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Dall’Orlando Furioso di Ronconi al fantathriller “Gamma”: le emozioni del 1975

“Mamma Rai”, come era benevolmente chiamato il servizio radio-televisivo italiano, aveva ancora lo specifico compito di mantenere “alto” il registro delle informazioni

Tratto dall’omonimo spettacolo teatrale diretto da Luca Ronconi nel 1969 e rappresentato durante il Festival di Spoleto con una tecnica allora rivoluzionaria (che prevedeva il coinvolgimento del pubblico e il racconto contemporaneo di più filoni narrativi in contemporanea), lo sceneggiato “Orlando furioso” dovette ripiegare, nell’adattamento televisivo, su una narrazione più lineare e più aderente alla vicenda del poema, benché ovviamente si siano rese necessarie molte riduzioni della trama altrimenti vastissima.

La messa in onda in cinque puntate, inizialmente prevista per il cinquecentesimo anniversario della nascita di Ludovico Ariosto (1474), slittò all’anno successivo, il 1975, per problemi organizzativi.

La produzione coinvolse alcuni dei principali attori di prosa della televisione italiana, tuttavia riscosse scarso successo di pubblico. Ciò è dovuto al modo in cui l’opera viene presentata: non ha spiegazione, introduzione, dettaglio su trama e personaggi. Compaiono strane persone su cavalli di legno in ambienti rarefatti mentre discutono in un complicato italiano cinquecentesco e perfino con le macchine da presa in campo; e tutto questo fu trasmesso in prima serata a gente di ogni ceto e mestiere dove, sia detto per inciso, il titolo di studio o la cultura non conta nulla se non si conosce per filo e per segno, neppure in via generale, ciò che l’Orlando Furioso racconta.

Dei cinque episodi, però, si ricorda la rara bellezza della fotografia di Vittorio Storaro, che incanta e stupisce e lo stesso si può dire della regia che attraverso una scenografia onirica sospesa tra la tradizione di pupi e burattini e il teatro dal quale, peraltro e come detto, la versione televisiva trae origine e spunto. Il testo vede l’adattamento realizzato dallo stesso Ronconi con Edoardo Sanguineti, e si vede lo sforzo immane di sintetizzare per quanto possibile l’Ariosto e trasporlo in prima persona nel groviglio di vicende e personaggi. Ne risulta un racconto elitario, ma raffinato ed elegante, incredibilmente mirato al racconto al punto che è difficile, impossibile fare di meglio e con più grazia.

Gli interpreti sono, come detto, di altissima caratura: Massimo Foschi nell’Orlando, Edmonda Aldini nei panni di Bradamante, Ottavia Piccolo in quelli di Angelica, Paola Gassman, Marfisa, Michele Placido, Agramante, Luigi Diberti, Ruggiero, ma soprattutto Mariangela Melato, una Olimpia fenomenale.

Ritratto di signora” (The Portrait of a Lady) è il più noto tra i romanzi dello scrittore statunitense Henry James e fu pubblicato originariamente a puntate nel 1880-81. Dal romanzo fu tratto l’omonimo sceneggiato diretto da Sandro Sequi con la sceneggiatura di Massimo Andrioli e Carlo Monterosso, con Ileana Ghione, Nando Gazzolo e Olga Villi come interpreti. In onda dal 4 aprile in quattro puntate.

Isabelle Archer è una giovane ragazza americana. Siamo nella seconda metà dell’Ottocento e la ragazza, intelligente e carina, tiene molto alla sua indipendenza. Su invito della zia, Isabel soggiorna in Inghilterra ospite dei parenti. Rifiuta un’ottima richiesta di matrimonio e si ritrova improvvisamente ricca grazia ad una cospicua somma di denaro lasciatale dallo zio poco prima di morire. Tutto farebbe pensare che i soldi possano garantirle la tanto agognata indipendenza e possibilità di decidere della propria vita, ma in realtà l’eredità si rivelerà una rovina. La ragazza, giunta in Italia, conosce Gilbert Osmond, se ne innamora e lo sposa. Osmond, oltre a essere un egoista, non ama Isabel e l’ha sposata unicamente per la sua ricchezza. Isabel si rende conto di questo ma non si decide a separarsi dal marito continuando a vivere al suo fianco, anche se sa che sarà una vita infelice.

L’uomo dei venti” è un discreto giallo, molto introspettivo e ben interpretato da Orso Maria Guerrini, Macha Méril, José Quaglio, Dante Biagioni, Gianfranco Ombuen, Silvana Panfili, Bruno Biasibetti, Sisto Brunetti, Donatella Farenzena, con la regia di Carlo Tuzii. Da un soggetto di Franco Barbaresi e Lucille Laks. Seguiamo le vicende di un geologo che studia la forza e la direzione del vento per evitare slavine e si trova suo malgrado coinvolto negli interessi e nelle vecchie e misteriose storie di un piccolo paesino sulle Alpi. Superstizione e scienza, il cemento che copre le montagne e i mestieri antichi e brutali come il lavoro in miniera, una storia d’amore non conclusa e due morti misteriose che hanno sconvolto la vita del paese, sono gli ingredienti della messinscena.

