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L'appello

“Da 9 mesi non accarezzo mia mamma in Rsa: permettetelo almeno per Natale”

La testimonianza di una figlia che da febbraio non può avere contatti fisici con la mamma: "Una sofferenza: perchè ora mantenere la distanza indossando la mascherina non è più considerato sicuro?".

“L’ultima volta che ho potuto stringere la mano a mia mamma e darle una carezza? Era febbraio”: Daniela è una delle tante figlie che stanno vivendo di rinunce e sacrifici, perchè le norme anti-contagio da 9 mesi la stanno privando di quel contatto quotidiano che era abituata ad avere con la mamma ricoverata in una Rsa di Grumello del Monte.

La sua testimonianza è un mix di emozioni forti, tra le quali ad emergere è senza dubbio lo sconforto: perchè a giugno, pur senza avere la possibilità del contatto fisico, il solo condividere lo stesso spazio e vedersi dal vivo e non attraverso uno schermo sembrava già una grande conquista.

Invece a metà ottobre una nuova doccia fredda, con la Regione Lombardia che tramite ordinanza aveva vietato nuovamente “l’accesso alle strutture delle unità di offerta residenziali della rete territoriale da parte di familiari/caregiver e conoscenti degli utenti ivi presenti”.

“Mia mamma Cecilia è ricoverata alla Fondazione Madonna del Boldesico da 11 anni e ci siamo sempre trovati bene – racconta Daniela – Da febbraio a fine maggio l’abbiamo potuta vedere solo tramite videochiamate che, nonostante gli sforzi degli operatori della Rsa, non sono di semplice organizzazione per tutti gli ospiti. Poi la mamma ha 89 anni e un po’ di demenza senile: già è complicato dal vivo a volte, immaginatevi le difficoltà che abbiamo avuto a comunicare tramite uno schermo”.

Uno spiraglio per lei e le altre famiglie con parenti ricoverati nelle Rsa era arrivato a giugno: “Abbiamo avuto finalmente la possibilità di entrare nella struttura, per incontri di un quarto d’ora alla settimana, un parente alla volta: più di due metri di distanza, mascherina, igienizzazione costante. Insomma, tutte le misure di sicurezza necessarie – continua – La prima volta che che ci siamo viste sono venuti gli occhi lucidi a entrambe. Mi ha detto: ‘Che bello che ti posso vedere qui e non in televisione’. Per noi tre figli e tre nipoti, abituati ad andare da lei tutti i giorni prima di questa situazione, era già qualcosa”.

Grazie a continue interlocuzioni e alla disponibilità della Rsa, poi, i familiari avevano ottenuto che quel quarto d’ora diventasse mezz’ora.

“In quindici minuti, così bardati, facevamo fatica anche solo a farci riconoscere – sottolinea – A inizio ottobre, però, il tempo degli incontri è raddoppiato: nemmeno il tempo di abituarsi che poi è arrivata la nuova ordinanza della Regione che ha costretto la direzione a tornare alla modalità delle videochiamate ed è davvero difficile. Purtroppo ci sono anche persone con l’Alzheimer che già dal vivo non riconoscono i parenti, mentre il contatto di una mano stretta lo sentono. Le Oss e le infermiere fanno davvero di tutto per loro, organizzando attività e standogli vicino, ma non è la stessa cosa”.

A rendere complicata la lontananza sono anche le continue e pressanti richieste di mamma Cecilia: “Continua a chiederci cosa ci ha fatto di male, perchè non andiamo più a trovarla e quando finalmente andremo – confida Daniela – È davvero triste. Noi figli e i suoi nipoti speriamo almeno di riuscire a vederla per le feste di Natale. La Rsa ha sempre organizzato il pranzo con i parenti per festeggiare, quest’anno invece non sappiamo nemmeno se riusciremo a farci gli auguri. È difficile capire e accettare: perchè da un momento all’altro le precauzioni che ci hanno sempre assicurato fossero sicure ora non lo sono più? Perchè non possiamo tornare a vederci mantenendo la distanza e indossando una mascherina? L’ultima volta che ho avuto un contatto fisico con mia mamma era febbraio, da nove mesi non riceve una carezza da un familiare. Questo è il pensiero che più ci pesa, è una sofferenza”. 

L’appello di Daniela è un po’ quello delle tantissime famiglie che si trovano nella sua stessa situazione: “Abbiamo scritto lettere, chiamato, sollecitato a ogni livello ma la Regione per ora nemmeno risponde ai nostri reclami – spiega – Purtroppo noto che molte famiglie stanno accettando qualsiasi decisione, ma io non mi rassegno, trovo disumano che non possiamo vedere i nostri cari. La nostra speranza è che almeno verso la metà di dicembre ci possa essere una parziale riapertura, la nostra Rsa si è detta disponibile a fare tutto il possibile anche mettendo plexiglas divisori tra ospiti e i parenti. Speriamo di avere notizie dalla Regione, che ci ripensino sulla chiusura delle Rsa”. 

Una richiesta che in provincia di Bergamo assume ancora maggiore rilievo sulla base dei risultati emersi dai primi screening effettuati da Ats nelle strutture: “Abbiamo analizzato la situazione nel periodo tra il 14 settembre e il 16 novembre, il dato più incoraggiante è quello rilevato proprio il giorno 16 con 17 positivi (16 nelle Rsa e 1 in un centro diurno integrato, ndr) su un totale di 6.860 ospiti considerate tutte le tipologie di strutture – spiegava solo una settimana fa il dottor Giuseppe Matozzo, direttore socio-sanitario di Ats Bergamo –. Considerato che il rischio zero contagio è impossibile, un numero così basso significa che la situazione è ben monitorata e sotto controllo”.

Secondo i dati in possesso di Ats, tra l’inizio di settembre e l’inizio di novembre gli operatori delle Rsa in malattia sono risultati in media il 2,5% ma solo l0 0,2% presentava un tampone positivo: tra la metà e la fine di marzo, invece, la percentuale era del 25%.

“Con questi numeri possiamo considerare le Unità di Offerta sociosanitarie residenziali della provincia di Bergamo luoghi sicuri con un rischio Covid prossimo allo zero – concludeva il dottor Matozzo -. Il merito va ascritto allo scrupolo con cui avvengono i nuovi ingressi e per questo ringrazio le strutture. D’altra parte un ulteriore aiuto verrà dalla disponibilità di tamponi rapidi la cui distribuzione da parte dell’Agenzia di Tutela della Salute è iniziata questa settimana, con un piano di ben 33.000 tamponi rapidi al mese tra ospiti (test una volta al mese) e operatori (test due volte al mese) per le UDO residenziali e semiresidenziali”.

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