Titolo: Mank
Genere: Drammatico, biografico
Regia: David Fincher
Interpreti: Gary Oldman, Amanda Seyfried, Lily Collins, Charles Dance, Arliss Howard
Durata: 131’
Valutazione: ****
Programmazione: Netflix
Il sogno di ogni figlio è quello di rendere orgoglioso il proprio padre, anche se ti chiami David Fincher.
Evidentemente aver portato in scena capitoli imprescindibili della cinematografia moderna del calibro di “Fight Club”, “Alien 3” e “Seven” non dev’essere bastato al regista di Denver che, dopo anni di rifiuti, tentativi e porte sbattute in faccia, riesce a girare e far pubblicare “Mank”, la cui sceneggiatura originale venne ideata e scritta proprio da Jack Fincher, suo padre.
La trama è semplice: siamo nella California del 1940, più nello specifico a Victorville. Qui facciamo la conoscenza di Herman J. Mankiewicz, sceneggiatore noto soprattutto tra la metà degli anni ‘20 e la fine del 1930 dalla una personalità poliedrica, dedito soprattutto al gioco d’azzardo e all’alcolismo.
Mank è convalescente a causa di un incidente d’auto e per dedicarsi a pieno alla creazione di una sceneggiatura affidatagli da un gagliardo regista in ascesa, decide di ritirarsi con degli assistenti nell’ecoregione desertica del Mojave.
In questo luogo sperduto egli cerca un’ispirazione perduta rievocando ricordi vividi di un passato felice, tanto da permettergli di partorire lo script di “Citizen Kane”, conosciuto nel nostro Paese come “Quarto Potere” che gli varrà l’Oscar nel 1942.
Il film rappresenta un coraggiosissimo esercizio di stile da parte di Fincher che, pur sapendo di non dover più dimostrare nulla al suo pubblico, decide comunque di sorprendere portando in scena un’opera che, oltre alle tematiche, ruba ed omaggia gli anni ‘40 con un bianco e nero scintillante, unendolo sapientemente ad uno stile di regia basato su inquadrature fisse durante lo svolgersi della scena e su ambientazioni mastodontiche tipiche di quegli anni.
In poche parole: un’opera che ricalca in tutto e per tutto lo stile cinematografico della prima metà del ‘900 e ciò può rappresentare tanto un punto di forza quanto una barriera insormontabile per tutti coloro che non fossero abituati a tali raffinatezze.
Andando però oltre l’ostico scoglio stilistico, la pellicola altro non è che un biofilm a cui va il merito di aver tratteggiato con immensa cura, anche grazie ad un Gary Oldman in grande spolvero, la psicologia di uno dei personaggi più importanti della storia del cinema che con i suoi lavori ha contribuito a tutto ciò che ancora oggi possiamo ammira dello show business.
Tale dettagliato ritratto viene poi calato fedelmente nella realtà hollywoodiana che, nel periodo della 2ª guerra mondiale, conobbe il suo periodo più splendido, mostrando così allo spettatore in modo non del tutto velato quanto, pur essendo passati più di 80 anni, la realtà che conosciamo oggi non si discosti poi più di tanto da quella dei nostri nonni.
Il tutto viene quindi mixato in quello che risulta essere come una lunga ponderazione riguardo al mondo del cinema: tanto splendente e amato quanto basato su falsità, invidia e circostanze del tutto tragicomiche.
Basato su una storia poco nota al grande pubblico, “Mank” è sicuramente una delle produzioni più valide della storia di Netflix che, nel 2021, potrà forse sperare di ricevere per la prima volta l’Oscar per il miglior film, mai vinto prima d’ora.
Battuta migliore: “Mank, sono Orson Welles. È tempo che noi due parliamo.”
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