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L'intervista

Portò a Bergamo la pediatria di gruppo: Giovanni Caso va in pensione

La gestione "superficiale" della pandemia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e Giovanni Caso, uno dei più noti e apprezzati pediatri di Bergamo, ha deciso di non rimandare oltre la pensione: il 30 dicembre 2020 è stato l’ultimo giorno in cui i suoi “1400 pazienti, 2800 genitori e 5.600 nonni” sono stati accolti nello studio di Monterosso.

“In questi ultimi mesi mi sono sentito ancora più medico. Ho assistito amici, genitori e nonni dei miei piccoli pazienti, colpiti e provati dal covid19, abbandonati a loro stessi, come moltissimi. Ricordoi viaggi alla ricerca dell’ossigeno che mancava, l’isolamento dalla mia famiglia in cui ho vissuto per proteggerla, il forte coinvolgimento emotivo nell’affrontare quanto stava accadendo attorno a noi. Un medico non si tira indietro. Ma mesi dopo mesi è montata la sgradevolissima sensazione di lavorare in un contesto precario e approssimativo. Da maggio in poi, ho vissuto il momento peggiore, quando ormai era chiaro a tutti che non si stava agendo per prevedere e, di conseguenza, gestire ciò che poi si è verificato, la seconda ondata della pandemia. È mancata umiltà e concretezza. Abbiamo subìto, tutti, le conseguenze di un comportamento improvvisato, superficiale di quanti dovevano decidere, organizzare, coordinare”.

È la goccia che fa traboccare il vaso, e Giovanni Caso, uno dei più noti e apprezzati pediatri di Bergamo, ha deciso di non rimandare oltre la pensione: il 30 dicembre 2020 è stato l’ultimo giorno in cui i suoi “1400 pazienti, 2800 genitori e 5.600 nonni” – come dice lui – sono stati accolti nello studio di Monterosso. Non prima però di aver concluso la campagna vaccinale antiinfluenzale per i suoi piccoli pazienti: “Oltre 700 bambini vaccinati dal nostro gruppo grazie ad uno sforzo congiunto con il Comune di Bergamo che, oltre ad aver fatto da trait d’union con ATS, ha messo a disposizione spazi pubblici per organizzare il servizio in sicurezza”.

Classe 1955, nato a Vigevano ma bergamasco d’adozione, Giovanni Caso, laureato con lode in Medicina e Chirurgia nel 1984 e specializzato in Pediatria nel 1988 a Pavia, conclude il suo servizio come pediatra di famiglia del servizio pubblico. “Si tratta di una decisione che avevo in animo già da qualche tempo, a seguito di esigenze personali e familiari, e poi rimandata quando sullo scenario delle nostre vite è comparso il covid19. Non era il momento di lasciare, a quel punto. Ma proprio la vicenda covid19, con tutte le sofferenze di molti nonni, zii e genitori di miei assistiti, e soprattutto la pessima gestione della fase 2 a settembre, ben più prevedibile, mi hanno definitivamente indotto a prendere questa decisione”.

La carriera inizia nel 1988, quando il servizio di medicina di base di Clusone lo chiama in valle e gli propone il trasferimento da Pavia per assumere l’incarico di pediatra di libera scelta, che accetta. Giovanni Caso di lì a poco incontra due colleghicon cui inizia un sodalizio umano e professionale che ha contribuito ad innovare la pediatria di base non solo nella nostra città ma in Italia. Siamo all’iniziodegli anni 1990 e il dottor Caso, con Leo Venturelli – oggi Garante dell’infanzia di Bergamo – e Biancamaria Marengoni, inaugura in città la pediatria di gruppo, un modo nuovo di “fare” il pediatra, emergente in quegli anni. Molto più che un’associazione tra professionisti, la pediatria di gruppo è un modello organizzativo che si pone come obiettivo quello di offrire il servizio più efficiente possibile ai pazienti, valorizzando il rapporto e il tempo dedicati dal medico al bambino e alla famiglia, che può contare,nello stesso studio,sul contributo di infermieri professionali – per l’esecuzione ditest di laboratorio, consulenza di base sulla nutrizione e la salute generale del neonato e del bambino – e sull’accoglienzae il disbrigo di questioni burocratiche da parte di una segreteria. Un modo per rendere più efficiente anche il lavoro degli stessi medici.

Di fatto, è con lei e i suoi colleghi che a Bergamo nasce la pediatria di gruppo: qualità nella prestazione medica e nell’organizzazione del servizio insieme.

Il nostro studio, che ha teorizzato e applicato la pediatria di gruppo nel modo più completo, ha dato vita ad un movimento diventato poi un’associazione, APeG Associazione Pediatri in Gruppo – di cui Giovanni Caso è stato socio fondatore e presidente (ndr) –, che è arrivata a coinvolgere circa il 10% dei pediatri italiani. Il fulcro era il personale di supporto al medico e l’organizzazione del lavoro. Abbiamo coinvolto infermiere e impiegate sin dal 1991-92, quando non era previsto alcun rimborso per il personale, completamente a nostro carico. Abbiamo investito in un modello in cui credevamo.

