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La lanterna magica di guido

“Sanpa” e quell’Italia malata che abbandona i più fragili a loro stessi

La docuserie targata Netflix ci ha mostrato con una chiarezza disarmante quanto nel nostro Paese regni un’incontrastata e sistematica emarginazione di tutti coloro che non riescono a tenere il passo

È il 1978 e l’Italia è nel pieno degli anni di piombo. I moti rivoluzionari giovanili si stanno assopendo e, dove un tempo regnava l’impegno politico e civile, ora è la droga a basso prezzo a farla da padrone. Migliaia di ragazzi cadono preda di queste terribili sostanze, cocaina ed eroina più di tutte, e numerose città della penisola si riempiono di schiere di tossicodipendenti pronti a fare di tutto per ottenere una dose.

Molte esistenze finiscono e per ognuna di esse una famiglia viene distrutta eppure, in mezzo a tutta questa tragedia narcotica, lo Stato si rivela totalmente impreparato. In linea con quello che infatti era (e tristemente ancora oggi è) il sentire comune delle persone, la tossicodipendenza non era affatto un argomento serio e se proprio doveva essere considerato come tale si trattava più che altro un problema di qualche criminale drogato che i genitori non avevano educato bene.

Al pari di temi tabù come la sessualità, la morte o la malattia, parlare di droga e di “tossici” era troppo complesso e, piuttosto che approfondire i disagi sociali ed economici entro cui un problema di tale portata affondava le proprie radici, si è preferito ignorare la questione creando un sistema malato di disinformazione e di emarginazione sociale.

Pensare che il destino di molti ragazzi tossicodipendenti, quando andava loro bene, fosse il ricovero coatto in strutture in cui dei medici li avrebbero bombardati e storditi con forti psicofarmaci deve darci un’idea di quando a nessuno interessasse risolvere realmente la vera origine del problema, preferendo a questo una cura palliativa a rapida azione in luoghi a distanza (fisica e morale) di sicurezza da tutto e da tutti.

Lontano degli occhi, lontano dal cuore” direbbe qualcuno.

In questo senso la genesi di figure come quella di Vincenzo Muccioli, individuo totalmente inesperto in qualsivoglia campo della rieducazione dei tossicodipendenti ma disposto a caricarsi sulle spalle l’onere della loro gestione, non deve stupirci così come non deve farlo il tacito consenso che lo Stato diede alla sua San Patrignano. Quello stesso Muccioli legittimato implicitamente dalla politica però, alla lunga e in virtù della sua inesperienza, sbaglia molto, fa danni servendosi di violenze sistematiche (“qualche sganassone”) e di metodi che privano i ragazzi della loro libertà (“se c’è da trattenervi io vi trattengo”) e più che un educatore pare un padre-padrone disposto a tutto pur di riportare sulla retta via della disintossicazione le sue pecorelle smarrite.

Solamente a quel punto la politica prende una decisone netta in merito e l’uomo è condannato a scontare un breve periodo in galera, ma chi è che dovrebbe sedere veramente nel banco degli imputati: un uomo inesperto e dalla psicologia controversa a cui si è accettato di affidare un incarico palesemente al di fuori della sua portata o una classe politica che pare preoccuparsi più della propria salvaguardia piuttosto che quella dei suoi cittadini?

In questo senso dunque schierarsi solamente a favore o contro le metodiche del Muccioli rappresenta una banalizzazione fatale di un problema ben più ampio il cui colpevole principale è quello stesso Stato che in quarant’anni si è dimostrato sempre più incline a dribblare le situazioni incresciose piuttosto che affrontarle tentando di risolverle.

Sanpa” non è affatto un’apologia a San Patrignano e a coloro che le stanno dietro, benché molti la stiano dipingendo come tale, rappresenta bensì una denuncia a quel sistema critico e malato che regna incontrastato in Italia per cui se sei fragile, se non tieni il passo o semplicemente sei “diverso” dalla massa vieni emarginato, dimenticato e annientato.

Fatti e situazioni come quelle che hanno portato alla vicenda “San Patrignano”, a più di quarant’anni di distanza, dovrebbero essere raccontati e ricordati come uno dei punti più bassi della storia della nostra nazione e invece, tristemente, si è rivelata l’ennesima occasione per schierarsi in due fazioni contrapposte e litigiose che si insultano come allo stadio.

Se tutti ci siamo dimenticati di questa storia vuol dire che chi doveva pagare non lo ha fatto e ciò significa che, purtroppo, hanno vinto ancora loro.

“Quello che sono lo sono grazie a Muccioli e a San Patrignano e purtroppo, mi tocca ammetterlo, nonostante Muccioli e San Patrignano”

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