, le sei Missioni e le quarantasette linee di intervento, significa solo, e la cosa in sé è positiva, aver evidenziato i bisogni della società italiana, all’interno di una realtà europea in evoluzione, ma non significa affatto aver affrontato, con proposte concrete, il vero nodo dello sviluppo.

I finanziamenti accordati con sensibilità e lungimiranza dall’Unione europea agli Stati membri, per uscire rinnovati dalla pandemia -decisione che ha registrato l’astensione, nella votazione al Parlamento europeo, dei Partiti sovranisti, Italiani inclusi – avrebbero dovuto aiutare gli Stati con maggiori problemi di bilancio, a innescare riforme nei campi fiscali, nel mercato del lavoro, nel Welfare, nella pubblica amministrazione, nella giustizia, nella politica industriale. Di queste riforme, necessarie soprattutto nel nostro Paese ( come più volte evidenziato anche nei puntuali documenti del “Semestre europeo”, suggerimenti in genere poco ascoltati dalla nostra classe politica, o addirittura considerati noiosi e inutili da quei Partiti che non sono in grado di capire che l’appartenenza all’Europa, e l’esempio degli Stati più performanti deve agire come stimolo per migliorare) non vi è traccia nel Piano. Eppure la Commissione, grazie a un lavoro comune con il Parlamento europeo, con un suo pregevole documento del 17 settembre – SWD 205 – aveva suggerito agli Stati indicazioni preziose, per superare il livello dei bisogni, e procedere a concreti esempi di riforme, che collegassero tra loro i singoli obiettivi, con gli strumenti, e con una visione chiara dei benefici diretti e indiretti, che si sarebbero potuti ottenere, negli interventi sociali e finanziari, con i fondi a disposizione, con un’attenzione costante ai risultati dei Paesi più virtuosi. Facciamo alcuni esempi, per cercare di superare il livello dell’affermazione del bisogno ed entrare in una prima fase di progettualità.
La Missione 1 del Piano si occupa di digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura.

Transizione digitale

Per la transizione al digitale, il Piano dovrebbe enunciare, con cifre puntuali, il contributo delle misure proposte alla trasformazione digitale delle economiche e dei settori sociali: pubblica amministrazione, giustizia, salute, e sistema e dei servizi pubblici. Per le qualifiche e abilità, vi sono richieste esplicite della Commissione, alle quali i Piano dovrebbe concretamente dare risposte:

  • entro il 2025, la quota di cittadini europei di età compresa tra 16-74, con capacità digitali di base dovrebbe aumentare, per raggiungere il 70 %;
  • i sistemi educativi devono essere ulteriormente adattati alle sfide del 21 ° secolo;
  • gli Stati membri dovrebbero garantire che la competenza digitale degli alunni venga notevolmente migliorata, al fine di ridurre la quota di studenti di età compresa tra 13 e 14 anni che ottengono risultati inferiori in termini di alfabetizzazione informatica, indice che oggi, in alcuni Paesi, è sotto il 15%;
  • entro il 2025, almeno quattro su cinque diplomati nella formazione professionale dovrebbero essere impiegati e tre su cinque dovrebbero beneficiare on-the-job training;
  • sviluppare reti di distribuzione di elevate di capacità, tra cui fibre 5G e 6G;
  • garantire Gigabit e connettività per i driver socioeconomici;
  • progetti concreti, con tempi e metodi, per digitalizzare la pubblica amministrazione e i servizi pubblici;
  • con quali strumenti rafforzare le competenze digitali, riducendo le differenze di competenze in questo campo;
  • quali interventi, concordati con le parti sociali, per la digitalizzazione delle imprese;
  • come digitalizzare i settori come l’energia, la salute, i trasporti, l’istruzione, i media e la formazione;
  • con quali interventi migliorare la resilienza cibernetica di settori e di aziende;
  • con quali strumenti aumentare le competenze digitali e i programmi di istruzione per la forza lavoro, per gli studenti, per i cittadini e per il settore pubblico;
  • dove organizzare e come finanziare i poli di innovazione digitale, per sostenere la digitalizzazione dell’industria e del settore pubblico, compresi i sistemi giudiziari;
  • come organizzare le piattaforme digitali sicure e gli spazi di dati locali;
  • come creare infrastrutture e database per servizi pubblici digitali interoperabili;
  • individuare gli organismi in grado di creare sistemi e database di tracciabilità dei materiali (ad es. informazioni sul tipo di passaporto del prodotto);
  • come adottare e aggiornare le cartelle cliniche elettroniche e l’interoperabilità;
  • con quali strumenti, concordati con le Categorie professionali, potenziare la tele-sanità, compresa la telemedicina;
  • come organizzare il monitoraggio della tele-medicina;
  • individuare i processi per rendere la smart grid resiliente;
  • dove e come organizzare le infrastrutture di “storage”, necessarie per i sevizi e per la pubblica amministrazione.

