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Il ricordo

A marzo 24 sacerdoti morti per Covid, il Vescovo: “Non solo nomi, ma persone di famiglia”

A loro se ne sono aggiunti ulteriori cinque legati alla terra bergamasca e altri sacerdoti religiosi appartenenti ad altri ordini e congregazioni.

Monsignor Tarcisio Ferrari, don Mariano Carrara, monsignor Achille Belotti, don Tarcisio Casali, don Silvano Sirtoli, don Giancarlo Nava, don Giuseppe Berardelli, don Umberto Tombini, don Gaetano Burini, don Remo Luiselli, don Gian Pietro Paganessi, don Francesco Perico, don Enzo Zoppetti, don Adriano Locatelli, don Guglielmo Micheli, don Ettore Persico, don Donato Forlani, don Battista Mignani, don Alessandro Longo, don Fausto Resmini, don Evasio Alberti, don Tarcisio Avogadro, don Angelo Bernini, don Luigi Rossoni.

Ventiquattro sacerdoti morti nel giro di due settimane, quelle in cui la pandemia da Covid-19 ha colpito con più violenza sul territorio bergamasco: la Diocesi di Bergamo e molte comunità li hanno pianti insieme, tra le migliaia di lutti che la nostra provincia ha sofferto.

Ma il triste elenco, purtroppo, si è allungato sempre di più nel corso dei mesi.

I primi lutti avevano colpito le comunità di Dorga, con la scomparsa di monsignor Tarcisio Ferrari, e Urgnano, con quella di don Mariano Carrara.

“Sono stati due mesi tragici, drammatici – ricorda il Vescovo di Bergamo Francesco BeschiAbbiamo avuto 24 sacerdoti appartenenti alla nostra diocesi morti per Covid, un triste primato. Tutto è successo in due settimane. Ogni giorno due o addirittura tre volte mi veniva annunciata la morte di un sacerdote: alcuni anziani, altri più giovani, da me tutti conosciuti personalmente, con ciascuno dei quali in questi miei 10 anni a Bergamo ho costruito un legame profondo. Molti sacerdoti sono morti in poche ore, per altri il cammino è stato più lungo e alcuni li avevo sentiti personalmente. Non erano solo nomi, ma proprio legami intensi di famiglia. Questo strazio ci ha accumunato a tante famiglie, soprattutto nella sensazione della ‘scomparsa’, con l’impossibilità del saluto estremo, ma non della preghiera con la quale abbiamo voluto accompagnarli. Mi veniva annunciato solo il nome: in molti sono scomparsi in pochi giorni, altri hanno avuto alti e bassi. Non voglio dimenticare nemmeno chi è stato ricoverato e poi è guarito, con percorsi tutt’altro che semplici”.

Nella lunga lista salta subito all’occhio il nome di don Fausto Resmini, morto nella notte tra domenica 22 e lunedì 23 marzo nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Como: una vita accanto agli ultimi, è stato un punto di riferimento per la chiesa bergamasca per le sue tantissime iniziative. Dalla mensa per i poveri alla stazione di Bergamo al patronato San Vincenzo, dalla comunità Don Milani di Sorisole al ruolo di cappellano del carcere, confidente e supporto per tutti i detenuti che da subito hanno accusato la sua mancanza.

“Il dolore per la sua morte è stato comunitario – conferma il Vescovo Beschi – Due giorni prima dello scatenarsi dell’uragano Covid, avevo fatto un giro tra tutte le realtà legate alla chiesa: al Galgario, in stazione, nei dormitori. Con don Fausto ho condiviso un tavolo della mensa della stazione: saluti e abbracci, con lui e con don Davide Rota. Entrambi poi si è scoperto avevano il Covid, mentre il mio tampone era risultato negativo: le loro storie si sono concluse con esito opposto, felice per don Davide e triste invece per don Fausto”.

Oltre ai 24 già citati, altri tre sacerdoti legati al territorio bergamasco sono scomparsi tra marzo e aprile: don Savino Tamanza, nato a Bergamo ma della diocesi di Massa Carrara; monsignor Eugenio Scarpellini, nato a Verdellino, che dopo essere stato vicario parrocchiale a Boltiere e Nembro era partito per la Bolivia, fino alla nomina a vescovo ausiliare di El Alto; e don Francesco Orsini, originario di Gromo e missionario in Costa d’Avorio dove è stato parroco di Tanda, di Transua e di Notre Dame in Bondoukou.

A maggio, invece, la Curia ha pianto don Leone Maestroni, bergamasco di Ponte San Pietro, che ha avuto incarichi ministeriali anche a Romano di Lombardia e Costa di Mezzate, prima di insediarsi a Calolzio, e ha fatto nascere a Cividate al Piano Radio Pianeta; e Antonio Epis, nato a Bracca e tra gli altri incarichi prete del Sacro Cuore, vice rettore della Casa dello Studente, cappellano al Santuario del Perello e collaboratore pastorale di Santa Lucia fino al 2018.

Nel corso della pandemia, infine, anche altri sacerdoti religiosi appartenenti ad altri ordini o congregazioni: padre Franco Fusar Bassini dei Frati Cappuccini, padre Giosuè Torquati dei Padri Dehoniani, padre Gianfranco Verri e padre Alberto Ferrero dei Padri Giuseppini, padre Francesco Valdemeri dei Padri Monfortani, padre Gilberto Buglioni, padre Andrea Curreli, padre Claudio Casertano e padre Cirillo Longo dei Padri Orionini, padre Benedetto Crotti, padre Remo Rota, padre Andrea Agazzi e padre Cirillo Gheza dei Padri Sacramentini.

“La cura dell’anima, ci rendiamo conto spesso, è un po’ più difficile della cura del corpo, perché l’anima non si vede – conclude il Vescovo Beschi -. Però si può ascoltare. E di più, si sente. I sentimenti sono quella densità profonda essenziale di ogni persona che resta al di là di tutto. In questi mesi, soprattutto da quando sulla nostra terra si è scatenata la pandemia come un uragano, ho ascoltato l’anima di molti e ho tentato di ascoltare quella di ciascuno e di tutti, perché ho cercato di ascoltare Dio che sta dentro ogni anima. Ho ascoltato il silenzio, lo sgomento, il dolore che non poteva essere manifestato, ma anche ho ascoltato la speranza. Ho cercato di fare questo anche nella morte. Il Natale ci dice che Dio non se ne sta nei cieli ma ha voluto prendere sul serio la nostra umanità, fino ad arrivare nell’angolino più dimenticato della terra. L’augurio allora è: prendiamo sul serio la nostra umanità, senza dimenticare quella dei fratelli. Così saremo capaci di sentire l’anima nostra, l’anima degli altri, l’anima del mondo, dove Dio si appoggia appena nato col suo sorriso, proprio quando il mondo ci sembra freddo e disordinato, così come era la notte di Betlemme”.

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