Domenica 4 marzo, va in onda la prima delle sei puntate di “Marco Visconti“, basato sull’omonimo romanzo di Tommaso Grossi, ambientato nella Milano del XIV secolo, con la città posta sotto la Signoria della famiglia Visconti. Sceneggiatura di Mario Monicelli e Anton Giulio Majano che ne è anche il regista. Con: Raf Vallone (Marco Visconti), Gabriele Lavia (Ottorino Visconti), Pamela Villoresi (Bice del Balzo), Gianni Garko (Lupo), Herbert Pagani (Tremacoldo), Warner Bentivegna (Lodrisio Visconti), Franca Nuti (Ermelinda del Balzo), Sandro Tuminelli (Oldrado del Balzo).

Alcune delle riprese vennero girate nella Rocca di Angera sul lago Maggiore, nel Castello Visconteo di Pavia, nella Rocca Sforzesca di Soncino (Cremona) e nel Castello di Torrechiara (Parma).

Tra le comparse dello sceneggiato, è presente nella prima puntata, nel ruolo di un servo dei Del Balzo, un giovanissimo ed allora sconosciuto Marco Columbro, divenuto poi un notissimo conduttore televisivo.

Siamo nel 1329, l’Imperatore Ludovico ha deposto il legittimo pontefice e ha installato sul soglio Nicolò V, dando inizio allo scisma religioso. Milano è ghibellina e si schiera con l’Imperatore. A Limonta, in Lombardia, i cittadini cercano il sostegno del Conte Del Balzo. Ottorino Visconti incontra la figlia di Del Balzo, Bice, e le dichiara il proprio amore; poi torna a Milano e reca omaggio a Marco Visconti, signore e condottiero stimato da tutti, con cui collabora il subdolo cugino Lodrisio. Dopo l’insediamento dei Del Balzo a Milano, Ottorino li invita ad un banchetto dato da Marco per festeggiare il suo compleanno. Marco, nel vedere Bice, se ne innamora, ricordando la madre Ermelinda, da lui amata in gioventù. Lodrisio ne approfitta per mettere in cattiva luce Ottorino…

Murat – Generale napoleonico, dal 1808 al 1815 re di Napoli”. Specialista in biografie celebri (Caravaggio, Dante…), Silverio Blasi dirige uno sceneggiato su Gioacchino Murat. L’espediente narrativo è quello di racchiudere negli ultimi cinque giorni della sua vita i sette anni del suo regno. Ma quello che più sembra premere a Blasi e allo sceneggiatore Dante Guardamagna è mettere in evidenza, tramite le parole del difensore d’ufficio capitano Starace (Antonio Casagrande), che qui assume anche il ruolo di narratore, l’importanza del rapporto conflittuale che esisteva tra Murat (Orso Maria Guerrini) e Napoleone (Raoul Grassilli). In onda dal 15 giugno, annovera nel cast anche Vittorio Sanipoli, Gianni Musy, Diego Michelotti, Mario Feliciani, Paola Bacci, Elisabetta Carta, Guido Leontini, Antonio Casagrande e Roldano Lupi.

Con “Ritratto di donna velata” siamo a Firenze. Luigi è un pilota collaudatore di auto rimasto sospeso dal lavoro per un incidente. Ad una festa incontra Elisa, una studentessa universitaria di cui si invaghisce. La accompagna a Volterra dove la ragazza deve recarsi per i suoi studi. Lì, in una vecchia villa, abita il cugino di Luigi, il conte Alberto, un tipo poco socievole. Mentre i due percorrono la strada verso la villa, all’improvviso cala la nebbia e compare un tenebroso cavaliere su un cavallo nero che li lascia alquanto turbati. Raggiunta comunque la villa, vi trovano Sandra, una giovane archeologa che si occupa della collezione etrusca del conte. Elisa comincia ad avvertire uno strano malessere; è attratta dal ritratto di una donna velata e da quello di Giacomo Certaldo, un negromante morto nei primi dell’Ottocento…

Gli interpreti sono: Nino Castelnuovo (Luigi Certaldo), Daria Nicolodi (Elisa), Mico Cundari (Alberto Certaldo), Nino Dal Fabbro (Mercani), Manlio De Angelis (Sergio), Luciana Negrini (Sandra), Corrado Gaipa (Nebbia), Arturo Dominici (Marston), Massimo Serato (Grimaldi).

