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“Le avventure di Pinocchio” segnano un 1972 super per la Rai

Alla riuscita del lavoro di Luigi Comencini contribuirono anche le presenze attoriali, da quella di Nino Manfredi nel ruolo di Geppetto, minimale e accomodante, a quello di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, nei rispettivi ruoli del gatto e della volpe

“Questa storia si svolge in Inghilterra l’anno prossimo”. Così cominciava lo sceneggiato “A come Andromeda”, con una frase che apriva ai dubbi, e del resto il dubbio, la rassegnazione, l’atmosfera di rinuncia che si respira nel corso della storia avvolgono lo spettatore per tutte e cinque le puntate dello sceneggiato. Nel 1972 (e siamo alla 22esima puntata) la fantascienza era un genere emergente ed anche la Rai, perennemente in cerca di storie, decise di proporre qualcosa e, andando sul sicuro, acquistò dalla BBC i diritti di una vecchissima produzione: “A For Andromeda”, tratta da un racconto di Fred Hoyle, prolifico scrittore di successo, con l’aiuto dello sceneggiatore-produttore John Elliot.

Alla vigilia dell’inaugurazione di un rivoluzionario telescopio che dovrà scrutare lo spazio, giunge sulla Terra un segnale proveniente dalla costellazione di Andromeda. L’unico scienziato in grado di decifrare il messaggio è il Dottor Fleming, geniale astronomo non molto amato dalle autorità britanniche per via del suo carattere ribelle e insofferente alle regole. Il segnale di Andromeda è in codice binario e Fleming comprende che si tratta delle istruzioni per costruire un supercalcolatore che consentirà alla scienza di fare un clamoroso balzo verso il futuro. Questo l’incipit su cui si snoderà una narrazione piuttosto coinvolgente.

Con Tino Carraro (Professor Ernest Reainhart), Paola Pitagora (Judy Adamson), Nicoletta Rizzi (Dottoressa Flemstad / Andromeda), Luigi Vannucchi (Dottor John Fleming), Mario Piave (Ingegnere Dennis Bridger), Giampiero Albertini (Generale Vandenberg), Gabriella Giacobbe (Dottoressa Madeleine Danway).

Questo sceneggiato ebbe il merito di introdurre nell’immaginario collettivo italiano dell’epoca concetti come la clonazione, e per aver mostrato i primi computer (o calcolatori come venivano chiamati allora); infatti uno dei punti forte della scenografia fu un vero computer fornito dalla Honeywell. La serie andò in onda dal 4 gennaio al primo febbraio. Fu forse il primo esempio di commistione dei generi giallo e sci-fi (science-fiction) o, più semplicemente, si pensò che per lo spettatore l’idea della sola fantascienza sarebbe stata inaccettabile senza un richiamo più forte.

La versione italiana fu realizzata con tecnica mista: gli esterni venivano filmati su pellicola da 16 mm, mentre gli interni erano girati su nastro da 2 pollici, un sistema di registrazione magnetica ormai obsoleto, in quanto ingombrante e deperibile. Altra annotazione riguarda il nome Andromeda, che denomina quello della costellazione boreale a forma di spirale gigante, altrimenti detta, per l’appunto, Galassia di Andromeda, la costellazione più grande in prossimità della nostra Galassia, la Via Lattea.

andromeda (da RaiPlay)

Domenica 6 febbraio va in onda la prima delle due puntate di “Il giudice e il suo boia“, sceneggiato tratto dal romanzo omonimo dello scrittore svizzero Friedrich Durrenmatt. Il tenente di polizia della città di Berna, Schmied, viene trovato ucciso da un colpo di pistola. Il Commissario Barlach è incaricato delle indagini. Non essendo in buone condizioni di salute, per una malattia al fegato, si fa aiutare dal giovane e abile poliziotto Tschanz. I due, attraverso vari indizi, indirizzano i loro primi sospetti su un alto esponente della finanza elvetica… Con: Paolo Stoppa (Commissario Hans Barlach), Ugo Pagliai (Hugo Tschanz), Franco Volpi (Dott. Lucius Lutz), Miranda Campa (Sig.ra Shonler), Gabriella Farinon (Anna Schaffroth), Glauco Mauri (Henri Grauber), Franco Mezzera (Consigl. Von Schwendi). Regia di Daniele D’Anza.

