Sole, acqua o neve, per loro non c’è sabato né domenica, non fanno ponti, se non quelli per passare da una parte all’altra della nostra provincia, il lockdown non sanno cosa sia.
Da settembre a giugno, scendendo dagli alpeggi, attraversano la nostra pianura bergamasca: sono i pastori con il loro gregge.
Nei prati della prima periferia di Bergamo, Marco Cominelli di Piario, anni quarantasei che da trentadue fa il pastore, osserva le sue quattrocento pecore, razza bergamasca, quattro cani, due asini. Con lui altri tre pastori, fra cui un ragazzo di vent’anni e Martino appena quattordicenne di Clusone che frequenta la scuola di agraria. Martino, ragazzo allegro, ma più maturo dei suoi anni, chiacchiera volentieri, ma disdegna essere intervistato e fotografato, non ama la pubblicità con la “scusa” che poi troppe ragazzine gli farebbero il filo.
Racconta delle sue giornate, delle notti passate in roulotte, del suo cucciolo di cane che è con loro. Martino da più di quindici giorni non fa rientro a casa: di tanto in tanto richiama uno dei cani che curano il gregge, ha un’età in cui la maggior parte dei nostri ragazzi vive sui social, ma se lo si osserva attentamente si capisce quanto lui sia molto più sereno di molti altri che non conoscono freddo e fatiche di una vita da pastore.
Il clima per loro non è certo favorevole, da giorni con pioggia e freddo, ma la transumanza non conosce sosta.
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