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Nel 1976 il botto di Sandokan, ma “Dov’è Anna?” riuscì a batterlo

Venti milioni di telespettatori per la Tigre della Malesia, eppure il giallo all'italiana arrivò a quota 28: la fiction più vista nella storia della tv italiana.

Martedì 6 gennaio 1976, sul Programma Nazionale, va in onda la prima puntata dello sceneggiato “Sandokan”, il celebre eroe dei libri di avventure esotiche di Emilio Salgari. Le altre cinque puntate della miniserie saranno trasmesse le domeniche successive fino all’8 febbraio. Lo sceneggiato è frutto di una coproduzione tra Italia, Francia, Germania Occidentale e Regno Unito.
Sandokan appare nel Ciclo dei Pirati della Malesia, una serie di romanzi iniziata a puntate su riviste e poi pubblicati in volumi dal 1883 al 1913, due anni dopo il suicidio dell’autore. Libri continuamente ristampati fino alla serie televisiva e oltre. Salgari è uno dei più celebri scrittori italiani di romanzi di avventura italiani; veronese, nacque nel 1862, da un commerciante di tessuti ed una donna veneziana. Intraprese gli studi all’Istituto tecnico nautico di Venezia, che interruppe non arrivando mai a fregiarsi del titolo di Capitano di Marina, come avrebbe voluto, intraprendendo l’attività di scrittore nelle appendici dei giornali.

A interpretare il pirata della Malesia è l’attore anglo-indiano Kabir Bedi, che impersonava alla perfezione i tratti della Tigre della Malesia; al suo fianco il francese Philippe Leroy nella parte del portoghese Yanez de Gomera. A impersonare il loro acerrimo nemico è Adolfo Celi, lo spietato “rajah bianco” di Sarawak, James Brooke, mentre ad aiutarlo nella lotta contro i pirati c’è il giovane ufficiale Sir William Fitzgerald, interpretato da Andrea Giordana. Fitzgerard contende a Sandokan l’amore di Lady Marianna Guillonk, detta la Perla di Labuan, interpretata da Carole Andrè. Suo padre è Lord Guillonk, interpretato da Hans Caninenberg, il rappresentante della Compagnia delle Indie (l’organizzazione inglese che sfruttava commercialmente le colonie).

Diretta da Sergio Sollima, famoso regista di “spaghetti western”, la storia è ambientata nella Malesia di metà Ottocento dominata dall’impero coloniale britannico. La trama è piuttosto semplice: Sandokan con l’aiuto del fedele amico Yanez, diventato nel romanzo precedente sovrano dello stato indiano dell’Assam, tenta di riconquistare il regno che fu dei suoi avi, e che occupava vaste zone del Borneo. I pirati malesi guidati da Sandokan si uniscono agli uomini inviati da Yanez (e dagli altri amici indiani dei due, Tremal-Naik e Kammamuri) e iniziano l’invasione, fronteggiata dal sovrano usurpatore con l’aiuto di un avventuriero greco, Teotokris, che aveva un ruolo importante nella corte assamese prima della salita al trono di Yanez e quindi è spinto da desiderio di vendetta nei confronti di questo e dei suoi amici.

Lo sceneggiato riscosse ciò che oggi si chiamerebbe share incredibile, in quanto seguito da oltre venti milioni di telespettatori. I bambini (e non solo) cantavano la sigla composta da Guido e Maurizio De Angelis, successo discografico del momento, “Sale e scende la marea” le parole chiave; i ragazzi nei loro giochi in piazza impersonavano il loro eroe preferito: ognuno di loro sceglieva di impersonare le gesta della “Tigre”, del fido Yanez o di Tramal-Naik, mentre al più sfortunato, solitamente il più cicciottello, toccava l’ingrato compito di impersonare Lord James Brooke); la più bella della comitiva diventava “La perla di Labuan” e, a turno, ciascun ragazzo pretendeva di simulare il celebre salto tra la “tigre umana” ed un vero e proprio felino, immortalato in un epico scontro della terza puntata della serie. Alcuni bambini vennero perfino chiamati con il nome del protagonista e il termine divenne anche un aggettivo, con il significato di forte o coraggioso.

