Tredici agosto 2019. Un anno e quattro mesi fa Elena Casetto, 20 anni ancora da compiere, moriva carbonizzata in una stanza del reparto di psichiatria dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Le fiamme al terzo piano della torre 7 erano partite dalla stanza dove si trovava ricoverata la giovane, di origini brasiliane, residente con la madre a Osio Sopra e tormentata dal mal di vivere. Secondo la Procura di Bergamo, servendosi di un accendino avrebbe dato fuoco al letto dov’era stata poco prima contenuta dal personale infermieristico, facendo attivare l’impianto di rilevazione fumi e l’allarme incendio.
La domanda attorno al quale ruota l’inchiesta è: poteva essere salvata? Nel fascicolo aperto per omicidio colposo figurano oggi due indagati: A.B, 40 anni, di Lissone (Milano) ed E.G., 39 anni, di Paderno Dugnano (Milano). Si tratta di due addetti della squadra antincendio, all’epoca entrambi dipendenti dell’impresa appaltatrice del servizio di pronto intervento dell’ospedale, difesi d’ufficio dall’avvocato Cinzia Pezzotta del Foro di Bergamo. Secondo la tesi della Procura, avrebbero cagionato l’incendio della stanza di degenza, degli arredi e degli impianti che si trovavano all’interno. Un fatto commesso “per colpa consistita in negligenza e imperizia” mette nero su bianco il pubblico ministero Letizia Ruggeri nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari. In pratica, a causa di un intervento giudicato tutt’altro che impeccabile.
La ricostruzione della Procura
Secondo gli inquirenti, i due addetti della squadra antincendio, una volta ricevuto l’allarme dal Centro Gestione Emergenze, si sarebbero recati al terzo piano della torre 7 sprovvisti di ogni dispositivo di protezione individuale. Appena constatata l’entità dell’incendio (l’intera ala, 80 pazienti, era stata evacuata) non sarebbero stati in grado di farvi fronte seguendo le procedure previste dal Piano di Emergenza dell’ospedale.
La Procura scende nei dettagli di quanto successo quel martedì mattina d’estate. E.G., in particolare, sarebbe uscito dal reparto di psichiatria 1 minuto e 52 secondi dopo esservi arrivato, scendendo al piano terra dove si trovava il furgone della ditta con le dotazioni antincendio e i dispositivi di protezione. Secondo l’accusa non si sarebbe mosso tempestivamente, indugiando nelle manovre di vestizione per oltre 4 minuti, rientrando in reparto oltre 6 minuti dopo esservi uscito. Nel frattempo le fiamme divampavano.
Mentre A.B, anziché usare l’idrante a muro più vicino (che secondo quanto ricostruito dalla Procura si trovava di fronte alla stanza interessata dall’incendio), avrebbe tentato di spegnere le fiamme con un estintore senza alcun esito. Una volta raggiunto dal collega, i due avrebbero continuato ad utilizzare altri estintori, per poi raggiungere un idrante a muro posto a più di 30 metri dall’ingresso della stanza della giovane. Una manovra inutile, anche perché la lunghezza della manichetta non superava i 20 metri.
Una volta realizzato che l’incendio non era stato domato, gli addetti avrebbero esitato anche a richiedere l’intervento dei Vigili del Fuoco. Solo alla chiamata del Centro Gestione Emergenze che chiedeva informazioni A.B. avrebbe a sua volta sollecitato l’arrivo dei rinforzi.
Un intervento che la Procura definisce nel complesso “inadeguato” e che non avrebbe aiutato a contrastare il propagarsi delle fiamme. La paziente è poi morta a causa dell’inalazione di fumi, vapori bollenti e allo shock termico.
Chi era Elena Casetto
La 19enne, precedentemente in cura in un ospedale psichiatrico del Milanese, era stata trasferita a Bergamo l’8 agosto. Una situazione, la sua, molto delicata: padre italo-svizzero morto nel 2012, madre sudamericana. Avrebbe trascorso buona parte dell’adolescenza in Brasile, prima di stabilirsi a Osio Sopra. Chi la conosceva la descrive come una ragazza solare, che voleva studiare filosofia in una grande capitale europea: ad Amsterdam o a Londra, dedicandosi alla poesia e alla musica, le sue grande passioni.
Non tutto però nella vita di Elena è andato per il verso giusto. Quel giorno l’équipe del reparto di psichiatria sarebbe intervenuta per calmarla “a causa di un forte stato di agitazione” – ha spiegato il giorno della tragedia la direzione dell’ospedale – durante il quale avrebbe cercato per l’ennesima volta di togliersi la vita. Sarebbe quindi stata sedata e contenuta a letto dal personale medico. Sempre l’ospedale Papa Giovanni aveva assicurato di avere eseguito “la perquisizione personale e della stanza prevista in psichiatria per ritirare oggetti pericolosi”. Solo l’autopsia ha poi confermato che la giovane aveva sul corpo le tracce di un accendino bruciato, che probabilmente aveva nascosto nelle parti intime.
Le proteste
Il giorno del primo anniversario della tragica morte di Elena Casetto, il Forum Associazioni per la Salute Mentale di Bergamo ha proposto un momento di ritrovo davanti all’ingresso dell’ospedale di Bergamo “per ricordare alle istituzioni, sanitarie e sociali, la richiesta delle nostre associazioni di salute mentale di abolire la contenzione in tutte le strutture sociosanitarie”.
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