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Clavenna, istituto negri

Il virus è più cattivo in Italia che all’estero? “Stime grossolane, molti i dubbi”

Il ricercatore del dipartimento di salute pubblica dell’istituto Mario Negri: “L’indice di letalità misurato con i dati che abbiamo a disposizione è una stima grossolana”

L’Italia è il terzo Paese al mondo per numero di persone morte di cornonavirus ogni 100 casi positivi. Con 4 morti ogni 100 casi positivi dall’inizio della pandemia – 3,8 per la precisione – il nostro Paese registra un tasso di letalità che gli vale la salita sul podio della sconfitta. Fanno peggio solo il Messico, 10 morti ogni 100 casi (10%) e l’Iran, 5 morti ogni 100 (5%).

Il dato emerge dalla graduatoria mondiale elaborata dalla Johns Hopkins University di Baltimora, uno dei centri medici più avanzati e accreditati nel mondo. Con un tasso di letalità del 3,8% l’Italia si posiziona poco sopra il Regno Unito, che ne registra 3,7%, e stacca di molto la Germania con 1,6%, seguita da Francia 2% e Spagna 2,8%.

Il tasso di letalità spaventa perché racconta quanto il virus sia aggressivo. All’interno della comunità scientifica però più voci suggeriscono di prendere questo dato con le dovute cautele. Tra queste, l’Istituto Mario Negri.

Ne abbiamo parlato con Andrea Clavenna, ricercatore del dipartimento di salute pubblica al Negri di Milano.

“L’indice di letalità misurato con i dati che abbiamo a disposizione è una stima grossolana, con alcuni evidenti limiti. Il principale è rappresentato dal denominatore, ovvero la popolazione di positivi accertati al covid19, che per l’Italia è, ufficialmente, di 1 milione 238 mila. Questo numero è certamente sottostimato rispetto a quanti pur avendo contratto il virus sono sfuggiti al conteggio ufficiale poiché non accertati con tampone”.

Ricordiamo, prosegue il dottor Clavenna, che “in Italia, soprattutto nella prima fase dell’epidemia, solo i casi più gravi o gravissimi venivano sottoposti a tampone. Accertare solo i casi più critici significa incorrere in una maggiore possibilità di avere come esito la morte. In altri Paesi europei, tra cui la Germania, la politica di utilizzo del tampone è stata molto diversa, si testavano anche i sintomatici lievi, gli asintomatici e la rete dei contatti dei positivi. Più tamponi si fanno più si alza la popolazione di positivi e cioè il denominatore con cui si calcola l’indice di letalità che, quindi, scende”.

La Germania sino ad oggi ha fatto 25 milioni di test, noi poco più di 18 milioni. È finita qui il discorso fila. Ma allora come spiegare il caso di Francia e Spagna che hanno un numero di tamponi più simile al nostro pur con una letalità più bassa? Il covid19 è più “cattivo” in Italia, almeno fra i grandi Paesi europei?

Molti i dubbi. “Dobbiamo tenere in considerazione altri due elementi: l’anzianità e il livello di salute della popolazione. L’Italia è, tra i Paesi europei, il più vecchio e quello che sta peggio in salute. Da noi i malati cronici, quelli che soffrono di due o più patologie, sono superiori alla media europea. Se uniamo i due fattori, popolazione più anziana e malata, si alza il rischio di avere complicazioni da covid19 e, quindi, di morire. Così è stato in primavera in Italia: età dei contagiati più alta, più morti”.

Andrea clavenna istituto Negri

C’è anche un dato culturale che, secondo Clavenna, spiegherebbe il maggior contagio della popolazione anziana in Italia. “Nel nostro Paese, rispetto al Nord Europa, c’è una relazione più stabile e frequente tra giovani (figli e nipoti) e meno giovani )genitori e nonni). I nostri anziani sono così stati esposti al contagio più di altri”.

Altro tema è l’efficienza del sistema sanitario. “Soprattutto rispetto a Francia e Spagna – spiega il ricercatore – in Italia il sistema ospedaliero è andato in sofferenza, sottoposto ad una pressione insostenibile: ospedali pieni, pochi letti in terapia intensiva, meno personale e più oberato. Tutto ciò ha inciso sull’efficienza del sistema”.

“Per poter avere un’idea più accurata sulla letalità del covid19 avremmo bisogno di dati diversi, a partire dalla popolazione positiva effettiva e non solo registrata, che si può evincere rilevando la presenza di anticorpi al virus, stimando così anche la percentuale di contagiati. E proprio in questa direzione è andato uno studio del Mario Negri di Bergamo sulla sieroprevalenza della popolazione di Bergamo e provincia, che raggiungerebbe il 38,5% di positività agli anticorpi covid19, stimando 420mila contagi sulla provincia contro i 16 mila casi segnalati (al 25 settembre 2020) .

Anche l’Istat è andato in questa direzione: i dati pubblicati lo scorso luglio hanno stimato un numero di contagi sette volte superiore al dato ufficiale, da 1 milione e 200 mila a circa 8 milioni di persone.

Ma è anche una questione di numeratore, ovvero il numero dei morti causati dal covid19. “Altro dato da tenere in considerazione – conclude infatti Clavenna – è la mortalità da covid19”, questione che è esplosa in tutta la sua drammaticità proprio a Bergamo e provincia. “Sempre l’Istat ha certificato nel 2019 una mortalità sei volte superiore alla media dei cinque anni precedenti. Quindi, la mortalità da covid19 è stata certamente sottostimata, soprattutto nella Bergamasca e in Lombardia”.

Un tema complesso, quindi. Che forse potrebbe evitarci un record a cui rinunceremmo volentieri.

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