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Il ricordo

“Mi hanno raccontato di Maradona”

C’era sempre qualcuno che ti urlava “passala, mica sei Maradona!” e tu, bambino di 10 anni, tornavi a casa e chiedevi al papà o al nonno, “chi era Maradona?”

Non è facile trovare le parole per descrivere questo momento. Forse perché non viviamo a Napoli, o forse perché non siamo riusciti a vivere appieno quello che dalla maggior parte del mondo del pallone è definito “il più grande di tutti”.

Dopo l’operazione alla testa, sembrava che Diego avesse superato l’ennesimo scoglio. Invece alle 17.30, ora italiana, la tragica notizia: ci ha lasciato “El Pibe de Oro”. In tutta onestà però ritengo di non avere diritto di raccontare ciò che davvero è stato Diego Armando Maradona.

Sì perché, purtroppo sono nato quando la sua carriera da calciatore era già finita. Quanto mi sarebbe piaciuto essere tra quegli ottantamila tifosi che lo accolsero in un San Paolo pieno zeppo, o aver visto la “Mano de Dios” e capire cosa avrebbe significato per tutta l’Argentina.

Invece, ho dovuto sognarlo, pensare come era vedere giocare dal vivo il più grande di tutti. Un po’ come quando leggi un libro e devi immaginarti i suoi movimenti, le sue magie e le azioni spettacolari. Ci siamo passati tutti, dai campetti con gli amici, agli oratori. C’era sempre qualcuno che ti urlava “passala, mica sei Maradona!”.

E tu, bambino di 10 anni tornavi a casa e chiedevi al papà o al nonno, “chi era Maradona?”. Si potrebbe dire che è stato salita e discesa, inferno e paradiso, soprattutto fuori dal campo, soprattutto per sé stesso. Al tempo stesso però il fuoriclasse di Buenos Aires ha saputo inventare un nuovo tipo di calcio spettacolare, strabiliante, magnifico.

È grazie a Diego se ora i ragazzi ambiscono alla maglia numero 10.

Ora non sono più le parole di tuo nonno a raccontare il mito di Maradona e a fartelo immaginare.

Ora, guardi video su YouTube, film e documentari e provi a capire perché tutto il mondo, nel più triste dei giorni, lo definisce un dio.

Ha fatto felici tutte le persone che gli hanno voluto bene. È partito dal niente per arrivare ad avere tutto. Ha rischiato di autodistruggersi, ma si è sempre rialzato, rendendo felici tutti, di nuovo. Da oggi però le sue gesta, verranno raccontate, come è successo a me, e a tutti quelli che con una palla in mano alla domanda “che cosa vuoi fare da grande” risponderanno “il calciatore”.

Intitoleranno il San Paolo al capitano dell’Albiceleste, potranno fare statue, libri, piazze, ma il mondo del calcio ha perso troppo presto un personaggio a cui non sarà mai abbastanza grato.

Io non l’ho visto, me lo hanno raccontato, ma in qualche modo l’ho vissuto.

Ciao Diego, Dio del calcio.

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