Ci aspetta un anno pieno di incertezze, anche nel mondo dell’arte. Certo, le ultime stagioni total-digital, dal locale al globale, ci hanno un po’ affaticato, tra visite on line a collezioni, percorsi d’artista in streaming, condivisioni virtuali di immagini dietro le quinte, iniziative on line per tentare in ogni modo di liberare la cultura dalla quarantena. E quasi quasi ci stiamo abituando a una vita sul web, al punto che più di arte ai tempi del virus occorrerebbe parlare di arte ai tempi dei social.
Allora fa piacere, in controtendenza, leggere le proposte Gamec per il 2021, fiduciosamente proiettate nella realtà delle visite in persona.
Il programma mette in cantiere mostre che indagano l’espressione visiva a trecentosessanta gradi, attraverso i linguaggi e i materiali più eterogenei, riscoprendo figure poco note, valorizzando giovani promesse, celebrando nomi acclamati della scena contemporanea.
Dopo le esposizioni “Ti Bergamo – Una comunità” e “In the Forest, Even the Air Breathes”, prorogate fino al 28 febbraio, in aprile la Gamec proporrà al pubblico le figure di due artiste di generazioni lontane, una nata nel 1894 e l’altra nel 1985, ma ugualmente imprevedibili e fuori dagli schemi.
Regina Cassolo Bracchi (nata a Mede di Lomellina e scomparsa a Milano nel 1974) è un nome che ha attraversato alcune delle esperienze più significative dell’arte del Novecento, dall’avanguardia futurista, cui partecipò muovendo i suoi primi passi a fianco di Marinetti, al MAC (Movimento Arte Concreta) cui Regina si avvicinò coinvolta da Bruno Munari, alle sperimentazioni in plexiglas e alla poesia visiva degli anni Sessanta. Personalità anticonformista, tutta proiettata nella modernità, lavorò indifferentemente con mezzi scultorei tradizionali e con materiali sperimentali, latta, stagno, celluloide, zinco, acciaio, arrivando a creare per il teatro d’avanguardia Arcimboldi bozzetti e maschere in alluminio e ferro. La mostra dal titolo “Regina. Della scultura”, che mira ad analizzare la parabola dell’artista dagli anni Venti ai Settanta, è il risultato dell’acquisizione da parte di Gamec e del Centre Pompidou di Parigi di un importante nucleo di opere della scultrice.
Contemporaneamente, sempre da aprile ad agosto, lo Spazio Zero ospita le rutilanti installazioni amorfiche di Daiga Grantina, artista italiana che ha rappresentato il proprio Paese all’ultima Biennale di Venezia. Le sue opere sono creature spiazzanti, che vibrano di tensioni sospese tra materiali organici e sintetici, e giocano sugli opposti (morbido/duro, intenso / tenue, trasparente / opaco, luce / ombra) evocando a modo loro le strutture del mondo naturale. L’artista, alla sua prima personale in una istituzione italiana, realizzerà un’installazione site-specific per creare un ambiente “immersivo e dinamico” , aperto ad esperienze percettive non convenzionali.
Torna l’arte anche a Palazzo della Ragione in estate, da giugno a settembre, con un intervento del celebre artista brasiliano Ernesto Neto, quello del colossale “GaiaMotherTree” che nel 2018 trasformò la stazione di Zurigo in una foresta pluviale amazzonica. Artista attento a un’arte sociale e relazionale, che ama trasformare lo spazio artistico in occasione di incontro, interverrà nella Sala delle Capriate con una visione essenziale e suggestiva di memorie locali e culture lontane: “pensata come un giaciglio – spiega il curatore Lorenzo Giusti –. come uno spazio di sosta naturale su cui distendersi e condividere l’esperienza della sosta, l’opera di Neto si avvale di materiali recuperati in loco, come le pietre e la paglia, insieme a stoffe ed essenze provenienti da quello che la visione colonialista dell’Occidente per secoli ha identificato come il nuovo mondo”.
L’intervento di Neto, dal titolo “Mentre la vita ci respira”, si pone come un preludio alla mostra “Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione”, che la Gamec ha pensato per il prossimo autunno, da ottobre a febbraio 2022. Si tratta del secondo capitolo del progetto espositivo pluriennale dedicato da Gamec al tema della materia. Dopo “Black Hole. Arte e matericità tra informe e invisibile”, che aveva intrecciato cent’anni d’arte da Auguste Rodin e Medardo Rosso a Hicham Berrada e Jol Thomson, la nuova tappa della trilogia “rivolgerà lo sguardo al lavoro di quegli autori che, in tempi diversi, hanno indagato le trasformazioni della materia per sviluppare una riflessione sul mutamento, sul tempo e sul futuro del pianeta”.
Dal dada e dal surrealismo alle neoavanguardie degli anni Sessanta e Settanta (da Yves Lein a Joseph Beuys), alle sculture di autori emersi negli anni Ottanta (da Rebecca Horn a Hans Haacke), alle ricerche di artisti delle ultime generazioni, con un focus sull’artista svedese Nina Canell pensato per lo Spazio Zero: un viaggio diacronico attraverso l’arte, la chimica degli elementi, le trasformazioni della materia, con un occhio ai temi dell’ecologia e dell’ambiente.
commenta