Fabbrica intelligente (smart manufacturing): utilizzo dei servizi digitali per la mobilità dei cittadini e delle imprese, dei beni e servizi, attraverso l’operabilità del cross- border, favorendo un maggiore utilizzo della “nuvola pan europea” per la fornitura di servizi di pubblica utilità, che interessano, in particolare, la sanità elettronica. Le azioni devono prevedere l’accelerazione dei processi amministrativi, con l’obiettivo di semplificare l’interazione digitale tra amministrazioni, cittadini e imprese, migliorando il processo decisionale e i servizi pubblici, utilizzando tecnologie digitali avanzate, tra cui il calcolo ad alte prestazioni dell’identificazione elettronica, e l’intelligenza artificiale. Tutto il processo va sviluppato attraverso una continua concertazione tra le parti sociali e i rappresentanti della società civile organizzata. Si possono ottenere risultati tangibili solo se i processi di evoluzione culturale sono in grado di coinvolgere, globalmente. L’insieme delle parti sociali.

Generico gennaio 2021

Utilizzo dei sistemi digitali per i servizi pubblici e per la cultura (e-government)

Ammodernamento della pubblica amministrazione, utilizzando i modelli digitali abilitanti (e-ID), e le tecnologie abilitanti dell’informazione e della comunicazione elettroniche:

  • tecnologie per l’internet delle cose;
  • tecnologie per l’innovazione della virtualizzazione delle piattaforme, delle infrastrutture e dei servizi digitali;
  • tecnologie per la valorizzazione dei dati su modelli aperti e di grandi volumi;
  • tecnologie per l’innovazione dell’industria creativa, dei contenuti e dei media sociali
  • tecnologie per la sicurezza informatica.

Elenco dei settori applicativi

  1. salute e assistenza;
  2. formazione e inclusione sociale;
  3. cultura e turismo;
  4. mobilità e trasporti;
  5. energia e ambiente;
  6. monitoraggio e sicurezza del territorio;
  7. telecomunicazioni.

Sempre sulla transizione digitale

  • investimenti in reti sicure e altre infrastrutture per affrontare i fallimenti del mercato, colmare il divario digitale e raggiungere gli obiettivi di connettività 2025 dell’UE, in linea con i piani nazionali per la banda larga, per consentire alle imprese, in particolare alle PMI, nonché a tutte le famiglie, soprattutto a quelle nelle zone rurali, di partecipare, in sicurezza, all’economia digitale;
  • investimenti per affrontare i fallimenti del mercato e rafforzare l’autonomia strategica dell’UE e la cibersicurezza / resilienza informatica, in particolare per i settori critici dei componenti e delle tecnologie abilitanti, ad esempio acquisendo e migliorando l’accesso al calcolo avanzato ad alte prestazioni e alla cibersicurezza;
  • finanziamento di competenze digitali e programmi di istruzione per la forza lavoro, gli studenti, i cittadini o il settore pubblico. Miglioramento delle infrastrutture e delle attrezzature digitali per l’istruzione e la formazione (connettività e dispositivi digitali); così come la formazione degli insegnanti nell’uso delle TIC per l’insegnamento;
  • supportare le piccole imprese a riposizionarsi, dopo la pandemia, in un ecosistema più digitale con strumenti digitali che rispettino i valori europei e che tengano conto delle esigenze di cibersicurezza; e sostenere lo sviluppo di modelli di business e competenze, per consentire alle loro strutture organizzative di tenere il passo, in modo sicuro e sostenibile;
  • finanziamento di poli di innovazione digitale, per sostenere la digitalizzazione dell’industria e del settore pubblico, compresi i sistemi giudiziari.

