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In Italia 50mila morti per Covid; a Bergamo il più basso indice contagi/residenti della Lombardia

I dati confermano che la situazione non è ancora sotto controllo e permane una situazione abbastanza critica, sia pure con una prospettiva che sembra più favorevole.

Settimana interlocutoria quella appena trascorsa: da una parte abbiamo l’indice Rt in miglioramento, dall’altra sempre più regioni in zona rossa; inoltre si rilevano ancora molti decessi, mentre calano i ricoveri in Terapia intensiva. Anche i dati confermano che la situazione non è ancora sotto controllo e permane una situazione abbastanza critica, sia pure con una prospettiva che sembra più favorevole.

Vediamo nel dettaglio i dati dell’ultima settimana (17-23 novembre, rilevata dal martedì al lunedì successivo come facciamo sempre).

Superata la soglia delle 50mila vittime

A livello nazionale i nuovi casi sono stati 225.925 (-8 % sui 245.527 del periodo 10-16 novembre). In Lombardia 51.991 (-12,4% sui 59.377). Per quanto riguarda il numero dei test effettuati nel periodo, in Italia (Lombardia inclusa) tra il 17 e il 23 novembre sono stati eseguiti 1.506.472 tamponi totali (inclusi quelli per conferma di diagnosi o guarigione) in linea rispetto a quelli precedenti (1.508.611). In sintesi: a livello nazionale test praticamente stabili con nuovi casi in calo. In Lombardia, invece, la riduzione sensibile dei nuovi casi è correlata a una contrazione più marcata dei tamponi totali effettuati: 263.182 nell’ultima settimana epidemiologica contro i 290.764 della precedente (-9,5%). Il rapporto positivi/tamponi totali è in calo a livello nazionale (Lombardia inclusa) dal 16,37% (media settimanale) al 15,02% dell’ultima settimana. Nella sola Lombardia siamo passati dal 20,86% al 19,56%. Più marcato il calo della curva, calata dal 3,3% al 2,49% ; in Lombardia dal 2,92% al 2,14%.

In aumenti i decessi, 4.720 nel periodo contro i 3.983 del precedente, che portano il totale a 50.453. Superata quindi la soglia psicologicamente difficile delle cinquantamila vittime da Covid.

Indice Rt sotto l’1, ma non è ancora sotto controllo

Passiamo ai valori di Rt calcolati alla sera del 23 novembre: Italia 0,96 (1.07 il dato precedente); Lombardia 0,84 (da 1,04). Troppo presto però per parlare di allentamenti: la situazione non è ancora sotto controllo. La riduzione dei test diagnostici (quelli per la ricerca dei nuovi casi) che si stanno verificando negli ultimi giorni, soprattutto in Lombardia come abbiamo visto, rende meno significativo questo andamento al ribasso. Cercando meno il virus lo si trova meno, e tra gli effetti indotti c’è anche il calo del valore di Rt, che tra i suoi elementi base per il calcolo ha proprio il numero dei nuovi casi rilevati sul territorio. Per questo indice e per tutti gli altri dati, questa settimana sarà decisiva per confermare o meno il trend al ribasso.

I pazienti in terapia intensiva sono stati 318 rispetto ai 643 rilevati in precedenza (in totale 3.810).

Nonostante un minor numero di nuovi ricoveri, questi si aggiungono ai precedenti, cosicché tutte le regioni hanno superato il tasso di saturazione dei posti disponibili. Ciò significa che pur essendoci ancora parecchi posti non occupati (numero che varia molto a secondo delle regioni) è ancora a rischio l’assistenza per i pazienti con altre patologie. A ciò si aggiunga che anche i reparti Covid hanno raggiunto la capienza massima di posti letto occupati. E in molte regioni è stata superata.

Emergenza altre malattie

A questa emergenza se ne aggiunge un’altra e molti ancora non capiscono quanto questa sia la vera emergenza: le prestazioni specialistiche, gli esami preventivi o di routine, le visite di controllo, la sospensione dei ricoveri, hanno subito tutte un calo tutte di oltre il 50%. Con quali esiti sulla salute di tutti è facile immaginare.

Purtroppo, ma è la realtà, ci si continua ad ammalare anche di ”altro” ed è una cosa su cui tutti, malati o sani, dovrebbero riflettere. Se tutto il sistema sanitario è rivolto al Covid, c’è un solo modo per far sì che questa situazione drammatica si sblocchi: continuare le misure restrittive e seguire le norme di comportamento ormai note.