A distanza di tre anni dall’epocale “A come Andromeda” (che a sua volta si era inserito nella scia del capolavoro del ’71 “Il Segno del Comando”), nel 1975 la RAI torna a cavalcare l’interesse diffuso del pubblico per l’emergente genere fantathriller con lo sceneggiato “Gamma”, trasmesso in quattro puntate dal 21 novembre. Diretto da Salvatore Nocita, con Giulio Brogi già interprete dell’”Eneide” e con Laura Belli vista nel bellissimo “Lungo il Fiume e sull’Acqua”.

gamma

Storia molto avveniristica e affascinante, un mix incalzante di fantascienza e realtà, capace di mescolare intelligentemente prossime utopie con le conquiste del presente descrivendo un mondo di calcolatori decisionali e di visualizzatori di ricordi, rendendo così possibile ciò che oggi è ancora fantasia, ma toccando argomenti forti e aprendo molti interrogativi. Gamma è la lettera greca che il calcolatore sceglie per il cervello da trapiantare allo sfortunato pilota automobilistico Jean, vittima di un incidente in pista, e tutto questo si intreccia con l’esecuzione capitale di Daniel, la cui sorella Nicole è moglie di Jean, eseguita in precedenza per una condanna di omicidio. Al risveglio dopo il trapianto Jean non ricorda nulla, inizia quindi la riabilitazione ma il suo comportamento è alquanto strano; Jean non è più lo stesso, si interessa alla fidanzata di Daniel di nome Marianne e arriva a ucciderla apparentemente senza un reale motivo. Dichiaratosi colpevole fin da subito, la vicenda sembra finita lì, ma dietro si scopre un retroscena di vendetta e di rancore in quanto Daniel, il condannato a morte, aveva commesso l’omicidio, che lo porterà alla pena di morte, sotto l’influenza della droga procuratagli dalla fidanzata Marianne e da qui l’origine del nuovo omicidio con la rabbia della madre e la sua volontà di vendicare il figlio agendo sul cervello del trapiantato Jean.

Una vicenda all’apparenza contorta, ma appassionante, da rivivere e rivedere ancora oggi: il tempo per questa storia sembra non essere passato, riuscendo davvero a catapultare lo spettatore direttamente nel futuro. Il trapianto del cervello oggi è ancora tabù, proprio perché al suo interno c’è la nostra vita, i nostri ricordi, quello che siamo e che siamo stati e non sapremo mai come potremmo uscire da un intervento simile, quanto vulnerabili potremmo diventare. Quindi lo sceneggiato ci spinge a un’analisi non tanto sugli aspetti medico-scientifici, ma su quelli etici. Temi molto attuali anche allora, non essendosi ancora esaurite le discussioni relative al primo trapianto di cuore effettuato nel 1967 dal chirurgo Christiaan Barnard.

Lo sceneggiato fu accompagnato da una storica sigla composta da Enrico Simonetti che rimase per molte settimane al primo posto dei 45 giri più venduti. Un altro tema è l’intuizione di “Gamma”, poi ripresa da altri film, che vi sia la possibilità per le forze dell’ordine di individuare gli autori di crimini attraverso la visualizzazione dei loro pensieri. La storia è ambientata nei dintorni di Parigi, precisamente a Créteil, in un futuro prossimo ma imprecisato. dove furono girati gran parte degli esterni. Le scene della movimentata corsa in pista sono invece state girate nell’autodromo di Monza.

La sera del 23 novembre 1975 gli italiani furono testimoni di un duplice omicidio. In prima serata. Due giovani amanti, lei bella e bionda vestita solo da una bianca veste da notte mentre lui, inquadrato sempre e solo di spalle, barbaramente trucidati da diversi sgherri vestiti in abiti cinquecenteschi. L’azione si svolgeva all’interno di un castello medievale mentre una voce declamava in perfetto dialetto siciliano un’antica ballata. E questo era solo l’inizio de “L’Amaro Caso della Baronessa di Carini”.

baronessa di carini

Nell’atto di morire la donna bella e bionda lasciava su una parete il segno della propria mano insanguinata. Quella macchia di sangue avrebbe affascinato e un poco spaventato gli italiani, alcuni ne avrebbero provato repulsione, altri se la sarebbero sognata di notte. La maggior parte delle persone, però, sarebbero rimasti incollate davanti al televisore per capire come sarebbe finita la storia. Seguendo la trama, seguendo anche una sorta di prefazione girata dallo sceneggiatore stesso della storia e apparsa, quasi fosse un servizio del telegiornale, appena prima dell’inizio della prima puntata, e dove ci sarebbe stato spiegato che quella cruenta sigla rappresentava un delitto avvenuto nel 1563, mentre lo sceneggiato raccontava la storia dell’uomo che tre secoli dopo si sarebbe trovato ad indagare su quel crimine. Lo sceneggiato avrebbe avuto infatti un’ambientazione ottocentesca.