Il sospetto” è anch’esso tratto da un romanzo di Dürrenmatt, pubblicato nel 1953, e può considerarsi il seguito del precedente. Il commissario Hans Bärlach della Polizia di Berna si trova nella sua stanza all’ospedale di Salem (presso Berna) quando s’imbatte in una foto pubblicata sulla rivista Life: essa mostra un chirurgo di nome Nehle nell’atto di operare senza narcosi un ebreo nel campo di concentramento di Stutthof, vicino Danzica. Nonostante il volto del dottor Nehle sia in gran parte coperto dalla mascherina, il dottor Samuel Hungertobel, amico del commissario, crede di riconoscere un suo collega ai tempi dell’Università, di nome Emmenberger, ma allontana subito quest’ipotesi, ricordando che in quel periodo egli si trovava in Cile. Il sospetto che il dottore gli ha insinuato spinge comunque il commissario Bärlach ad indagare sulle possibili relazioni tra Nehle ed Emmenberger, nonostante sia costretto a letto (i medici gli danno un anno di vita) ed il suo incarico come commissario stia per terminare per sopraggiunti limiti d’età.

Lo sceneggiato televisivo, diretto da Daniele D’Anza, e sceneggiato da Diego Fabbri, è suddiviso in due puntate trasmesse dalla RAI sul Programma Nazionale. Uno straordinario Paolo Stoppa, nella parte del commissario Bärlach, si confronta con un altro “signore” del piccolo e grande schermo: Adolfo Celi. Altri interpreti: Mario Carotenuto, Ferruccio De Ceresa, Mila Vannucci e Franco Volpi.

Diego Fabbri autore della riduzione in cinque puntate de “I demoni”, porta alla luce la tormentata religiosità, le intricate maglie spirituali, oltre che sociali e politiche, dell’opera di Dostoevskij. Luigi Vannucchi interpreta la parte del freddo debole sovrano Stavrogin, Glauco Mauri è Verchovenskij, implacabile nella sua voluttà di delitto, Warner Bentivegna è il demone tormentato Kirillov e Luigi La Monica la vittima pentita Satov. Completano il cast: Lilla Brignone, Gianni Santuccio, Paola Quattrini, Angiola Baggi, Marisa Bartoli, Antonio Battistella, Mario Carotenuto, Luigi Diberti, Giulia Lazzarini, Loredana Savelli, Alberto Terrani.

Con questo sceneggiato, e dopo “I fratelli Karamazov” del 1969, l’autore completa i suoi personali studi e riflessioni sull’opera dostoevskiana. Fabbri, infatti, aveva già affermato, riguardo a Dostoevskij , mentre stava lavorando all’adattamento teatrale de I demoni nel 1960, che “egli è il più persuasivo consolatore cristiano della nostra epoca; è colui che ha meglio capito, meglio espresso e meglio rappresentato in favole e in parabole umane il messaggio “evangelico” e il drammaturgo definisce come parametro della grandezza di uno scrittore “l’aspirazione a scrivere un certo libro che, in un modo o nell’altro, possa essere una vita di Cristo” e conferendo così, in questo senso, il primato proprio al romanziere russo cui decide di ispirarsi, intenzionato egli stesso a “rappresentare una vita di Cristo, le singole opere i vari capitoli”. Ciò premesso, si può ben capire come fosse uno degli autori più apprezzati da Ettore Bernabei, mitico direttore generale della RAI, in quanto essi condividevano la stessa pedagogica e cattolica visione di fondo, tanto che anche gli sceneggiati dovevano essere uno strumento di istruzione e diffusione dei valori cristiani (a questo proposito si veda la puntata relativa al 1969).

