Se torniamo con la mente alle feste dell’anno scorso, mai avremmo immaginato che solo dodici mesi dopo il Natale sarebbe stato pieno di paure, divieti, rinunce e distanze. E mai avremmo immaginato di rimpiangere le consuete tradizioni, sempre uguali anno dopo anno.
Il 2020, più di tutto, ci ha insegnato a essere forti, resilienti e coraggiosi. Abbiamo superato la più terribile delle tempeste e, nonostante le difficoltà e la tristezza nel cuore, riusciremo a sopravvivere e a rendere particolare un Natale più silenzioso, sottotono e meno gioioso.
Speranze di un Natale diverso si insinuano anche negli animi forzatamente abituati a non credere nell’isola che non c’è. Gli animi di chi si trova dietro le alte sbarre del carcere di Bergamo.
Alcuni detenuti della casa circondariale bergamasca, infatti, hanno concesso a loro stessi di credere in qualcosa, di provare a sognare mettendo nero su bianco desideri e speranze per il Natale 2020. E hanno voluto condividerli con Bergamonews.
“Un altro Natale, un altro anno che finisce, sto pensando a qualche buon proposito per un 2021 che sembra non arrivare più. La verità è che dopo tanti giorni di pensieri, brutte copie gettate nel cestino, devo fare pace con me stesso, mettendo a nudo la parte di me che in queste feste diventa sempre più fredda. Dopo cinque anni qui, il mio grande desiderio è che il prossimo anno sia davvero il mio buon anno nuovo, un anno di novità, ripresa e di un ritorno alla vita normale, alla possibilità di riscattarmi davanti a persone che credevano e che credono tutt’ora che io mi sia perso per strada”, scrive un detenuto.
Per qualcuno però è troppo difficile, doloroso, provare a sperare, convinto ormai che si tratti di utopia.
“Non ce la faccio, mi dispiace. É il secondo anno di fila che passo il Natale qui, purtroppo. Posso solo dire che in questo momento sono nel letto e penso a un sacco di cose della mia vita”.
Nel buio più profondo e nell’avvicinarsi del momento più carico di nostalgia dell’anno, le persone incarcerate a Bergamo si preparano al Natale peggiore, consapevoli che, per colpa del Covid, non potranno nemmeno ricevere le visite di parenti e amici. Allora si aggrappano al ricordo di persone care e di quelle anime rare che le hanno aiutate a sopravvivere a tutto questo.
Primo fra tutti, don Fausto Resmini, il sacerdote dei poveri e cappellano del carcere stroncato dal Coronavirus, che è stato sempre molto vicino alla quotidianità dei detenuti.
“Questo Natale sono triste. Sento una strana sensazione, perché il Natale mi fa ricordare il mio amico Don Fausto, portato via dal Covid. Penso a lui e a quanto di buono ha fatto per me”.
Su tutto, ovviamente, è il desiderio di libertà a emergere tra le righe di fogli scritti con cura nei momenti più bui della mente di un detenuto che deve affrontare ogni giorno i fantasmi di affetti abbandonati, di pentimenti e di strazianti strappi nella memoria, immaginando una vita che poteva essere, se solo quel giorno non fosse andato come è andato o se qualcuno fosse intervenuto per arrestare un ciclo senza fine di scelte sbagliate e deviate.
“Ho sempre desiderato una casa mia dove avrei potuto aspettare che ritornassero da scuola i miei bambini, che avrebbero riempito l’ambiente con la loro gioia e il loro disordine. E questo è il mio grande desiderio per questo Natale: tornare in quella casa e rivedere i miei figli. In questo momento sto male a causa della nostalgia per i miei affetti, famigliari, parenti, amici e persone care. Non c’è un attimo del giorno e della notte che io non pensi a loro, e poi ci sono i ricordi che mi causano un dolore immenso”.
Desiderio di poter finire la pena e di poter finalmente tornare a casa dai propri famigliari, con la promessa solenne che mai più ricadranno nel baratro, perché ora hanno davvero capito cosa hanno perso.
“Esistono cose nella vita per cui vale la pena di lottare sino alla fine. I miei figli. Tornerò da loro e, un giorno, spero tanto presto, potrò finalmente mangiare di nuovo a tavola con loro. Mi mancano terribilmente. E il mio unico desiderio sono loro”.
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