Come se ciò non bastasse, si evidenzia sempre più la carenza di personale medico e infermieristico. A mancare sono tante figure professionali, dagli anestesisti ai medici di famiglia: ma tra quelle di cui si è sentita più l’assenza negli scorsi mesi ci sono gli infermieri, una delle categorie contemporaneamente più sottodimensionate in Italia e più importanti nella gestione di un’epidemia, negli ospedali come nelle RSA e nelle case di riposo. Le soluzioni di emergenza adottate nelle settimane del lockdown per fronteggiare il problema non sono state seguite da interventi più strutturali: non quelli sul medio e lungo periodo, che sarebbero importanti e tardivi, ma nemmeno quelli sul breve e brevissimo, che sarebbero stati necessari per prepararsi alla seconda ondata. Il personale è stato sì aumentato, ma in gran parte con modalità di assunzione che hanno compromesso il risultato finale. E il più importante tentativo del governo di intervenire sul problema, l’istituzione dei cosiddetti “infermieri di famiglia”, per ora è fallito. Intanto sono più di 27.000 i medici e gli infermieri contagiati nell’ultimo mese, rendendo sempre più problematica la carenza di cui si è detto.

Chiamate al 118 in calo

Un dato positivo e molto indicativo in quanto anticipa quello che potrà poi essere la pressione sugli ospedali, viene dalle chiamate al 118 (per motivi infettivi e respiratori), che dopo aver raggiunto i massimi nella prima decade di novembre, si sono decisamente ridimensionate, pur rimanendo ancora su livelli medio-alti. Premesso che i dati si riferiscono alle medie decadali 1/10 novembre (picco massimo chiamate seconda ondata) e 11/20 novembre (fase di discesa dal picco), nel dettaglio vediamo che l’Area Alpina a Bergamo (con AAT di Bergamo, Brescia e Sondrio) è scesa da 120 a 100 chiamate; l’Area dei Laghi a Como (con AAT di Como, Lecco e Varese) da 280 a 160; l’Area Metropolitana a Milano con (AAT di Milano e Monza Brianza) da 480 a 320; l’Area della Pianura a Pavia (con AAT di Cremona, Lodi, Mantova e Pavia) da 140 a 100.

Bergamo, il più basso indice contagi/popolazione della Lombardia

Per quanto riguarda la nostra provincia, abbiamo avuto 1.581 nuovi casi rispetto ai 1.871 della settimana precedente (-15%, media giornaliera 226), leggermente meglio del dato lombardo (-12,4%); che conferma, quindi, rialzi contenuti rispetto alle altre province. Un altro dato a supporto viene dall’indice contagi/popolazione: 2,14%, il più basso di tutta la Lombardia. Mantova è al 2,6%, Lecco al 3%; il dato peggiore è relativo alla provincia di Monza con il 4,52%, seguita da Varese, Milano e Como tutte oltre al 4%. Rimangono stabili i ricoveri in Terapia Intensiva (81), in gran parte però provenienti dalle altre province, in aumento anche i ricoveri Covid ora a 806 rispetto ai 724 della precedente rilevazione. I decessi sono stati 22, leggermente di più rispetto ai precedenti 19. Anche qui osserviamo che sia il tasso di letalità che quello di mortalità, sono inferiori al dato regionale: 1,19% rispetto a 1,34% nel primo caso e 0,01% contro 0,04% nel secondo. I dati sono riferiti alla seconda ondata; come è andata fra febbraio e aprile è tristemente noto a tutti.

Le criticità in Europa e nel mondo

Anche in Europa ci sono i primi segnali di miglioramento; permangono criticità in Belgio, Austria e Svizzera. In quest’ultimo Paese si stanno esaurendo i posti in Terapia Intensiva. Le buone notizie che provengono dal Regno Unito e dalla Germania; nel primo caso ciò è dovuto anche a un numero elevato di tamponi effettuati, nel secondo incide molto la capacità di tracciamento atta a individuare prontamente i cluster di contagio.

Il numero di contagi maggiori, dall’inizio della pandemia, si riscontra in Francia con 2.145mila casi, seguita dalla Russia con 2.100mila, dalla Spagna con 1.582mila e dal Regno Unito con 1.527mila. Come sempre, però, è la percentuale in rapporto alla popolazione che rende più significativo il dato, infatti è il Belgio a comandare questa classifica con il 4,80%, seguito dalla Repubblica Ceca con il 4,60% e dalla Svizzera e dalla Francia con il 3,4%. L’Italia ha un indice del 2,34%, in media con le rimanenti nazioni europee. Se invece prendiamo come riferimento il tasso di letalità, noi deteniamo il triste primato in Europa con circa il 3,65% insieme al Regno Unito. Osservando i dati mondiali, le due nazioni suddette sono fra le prime dieci precedute dal Messico 9,8%, Sudan 7,75%, Ecuador 7,24%, Bolivia 6,17%, Egitto, 5,83% Iran 5,47%, Cina 5,16% e Perù 3,7%.

I casi totali nel mondo sono 59.168.000, i decessi 1.400.000. Sono sempre gli Stati Uniti a detenere il primato sia per i casi (12.500.000) che per i morti (258.000).

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