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L'intervista

Vaccino Covid, Garattini: “L’immunità arriva una settimana dopo la seconda dose”

Il fondatore e presidente dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Bergamo, illustra la tempistica necessaria per poter iniziare ad essere protetti attraverso la vaccinazione anti-Covid

“Nella gran parte dei casi l’immunità arriva una settimana dopo aver ricevuto la seconda dose del vaccino”. Così il professor Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Bergamo, illustra la tempistica necessaria per poter iniziare ad essere protetti attraverso la vaccinazione anti-Covid.

Intervistato da Bergamonews lo scienziato bergamasco, che è stato tra i primi ad essere vaccinati nel giorno del V-Day in Europa e in Italia domenica 27 dicembre, spiega il funzionamento del vaccino tracciando una panoramica sul presente e sul prossimo futuro.

Innanzitutto come sta dopo aver ricevuto il vaccino anti-Covid?

Sto bene, grazie. Non ho avuto nessun effetto collaterale, nulla che possa essere significativo da questo punto di vista.

Come funziona il vaccino anti-Covid? Una volta effettuato quando si diventa immuni?

Per la maggior parte dei vaccini – e certamente è così anche per quello che stiamo impiegando adesso della Pfizer-BioNTech – si ritiene che sia necessario somministrare due dosi e la seconda debba essere effettuata almeno tre settimane dopo la prima. Nella grande maggioranza dei casi l’immunità arriva quando sono trascorsi sette giorni dall’ultima somministrazione, cioè a una settimana dalla seconda dose. Il lasso di tempo tra una e l’altra, però, non è tassativo.

In che senso?

Non è detto che la seconda dose debba essere somministrata a tre settimane dalla prima. In Inghilterra, per esempio, hanno stabilito che possano intercorrere tra le quattro e le otto settimane. Con il vaccino della Pfizer, quello finora disponibile, comunque, l’immunità si ottiene sette giorni dopo aver ricevuto la seconda dose. In questo periodo di tempo si completano i processi di immunizzazione: il meccanismo è complesso e non dipende soltanto dagli anticorpi ma anche dall’immunità cellulare, cioè con la produzione di linfociti speciali che attaccano il virus all’interno delle cellule.

La tempistica con cui il nostro organismo sviluppa le risposte immunitarie è uguale per tutti?

Il processo di immunizzazione per molti può essere completato prima mentre per altri può richiedere più tempo. Ognuno di noi risponde in modo diverso, ma nella grande maggioranza delle persone l’immunità è presente a distanza di sette giorni dall’ultima somministrazione. Non deve sorprendere, quindi, che alcune persone si sono infettate dopo aver ricevuto la prima dose perché in questo step soltanto una percentuale degli individui può essere immune. L’infezione può avvenire durante il periodo che va dall’iniezione iniziale fino ai sette giorni dopo l’ultima somministrazione, perché prima non si è ancora completamente immuni e questo deve tranquillizzare la gente. Il rischio, comunque, è minore di quello che corriamo tutti perché ognuno di noi può ammalarsi e contagiarsi. Chi ha ricevuto il vaccino ha meno probabilità di contrarre il virus ma si può contagiare fino a quando non è trascorsa la settimana dopo la seconda dose.

Dopo questo periodo siamo protetti?

Per quel che sappiamo finora siamo protetti per un certo numero di mesi. Al momento, stando ai dati raccolti dalla sperimentazione, sono tra i due e i quattro mesi. Col passare del tempo potremo sapere con certezza se la protezione durerà sei mesi, un anno o un tempo più lungo.

In base a quel che sappiamo finora, questo vaccino protegge anche dalle varianti del virus come quella inglese o dalle altre possibili mutazioni?

È un dato che si sta studiando ma è molto probabile che sia protettivo anche in questi casi. Non agisce solo su un punto della proteina S del virus ma su tanti punti e quindi anche se c’è stata una mutazione non cambia l’effetto del vaccino. Fra qualche giorno dovremmo sapere con certezza i risultati degli studi in corso su questo argomento perchè sono relativamente semplici.

Un maggior lasso di tempo tra la prima e la seconda dose può essere un pericolo per l’effetto del vaccino?

L’idea di dilazionare la somministrazione della seconda dose deriva dal fatto che potendo contare su una piccola quantità di vaccino si possa vaccinare un maggior numero di persone. Al momento non ci sono dati sicuri sul fatto che questo possa essere un rischio: è un modo per cercare di massimizzare l’uso del vaccino visto che non è ancora disponibile in grandi quantitativi. Complessivamente in Inghilterra hanno già vaccinato quasi un milione di persone e negli Stati Uniti circa 3 milioni, mentre in Europa e naturalmente in Italia siamo indietro.

Il numero dei vaccinati, insomma, deve aumentare

Deve aumentare l’arrivo dei vaccini e anche l’organizzazione. Secondo i dati che sono stati diffusi, finora in Italia sono arrivate 450mila dosi e ne abbiamo somministrate circa il 10%, 46mila, quindi dovremmo accelerare e fare più in fretta a utilizzare i vaccini che abbiamo a disposizione.

L’obiettivo del vaccino è proteggere la singola persona o anche fermare la circolazione del virus?

Il vaccino effettua entrambe queste funzioni: protegge la persona e se è protetta non può infettare gli altri. Questo è la modalità con cui si spera di arrivare a eliminare il virus e ottenere l’immunità di gregge, chiamata anche immunità diffusa, di comunità o di gruppo. E restringendo il numero degli individui tra cui viaggia il virus naturalmente si restringe anche la sua contagiosità.

Ma potrebbe rimanere il problema degli asintomatici?

Quando saranno tutti vaccinati il virus non circolerà più e non ci saranno più nemmeno gli asintomatici.

Dunque il vaccino è la soluzione alla pandemia?

Se funzionerà in modo adeguato come si spera certamente è la modalità per risolvere questo problema.

Per concludere, ora si può contare sul vaccino Pfizer ma ne arriveranno anche altri. In cosa si differenziano?

I vaccini di Moderna e Pfizer sono molto simili, mentre quello di AstraZeneca è un po’ diverso: mediamente allo stato attuale – ma stiamo facendo anche altre ricerche -sembrerebbe che quest’ultimo protegga meno. Gli effetti collaterali sono più o meno gli stessi, quelli rilevati fino adesso non sono gravi per i tre vaccini. Non c’è per quel che ne sappiamo l’intercambiabilità: ad ora, per esempio, risulta che una persona non può effettuare il vaccino Moderna per la prima dose e poi fare la seconda con Pfizer.

E come si sceglierà quale somministrare?

Per ora ne abbiamo soltanto uno quindi è molto facile. Quando arriverà il vaccino di Moderna più o meno avrà la stessa efficacia di Pfizer quindi non cambierà nulla. Poi quando sarà disponibile il vaccino di AstraZeneca vedremo i dati e potremo capirne meglio l’impiego. Al momento non ci sono elementi per dire di sceglierne uno piuttosto che l’altro.

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