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Lettere

La lettera

“Il Covid ha fermato anche la vita di mio fratello nella residenza protetta”

Una nostra lettrice della provincia di Bergamo ci invia questo scritto, che inizia da un groviglio di messaggi tra lei stessa e suo fratello, distanti, in un tempo di incertezze, fatiche, attese e quesiti

Una nostra lettrice della provincia di Bergamo ci invia questo scritto, che inizia da un groviglio di messaggi tra lei stessa e sua fratello, distanti, in un tempo di incertezze, fatiche, attese e quesiti, in cui dove finisce il quesito di uno inizia quello dell’altro.

“Per te il 3 dicembre torno a casa?”, “Se a Natale sono a casa, dove andiamo? Al ristorante?” In due domande A. ha racchiuso lo spaesamento e l’incertezza del momento.

Mio fratello A. vive in un appartamento protetto, con altri giovani, come lui. Come me. Ognuno con le proprie fragilità. È giovane, bello e sano. Solitamente trascorre le sue giornate lavorando come giardiniere e collaborando in un laboratorio. Ama guardare film. Adora i cani e le passeggiate in montagna. Fa parte del CAI. E torna con gioia a casa tutti i weekend. Solitamente.

Sì, perché quanto appena detto in questo 2020 si è interrotto. Per lui quest’anno funesto è ancora più complicato da comprendere che per noi tutti. Da marzo a giugno niente laboratorio, niente giardinaggio, niente CAI e soprattutto niente rientri a casa. Ed una serie infinita di domande, senza risposte. Che ora, dopo una pausa estiva positiva, ritornano.

Il mondo però continua a muoversi, la vita non si ferma, prosegue, nonostante tutto. Ma lui e tutti i ragazzi che vivono in appartamenti protetti a casa non possono tornare così come tanti che vivono in RSA, RSD…

Ma, i servizi residenziali sono una realtà estremamente eterogena. “Questo dicono le direttive, ci dispiace” affermano i coordinatori. Direttive sostanziate da un paragrafo impersonale di 4 righe: “l’accesso alla struttura da parte di familiari/caregiver e conoscenti degli utenti deve essere concesso eccezionalmente, su autorizzazione del responsabile medico della struttura stessa (esempio: situazioni di fine vita) e, comunque, previo accertamento dello stato di salute…”. (DGR 3183)

È troppo poca l’attenzione e la cura istituzionale data a questi giovani e alle loro famiglie. Ed è assolutamente illogico accomunare giovani adulti a ultranovantenni. Quanto invece vengono ignorati i diritti della persona e quanto può essere importante per il benessere psicofisico poter vivere il più possibile una vita intessuta di relazioni, attività, routine, incontrare almeno i propri famigliari, una volta ogni tanto, all’esterno della struttura, nel rispetto delle precauzioni…

E quindi oggi, come ieri, e come a marzo, aprile e maggio continuerò a rispondere ad A.: “Non si sa”, “Speriamo”, “Vedremo”, “Stai tranquillo” …Nella speranza che qualcuno si accorga di “Noi”.

Una sorella

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