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Il maggiore mura

Il primo carabiniere che cercò Yara: “Sua madre Maura ci spronava, quanta forza”

Dieci anni fa la scomparsa della tredicenne di Brembate Sopra, poi trovata senza vita: "Bossetti giudicato colpevole, ma se confessasse saremmo tutti più tranquilli"

Venerdì 26 novembre 2010, sono da poco passate 20.30. Alla caserma dei carabinieri di Ponte San Pietro arriva una telefonata: “Buonasera, mi chiamo Fulvio Gambirasio e abito in via Rampinelli a Brembate Sopra. Vorrei denunciare la scomparsa di mia figlia. Si chiama Yara e ha 13 anni…”.

Iniziò così, dieci anni fa, il giallo che tenne in scacco Bergamo e l’Italia intera per anni, con complesse ricerche prima, e poi lunghe indagini che culminarono nell’arresto il 16 giugno 2014 di Massimo Giuseppe Bossetti, carpentiere di Mapello con una moglie e tre figli. Ne seguì il processo, con la condanna all’ergastolo in primo, secondo e terzo grado, senza però una confessione dell’uomo che si è sempre professato innocente ed estraneo ai fatti.

Massimo Giuseppe Bossetti

Ma prima della vicenda giudiziaria c’è quella umana, con l’incubo vissuto da una famiglia che quella fredda sera d’inverno non vide rincasare la propria figlia, poco più che bambina, dalla palestra dove era andata a portare uno stereo per il saggio di danza della domenica successiva.

In quelle ore in pochi ipotizzavano un risvolto drammatico di ciò che all’inizio sembrava essere un allontanamento volontario e momentaneo di una ragazzina. Uno dei primi a pensare a qualcosa di tragico fu il maggiore Giovanni Mura, origini sarde, 52 anni, da 31 nell’Arma, allora a capo del Nucleo investigativo provinciale.

“Ricordo le chiamate di quella sera con il padre Fulvio, molto preoccupato, che contattava conoscenti nella speranza che Yara fosse con loro – le parole del carabiniere, che ora dirige il Nucleo di Treviso – . Anche mamma Maura era in pensiero, ma in modo più razionale. Dalla mattina successiva, era un sabato, ipotizzammo che potesse essere successo qualcosa di grave. Questo perché la ragazza era di una buona famiglia e non aveva genitori sbandati, di quelli che magari possono indurre i figli ad andarsene di casa”.

In quel momento iniziarono le ricerche, da Brembate Sopra per poi allargarsi a tutta la provincia e anche all’intera regione: “Il telefonino della vittima, che non aveva più risposto agli sms della mamma, risultava spento ed era impossibile localizzarlo. Allora iniziammo a girare con i nostri uomini per trovare tracce, partendo dalla palestra in cui era stata per l’ultima volta il pomeriggio della scomparsa. Erano serate fredde, anche con la neve, ma nessuno di noi si fermava un attimo”.

yara

Insieme ai militari c’erano tanti volontari della zona, ma soprattutto al loro fianco mamma Maura e papà Fulvio: “Non scorderò mai la forza di quella donna che ci spronava ad andare avanti. Era un grosso stimolo per noi. Personalmente ero stupito, avendo una figlia coetanea di Yara mi chiedevo come faceva a non essere disperata. Un giorno le chiesi dove trovava tutta quella determinazione. Lei mi rispose che non poteva permettersi di mollare perché aveva altri tre figli a casa e anche Yara doveva tornare”.

Poi la svolta, in realtà presunta tale, con l’intervento dei cani molecolari che fiutano una traccia: “Dal centro sportivo ci portarono in un cantiere di Mapello. Indagammo su chi era lì nel giorno della scomparsa e, tra gli altri, emerse il nome di Mohamed Fikri che finì in carcere con l’accusa di omicidio. Poi tutti sappiamo come andò a finire (ritenuto innocente, venne risarcito con novemila euro, Ndr). Eppure dicevano che quei cani non potevano sbagliare, mah…”.

 Mohamed Fikri

Le indagini e le ricerche proseguirono comunque senza sosta: “Speravamo in un rapimento a scopo estorsivo e che la ragazza fosse tenuta segregata da qualche parte. Aspettavamo che qualcuno si facesse vivo. Ma in realtà la disponibilità economica della famiglia ci portava a dare poco peso a questa pista. In quei giorni ci fu anche l’ipotesi del satanismo, oppure di un giro legato allo sfruttamento della prostituzione”.

Poi, tre mesi esatti dopo la scomparsa, il 26 febbraio 2011, la scoperta del cadavere in quel campo di Chignolo d’Isola da parte di un appassionato di aeroplanini telecomandati: “A differenza di ciò che qualcuno ha ipotizzato nel corso del processo, credo che il corpo sia sempre stato lì dalla sera in cui Yara sparì. Non vedo altre possibilità”.

Il maggiore Mura rimase a Bergamo fino a settembre 2012 e non prese quindi parte all’arresto di Bossetti due anni più tardi: “Da Parma, dove venni trasferito, continuai comunque a seguire la vicenda. La giustizia ha fatto il suo corso e credo che dopo tre gradi di giudizio il carpentiere di Mapello possa essere ritenuto il colpevole dell’omicidio. Certo, se confessasse saremmo tutti più tranquilli…”.

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