Sul rafforzamento economico e sulla resilienza sociale

La resilienza si riferisce alla capacità di resistere e rispondere agli shock e alle sfide, e recuperare in fretta, e in modo equo, sostenibile e inclusivo. Il COVID-19 ha messo alla prova la capacità degli Stati membri e dell’Unione di far fronte a grandi e inaspettati shock. La crisi è multidimensionale. La pandemia ha rivelato la vulnerabilità di molti sistemi sanitari, di fronte a tassi di contagio elevati, e l’interruzione dell’approvvigionamento. Vi è anche la necessità di rafforzare la capacità di ripresa di alcune critiche catene di fornitura, in particolare per i settori più esposti agli shock esterni. Il Piano dovrebbe delineare come l’Italia saprà contribuire a rafforzare la sua economia e la resilienza sociale, come i progetti proposti sapranno dimostrare la capacità di uscire più forti da questa crisi, essere meglio preparati e rafforzare la futura competitività. L’Italia dovrebbe fornire i dati per quanto riguarda il previsto impatto del Piano sulla stabilità macroeconomica, sulla produttività e sugli squilibri macroeconomici, oltre che sul rafforzamento della resilienza sociale (in relazione al lavoro, alle competenze e alle politiche sociali) per quanto riguarda i gruppi più vulnerabili, i sistemi sanitari e di assistenza, la salvaguardia delle catene chiave del valore e delle infrastrutture critiche , garantendo l’accesso alle materie prime critiche, una migliore connettività , la diversificazione e la resilienza degli ecosistemi economici fondamentali e l’idoneità dell’ ambiente lavorativo. L’Italia dovrebbe anche descrivere l’impatto del Piano sulle finanze pubbliche e sulle riserve finanziarie, nel settore privato, trattandosi di un importante indicatore della resilienza finanziaria.

Attenuare l’impatto economico e sociale della crisi

Il Piano dell’Italia dovrebbe delineare, in termini generali, come gli interventi previsti rispondano coerentemente alle ricadute economiche e sociali della crisi e, in Particolare, spiegare come il Piano prevede di realizzare un veloce e robusto recupero. Inoltre, l’Italia è invitata a spiegare, in modo ampio, se il suo Piano è coerente e contribuisce, in modo efficace, alla realizzazione del pilastro dei diritti sociali, (COM (2017) 250).
In relazione alle dimensioni di:
pari opportunità,
accesso al mercato del lavoro,
condizioni di lavoro eque,
protezione e inclusione sociale.

Il Piano dell’Italia dovrebbe fornire indicatori sull’impatto economico e sociale della crisi, in particolare nel quadro di valutazione sociale, per aiutare a riflettere su come potrà agire la crisi sul PIL, sul reddito alle famiglie, sui sistemi della salute e dell’assistenza, sulla disoccupazione, sull’occupazione, sulle tariffe e sulle attività, sull’istruzione, sulle competenze di apprendimento per tutta la vita, sul rischio di povertà o di esclusione sociale, come pure l’impatto sulle imprese. Nel Piano vanno evidenziati: l’impatto sociale ed economico, tra i vari gruppi della società (ad esempio l’impatto distributivo del reddito): la situazione che si è venuta a creare tra i gruppi più vulnerabili.

Molte altre cose potrebbero essere qui indicate, sulle sei Missioni descritte dal Piano presentato dall’Italia, ma potranno essere riprese in un articolo successivo. Mi preme qui sottolineare, ancora una volta, una pertinente osservazione di Gianni Tria nel suo competente articolo: in Italia abbiamo seri problemi nelle capacità di progettazione; non ci mancano le singole competenze, ma la nostra classe politica e i nostri amministratori non sono in grado di individuare i luoghi dove è possibile programmare e progettare, mentre sono molto capaci di individuare i luoghi e i metodi per attuare un controllo paralizzante dei progetti e delle proposte.

*Antonello Pezzini nasce in provincia di Novara nel 1941. Si laurea in filosofia e consegue due master, ha un trascorso da preside di liceo, da consigliere comunale della Dc a Bergamo, da presidenza della locale Associazione Artigiani a membro del CDA dell’Istituto Tagliacarne. Sviluppa uno spirito imprenditoriale nel settore dell’ abbigliamento e ha insegnato economia all’Università degli Studi di Bergamo. La passione per l’energia sostenibile è più recente, ma in breve ne diventa un esperto in campo europeo: oltre alla carica al Cese, è membro del CDA di un’azienda che si occupa di innovazione tecnologica e collabora con società di consulenza energetica.  Dal 1994 è membro del Comitato Economico e Sociale Europeo in rappresentanza di Confindustria.

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