Il suo protagonista, colui che avrebbe indagato, in parole povere l'”eroe” della storia, si chiamava Luca Corbara e avrebbe avuto come interprete colui che era considerato come il vero beniamino del pubblico televisivo dell’epoca: il toscano Ugo Pagliai, mentre la protagonista della miniserie sarebbe stata impersonata dalla svedese Janet Agren. Il pubblico a casa era già conquistato e convinto che l’eroe della storia avrebbe riparato l’antico torto. Ancora una volta però ci sarebbero state sorprese. Molte anche amare. Il cast, oltre ai citati protagonisti, era formato da Adolfo Celi, Paolo Stoppa, Vittorio Mezzogiorno, Enrica Bonaccorti, Guido Leontini e Loris Bazzocchi.

Una ballata popolare cinquecentesca, composta in dialetto siciliano da un autore anonimo, poi diffusa dai cantastorie, costituisce il soggetto da cui Luigi Malandri e il regista Daniele D’Anza realizzano l’adattamento televisivo in quattro puntate. Essa narra di un delitto realmente avvenuto a Carini il 4 dicembre 1563: la baronessa di Carini, donna Laura Lanza, moglie di don Vincenzo La Grua-Talamanca, fu uccisa, ufficialmente per motivi d’onore, dal padre don Cesare Lanza. Pur non essendo un giallo, procede nella narrazione sulla base di meccanismi a suspense e mescola intrighi, magia e parapsicologia, elementi, come abbiamo visto, molto in voga in quegli anni. A cantare, in un convincente vernacolo siciliano, l’antica ballata cinquecentesca, ripresa come sigla, era un romanissimo Gigi Proietti.

Thomas Norton utilizzando la macchina della verità smaschera un ladro per necessità, che per vendetta nei confronti dello scienziato si suicida, provocandogli un grave turbamento. Poco dopo la signora Flora Sills, vicina di casa del celebre dottor Thomas Norton, viene misteriosamente uccisa, proprio nel laboratorio dello scienziato. Nell’ambito dei suoi studi su un modello sperimentale di “macchina della verità” di sua invenzione, Norton si era accorto che una dracena regalatagli dalla donna, opportunamente collegata con gli elettrodi all’apparecchio, reagiva agli stimoli esterni fino a palesare un’attività emotiva e per questo aveva invitato la donna ad assistere ai suoi esperimenti. Grazie alle sensazioni di un’altra pianta, unica testimone in vita dell’omicidio, collegata alla macchina di Thomas Norton, si arriverà a smascherare l’assassino. Questa è la trama de “La traccia verde”, per la regia di Silvio Maestranzi, ispirato ad un romanzo di fantascienza di Gilda Musa dal titolo “Giungla domestica”.

Queste tre puntate, in onda dal 21 dicembre, sono davvero ben congegnate e non danno mai la sensazione di “teatro” che, ad un occhio moderno, potrebbero dare le vecchie produzioni RAI. L’attore che interpreta lo studioso Thomas Norton (Sergio Fantoni) è vibrante e credibile, un uomo posato e pensieroso. Altri interpreti: Paola Pitagora (Margaret Stakowsky), Luigi Casellato (Nick), Cesare Ferrario (Cleve Lester), Paolo Malco (John Ginsborg), Sergio Rossi (il tenente), Lilla Brignone (Flora Sills), Marco Bonetti (Mark Bennet), Paola Montenero (Betty Segal), Giorgio Bonora (Avvocato Walt Finney).

Il bianco e nero rende tutto impalpabilmente psicanalitico, ma la caratteristica evidente che lega “La traccia verde” a noi oggi, è questo avviso che chiude ogni puntata: “Fatti e personaggi di questo racconto sono immaginari, ma gli esperimenti sulle piante e le ipotesi relative fanno ormai parte del patrimonio scientifico acquisito negli ultimi anni attraverso studi condotti negli Stati Uniti e nell’ Unione Sovietica. In particolare, sono considerate fondamentali le esperienze del ricercatore statunitense Cleve Backster”.

Altri tempi…e “mamma Rai”, come era benevolmente chiamato il servizio radio-televisivo italiano, aveva ancora lo specifico compito di mantenere “alto” il registro delle informazioni, anche se un poco strane come questa. Come un genitore ansioso si preoccupava di arginare la deriva all’abbrutimento, e prima ancora che l’indice di gradimento e lo share penetrassero nei tavoli di discussione dei direttivi, il suo compito era ancora di dare informazioni ai telespettatori senza semplificare, magari emozionandoli.

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