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Chi dice (forse) sì

“Io, ristoratore bergamasco, potrei aderire alla protesta: aprirei per disperazione”

Parla Claudio Giacometti, 39 anni, titolare del bar-ristorante Al Chiostro: "Se lo farò, sarà perché ho bisogno di tornare a incassare dei soldi. Mi servono per dare da mangiare alla mia famiglia. I ristori ricevuti sono insufficienti"

La protesta è iniziata a Pesaro, rimbalzata per Bologna e Modena fino a Firenze. Corre veloce su Twitter amplificata dall’hashtag #Ioapro. È già sbarcata in televisione, si è presa la prima pagina di molti quotidiani nazionali ed è stata fatta diventare ancor più virale da alcuni esponenti politici.

Ed è arrivata, ovviamente anche a Bergamo.

Claudio Giacometti ha 39 anni, una famiglia e un bar-ristorante, Al Chiostro, in centro città. Due mutui, tre dipendenti e un figlio in arrivo tra pochi mesi. L’iniziativa di dissenso dei ristoratori non l’ha lasciato indifferente: “Quando ho letto della protesta #Ioapro – ci spiega – ho pensato che avesse un senso aprire il mio locale non tanto per trasgredire alle regole, roba che non ho mai fatto, ma perché ho bisogno di tornare a incassare dei soldi. Mi servono per andare avanti, per dare da mangiare alla mia famiglia”.

Non ha ricevuto nulla dallo Stato finora?

Qualcosa ho ricevuto con i cosiddetti ristori: 3mila euro a novembre, 2mila nei giorni scorsi. Ma non mi bastano: pensate che solo d’affitto pago 2.500 euro al mese….

Come fa ad andare avanti, oggi?

Devo ringraziare la mia famiglia e quella di mia moglie, che ci stanno sostenendo economicamente. È grazie a loro, e a qualche risparmio che sta per finire, se riesco a pagare le bollette di casa, il mio mutuo personale e quello della società che ho rilevato all’acquisto del ristorante a gennaio 2020, oltre ai fornitori.

#Ioapro
La protesta #Ioapro

Lei prima dell’arrivo del Covid-19 aveva fatto degli investimenti importanti, è così?

Nel gennaio di un anno fa ho acquistato il ristorante adiacente al bar che gestisco dal 2011 investendo, di fatto, tutti i soldi che avevo. Credevo e credo molto in questo progetto, ma nessuno poteva sapere quel che sarebbe successo da febbraio in avanti. E parlo anche delle settimane che ho trascorso in ospedale.

Ha avuto il Covid-19?

Sì, e sono stato ricoverato per tre settimane. Prima al Papa Giovanni e poi all’Istituto Palazzolo. Sono tornato negativo dopo più di due mesi: i primi sintomi li ho avuto a marzo, poi l’ossigeno, il ricovero, i miglioramenti.

Il tampone negativo quando è arrivato?

A maggio, mentre erano in pieno corso i lavori per l’apertura del bar-ristorante. Ricordo le riunioni in videochiamata con i miei collaboratori mentre ero in isolamento: c’erano da sistemare tantissime cose, nonostante la malattia.

In estate il lavoro com’è andato?

Molto bene. Abbiamo aperto il 24 giugno e per tutta l’estate abbiamo lavorato discretamente. Nei weekend abbiamo avuto anche picchi di 40 clienti per sera grazie agli ampi spazi che ci hanno permesso di far mangiare i nostri ospiti in tutta sicurezza.

Poi i nuovi contagi e il secondo lockdown.

Da ottobre in avanti è stato un incubo: niente introiti e tante spese. Così è impossibile andare avanti.

Qual è il suo stato d’animo oggi?

Sono abbattuto. Triste e abbattuto. Non mollerò, non ho alcuna intenzione di chiudere il mio locale, ma la situazione si sta facendo sempre più difficile. Ma sa cos’è la cosa che fa più male?.

Ci dica.

La gente che appena è stato possibile si è ammassata nelle strade delle città, anche a Bergamo, o nei centri commerciali, come se non ci fosse una pandemia in corso. O i politici italiani che, mentre noi rischiamo di morire, pensano a come spartirsi le poltrone. Non sono un esperto di politica e non entro nei dettagli, ma certe cose danno fastidio.

Venerdì aprirà? Aderirà alla protesta #Ioapro?

Non lo so ancora. Quel che è certo è che se deciderò di aprire il mio locale lo farò solo per disperazione. Non sono uno che infrange le regole e dico no a ogni forma di violenza. Ma ho bisogno di vivere.

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