Un festival coraggioso che prende esempio dal padrone di casa, Gaetano Donizetti. 12 marzo 1835, Parigi, Theatre-Italien: il musicista bergamasco presenta alla prestigiosa piazza parigina “Marino Faliero”, un’opera dai chiari connotati politici.
Esiste un confine tra pubblico e privato?
Come riconoscere la persona oltre il ruolo, oltre la maschera che hanno deciso di indossare?
Domande che spiazzano per l’attualità dei nostri tempi, ma che già Donizetti si poneva, mostrando una grande anima da drammaturgo accanto a quella da compositore. Giochi di potere, intrighi, tradimenti. In una Venezia cupa e nera, i personaggi sono vittima di una società falsa e superficiale. Questa è stata la scelta del regista, Stefanio Ricci, che ha rappresentato la scena come una grande gabbia nella platea del teatro. Per poter sopravvivere, sono costretti a indossare delle maschere, a volte mostruose: nel primo tempo il cast appare in scena con il capo coperto da un elmo a forma di pesce. Spezzano il grigione dell’atmosfera i colori vivaci dei costumi, quasi a mostrare che dietro l’apparenza c’è una persona, unica, ricca di sfumature non omologata alla massa.
L’audacia rimane uno dei tratti distintivi di questa opera, che richiede una grande prova di esecuzioni da parte dei cantanti, motivo per cui è stata poco rappresentata dopo il debutto parigino.
Determinazione e coraggio di tutta la macchina della Fondazione Teatro Donizetti sono stati apprezzati dalla scena nazionale e internazionale. Pur non potendo essere presenti gli inviati a causa delle limitazioni, soprattutto quelli provenienti dall’estero, sono oltre cinquanta le testate che si sono accreditate, tra cui anche il New York Times. Ancora una volta, Bergamo ha dato conferma del fatto che il mondo interno avrà sempre bisogno di arte e bellezza, per le quali vale sempre la pena essere intrepidi e viaggiare in “direzione ostinata e contraria”.
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