Sandokan doveva essere consegnato finito alla RAI il 31 agosto 1975, per poi essere trasmesso nel novembre dello stesso anno. Ma a causa di una lunga vertenza legale con la Titanus, il debutto televisivo fu posticipato per l’inizio del 1976. Sollima pregò allora la Rai di slittare ulteriormente l’uscita dello sceneggiato così da farlo debuttare in televisione a colori, ma alla fine “Sandokan” uscì in bianco e nero e senza una grande pubblicità; la prima puntata, infatti, venne trasmessa fuori programma al posto di Canzonissima e senza il consueto annuncio su Radiocorriere TV.

Eppure, sin dagli esordi, lo sceneggiato raccolse grandi consensi di pubblico. Le sei puntate furono infatti viste da 27 milioni di persone, diventando un vero e proprio “caso nazionale”. Rappresentò inoltre un mutamento sostanziale nei gusti di un pubblico popolare e attivò uno dei primi fenomeni di merchandising derivante da una trasmissione televisiva.

dov'è anna

Dov’è Anna?”. Furono venti milioni gli spettatori che rimasero attaccati al televisore per sapere dove mai si era cacciata questa benedetta Anna. Da oltre un mese venivano trascinati da una città all’altra, con il marito inconsolabile, o quasi, per trovarla. Sembrava una caccia al tesoro o a una novella “Primula Rossa”. Carlo (Mariano Rigillo) vende libri porta a porta. Da anni è sposato con Anna (Teresa Ricci) non hanno figli e vivono a Roma, in un modesto bilocale. Si amano, almeno Carlo crede così, ma un giorno di dicembre Anna scompare. Le indagini della polizia, guidate dal commissario Bramante (Pier Paolo Capponi), vanno avanti da tre mesi senza alcun successo, così Carlo decide di fare da sé e mettersi alla ricerca di Anna. Continuano ad aiutarlo lo stesso commissario Bramante, che non si rassegna all’insuccesso professionale, e Paola Silvestri (Scilla Gabel) collega e amica di Anna. Non ci sono le prove che Anna sia morta o sia stata rapita, forse si è allontanata volontariamente? I giorni e le notti di Carlo trascorrono in una ricerca continua, che lo porta a scoperte sconcertanti: cosa c’entra la scomparsa di Anna con l’ambiguo ingegnere Lari? Lui e Anna sono amanti? Ma Lari viene trovato cadavere dentro una macchina. Anna può aver ucciso? Una esperienza che mostra a Carlo un’altra Roma, misteriosa e segreta, popolata da torbidi e affascinanti personaggi. Una ricerca che è soprattutto interiore: chi è Anna? Dopo numerosi colpi di scena magistralmente esposti, una flebile traccia conduce Carlo alla scoperta della tragica verità.

Altri interpreti: Roldano Lupi, Gianni Rizzo, Ivano Staccioli, Marco Guglielmi, Silvano Tranquilli, Gianni Musy, Elvira Cortese, Anna Leonardi, Serena Michelotti, Gioietta Gentile, Elisa Mainardi, Sergio Fiorentini. La regia è di Piero Schivazappa. Soggetto e sceneggiatura furono elaborati da Diana Crispo e Biagio Proietti, mentre le musiche vennero realizzate da Stelvio Cipriani.

Composto da sette puntate, questo giallo televisivo all’italiana è andato in onda sulla Rete 1 dal 13 gennaio al 24 febbraio. “Dov’è Anna?” venne accolto in maniera assolutamente positiva dal pubblico. L’ultima puntata fu vista da 28 milioni di telespettatori, risultato che ne fece la fiction più vista nella storia della televisione italiana.

Extra”. Si tratta di un originale televisivo scritto e sceneggiato da Lucio Mandarà e diretto dallo straordinario Daniele D’Anza, la cui prima puntata (di 2) va in onda il 9 marzo. La storia s’ispira ad un presunto fatto di cronaca: l’agghiacciante contatto di terzo tipo, avvenuto nell’Ottobre 1973, tra due ignari operai e tre alieni. Il fatto sarebbe avvenuto nella piccola città di Pascagoula (Mississippi).

Impressionò molto l’opinione pubblica anche la descrizione degli extraterrestri: la pelle grinzosa e grigiastra, bocche a fessura, piedi rotondi, braccia lunghe e mani simili a grosse tenaglie.