Via via, i tre pionieri della pediatria di gruppo, Marengoni e Venturelli prima e ora lei, sono andati in pensione. E ora?

Nello studio rimangono le due dottoresse che hanno sostituito i colleghi, e che ora dovranno decidere come e con chi proseguire il loro lavoro. Anche il mio posto sarà coperto da una collega. La pediatria di gruppo è un po’ come una famiglia: ti devi stimare, scegliere, avere la stessa forma mentale essere portati al confronto, alla condivisione, avere una forte propensione all’organizzazione. Con i colleghi Marengoni e Venturelli abbiamo condivisotutto ciòoltre che la filosofia di cura dei nostri bambini.

Oltre trent’anni di esercizio della professione sono un osservatorio privilegiato sull’infanzia, sulla famiglia e sulle dinamiche sociali. Come sono i bambini di oggi?

C’è un’evoluzione speculare tra il sentire del pediatra ela trasformazione dei bisogni delle persone. All’inizio della mia carriera ero un medico dedito a risolvere principalmente problemi di salute fisica dei bambini, perché questi erano i motivi per cui ci si rivolgeva al pediatra. Nel tempo, e anche grazie al nostro approccioche garantiva confronto e scambio continui tra colleghi ed esperienze, ho potuto rilevare che i bisogni emergenti ed inespressi erano sempre più quelli del benessere psico-fisico dei bambini e delle loro famiglie. La vita dei genitori è diventata così complessa, corre molto più veloce di loro e li espone ad uno stress enorme. La genitorialità è sempre più fragile. Anche un piccolo malessere dei figli è causa di panico per la gestione della famiglia, che deve districarsi in una quotidianità complicata. Mi sono trovato ad accogliere e affrontare problematiche sempre più di tipo relazionale, come le difficoltà crescenti dei bambini nella vita sociale e nella scuola.

Il pediatra sempre più psicologo?

Il pediatra deve senz’altro maturare una sensibilità particolare alle problematiche relazionali, ed infatti APeG nel corso dei suoi oltre 15 anni di vita ha organizzato moltissimi eventi formativi per pediatri, oltre che sull’organizzazione del lavoro, soprattutto sulla relazione medico-paziente e sulla dinamiche di gruppo, Tuttavia il pediatra resta colui che cura soprattutto la salute del corpo. Il futuro dovrebbe essere un team multidisciplinare per la salute del bambino e della famiglia. L’approccio della pediatria di gruppo facilita tutto questo. A mio avviso uno psicologo dell’età evolutiva di libera scelta, come lo è ora il pediatra e il medico di base, sarebbe più che opportuno. Ma la pediatria di base ha un respiro corto, ahimè.

Perché parla di “respiro corto” della pediatria di base?

La cura dei bambini come è organizzata da noi in Italia è un caso pressoché unico. Il trend europeo, per esempio, va verso il modello anglosassone che vede il medico di base come professionista dedicato alla cura di tutta la famiglia che, solo quandoritiene, consulta uno specialista in pediatria. Questo ha dei risvolti nella formazione dei pediatri, che sono sempre di meno e sempre più lontani dalle periferie. Il patrimonio italiano di pediatri si sta depauperando. Si è provato ad agire per invertire questa rotta, anche con il supporto di qualche cattedratico di rilievo fautore della pediatria di libera scelta organizzata in modo capillare, ma senza grossi risultati.

Come sarà la pediatria del futuro?

Un modello interessante è quello tedesco, dove esistono importanti forme associative di pediatri che, pur localizzati in sedi diverse, sono organizzati per gestire grossi territori e moltissimi pazienti. Un aiuto importante lo potrebbe dare la tecnologia applicata alla medicina e alla salute. L’ideale sarebbe riuscire a creare una “rete” di professionisti, connessi anche virtualmente, con diverse abilità e competenze a servizio dei bambini e della famiglia. Con un sistema efficace di verifica dell’integrazione e della qualità del servizio.

Cosa farà il dottor Caso nel 2021?

Certamente continuerò l’esperienza di divulgazione che ho avviato nel 2003 con il sito webamicopediatra.it di cui curo la direzione scientifica. Si tratta di un portale di informazioni e consigli sulla crescita e la salute del bambino. Insieme ad altri medici pediatri e professionisti esperti proviamo a sostenere i genitori nel quotidiano impegno di cura e educazione dei bambini, dalla nascita fino all’adolescenza. Mi piacerebbe anche dedicarmi, oltre che alla montagna, mia vecchia passione, al recupero e alla valorizzazione della cosa pubblica, tanto bistrattata in Italia, ma per la quale esistono ancora fortunatamente persone che spendono tempo ed energie.

Esprimendo la riconoscenza di molti, facciamo al dottor Caso i migliori auguri per la sua “nuova” vita.

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