Due operai, uno di mezza età (Charles Hickson, interpretato da Giampiero Albertini) e l’altro molto giovane (Calvin Parker, interpretato da Luca Dal Fabbro), sono aggrediti, nottetempo, da misteriosi alieni, che li prelevano trascinandoli nella propria astronave. Una volta a bordo, i due sono sottoposti a vari esperimenti e successivamente abbandonati a terra, dove cercano disperatamente d’informare dapprima i loro datori di lavoro, e quindi le autorità. Nel frattempo, accadono fenomeni apparentemente inspiegabili: altre persone dichiarano di aver visto in cielo oggetti luminosi e velocissimi, autoveicoli e televisori si spengono per cause sconosciute. Tutti sono increduli alla storia pazzesca narrata dagli sventurati, che possono confidare solo in loro stessi; saranno perfino sottoposti a un esperimento di ipnosi regressiva, che confermerà la loro buona fede.

La trama sottotraccia è quella relativa agli “Uomini in nero”, un’area governativa specifica dei servizi segreti che, secondo la classica teoria cospirazionista, si occuperebbe di occultare le prove della presenza di alieni sul nostro pianeta al fine di preservare l’ordine mondiale. Ma il regista, Daniele D’Anza, al suo secondo sceneggiato di argomento fantascientifico dopo “ESP” del 1973, in modo molto moderno e controcorrente con le regole della tv classica, sceglie di non scegliere, non svelando nulla degli invasori occulti e giocando coi dubbi e le paure inconsce dei suoi personaggi, uomini e donne qualunque, piccoli antieroi coinvolti in vicende troppo grandi per loro. Il cinema tornerà più volte, a partire proprio da quegli anni sul tema degli extraterrestri (memorabili rimangono “Incontri ravvicinati del terzo tipo” del 1977 e “Alien” del 1979.

Nella televisione italiana, invece, prodotti tanto originali e innovativi come “Extra” spariranno per sempre. Oggi si piange quel cinema di genere scomparso, ma dovremmo anche rimpiangere questo sceneggiato, opera inquieta e unica nel suo genere, ingiustamente sparito dalla circolazione.

Tra i molti originali televisivi che sono rimasti scolpiti nella memoria, “Albert e l’uomo nero” è da annoverare fra i più inquietanti. La trama, che per la fiction di oggi sarebbe semplicemente impensabile, sembrava fatta apposta per spaventare i più piccoli: un bambino di nove anni, Albert, si ritrova solo in casa di notte per vari motivi (che sono ovviamente dei non-motivi: una volta il padre e la zia rimangono a dormire da un amico perché si guasta la macchina, un’altra volta la governante esce di casa per incontrarsi con un amante lasciando il bambino da solo in questa grande villa del ravennate) e riceve le visite di un uomo “completamente nero dalla testa ai piedi”, come dice Albert al commissario Gandini nella prima delle tre puntate, trasmesse dal 21marzo, senza che ovviamente se ne comprenda il motivo prima della fine.

Albert e l’Uomo nero” è l’ennesima prova di come, anche con pochi mezzi, con uno scenario tutto sommato ridotto all’osso, e con un campo di recitazione limitato, la RAI sapesse esaltare la creatività dei suoi autori, confezionando opere molto originali. Ancora una volta, occorre sottolineare la capacità degli autori e dei tecnici di creare quelle atmosfere proprie di una sorta di noir all’italiana, giocato sulla sapiente manipolazione degli interni, sull’adeguato sfruttamento delle ombre e dei chiaroscuri, sui tempi di recitazione. Certo, nel panorama dei grandi sceneggiati televisivi, che determinarono quell’irripetibile ventennale stagione, questo lavoro non è collocabile in una posizione di primissimo piano; ma di certo non ha nulla da invidiare ad altri sceneggiati del “genere”.

Si segnala tra gli attori la buona prova di Nando Gazzolo, ben coadiuvato da Claudio Cinquepalmi, Susanna Martinková, Cristina Gaioni, Maria Grazia Grassini, Franco Graziosi, Ivana Monti, Carlo Simoni. La regia è di Dino Bartolo Partesano e la sceneggiatura di Massimo Felisatti e Fabio Pittorru. Musiche di Franco Micalizzi.

https://www.youtube.com/watch?v=0jDiEMxgB2c

 

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