Prima di commentare “Le avventure di Pinocchio” celebre sceneggiato diretto da Luigi Comencini, occorre accennare alla pregressa attività artistica del regista, che a questo film approdò dopo un lungo lavoro, parte del quale per la televisione, indagando, come nessuno aveva fatto prima sul mondo dell’infanzia. Nel 1970, la RAI mandò in onda un suo lavoro in sei puntate che si chiamava “I bambini e noi”, dove egli, con il suo microfono con il filo, oggi da considerarsi arcaico e la sua macchina da presa andò in giro per le città italiane, ma soprattutto nel meridione d’Italia, a caccia di storie di ragazzi, poco più che bambini, al fine di descrivere le loro condizioni di vita, il lavoro minorile e il loro rapporto con la scuola. Era un esperimento all’epoca, una novità, quella di fare diventare i minori, alcuni dei quali vivevano nel disagio, protagonisti assoluti di sei ore e passa di trasmissione. Così Comencini si fece conoscere al mondo vasto e variegato della televisione, ma da allora il suo sguardo verso l’infanzia fu uno sguardo autoriale e mai paternalistico e fu uno dei registi che meglio seppero interpretare il mondo infantile. Cosa che, in realtà, aveva già fatto in passato (e farà negli anni seguenti), riportando i sentimenti d’amicizia tra un adulto e un bambino in “La finestra sul Luna Park”, del 1957 e la solitudine di un orfano benestante in cerca d’affetto con “Incompreso”, del 1966. Seguiranno poi, gli smarrimenti preadolescenziali del figlio di una coppia di ribelli sessantottini, ma oggi separati, in “Voltati Eugenio” del 1980, le speranze di un ragazzo meridionale con “Un ragazzo di Calabria” del 1987, infine, chiudendo anche la sua carriera di regista, con un “Marcellino pane vino” del 1991, storia classica e rifacimento del precedente film del 1955.

In mezzo a tutto questo gran lavoro sull’infanzia, intervallato da altri film nella sua lunga carriera, ci sta “Le avventure di Pinocchio” che divenne con gli anni un classico televisivo che ancora oggi si ricorda con piacere, restando sicuramente la riduzione più famosa dell’ancora più famoso romanzo di Carlo Collodi (La prima metà apparve originariamente a puntate tra il 1881 e il 1882, pubblicata come “La storia di un burattino”, poi completata nel libro per ragazzi uscito a Firenze nel febbraio 1883).

La storia, con alcune varianti del tutto insignificanti o quasi, è quella del romanzo collodiano. Pinocchio è un classico racconto di crescita, in cui l’egoismo infantile si lega alla naturale sfrontatezza e ad una ribellione nei confronti di ogni ordine costituito, sia esso famiglia, scuola, potere e qualsiasi altro venga in mente. Il racconto che vede al centro il burattino che diventa ragazzino è quindi un racconto di depurazione, di crescita e di miglioramento. Un percorso difficile in cui il superamento progressivo delle prove o il suo non superamento diventano altrettante fasi di presa di coscienza. Pinocchio è un racconto morale sulla devianza sociopatica, ma anche un romanzo sul poter avere un’altra possibilità ed è quindi anche un resoconto di possibili errori che si commettono nella vita e sulle loro conseguenze. È anche un romanzo sull’attenzione che va rivolta all’infanzia (mentre i bambini che ci guardano e ci giudicano), e l’avere scritto il racconto e girato il film è già prova di questa attenzione. Collodi, come Comencini, vuole bene al suo minuscolo protagonista e come in un racconto tra il biblico, l’epico e il picaresco gli fa attraversare molte prove: come Ulisse, si trasformerà in animale, non in maiale, ma in asino, come Giobbe finirà nella pancia della balena, come Alice incontrerà animali parlanti dotati di una certa cattiveria e come ogni bambino cercherà sua madre che vive sotto le spoglie amorose e protettive di una fata che coprirà le sue malefatte e dall’altra parte il padre, il poverissimo Geppetto che sembra essere, con questo nome il padre putativo di questo burattino, così insolente, credulone e sfaticato, ma in fondo dotato di una bontà che scoprirà tutta insieme e tutta intera alla fine del suo lungo peregrinare.

pinocchio

Comencini ci mette tutto questo e anche altro e a rivederlo, a distanza di molti anni, non ha perso lo smalto originario; sarà per la sua ambientazione privata da ogni coordinata temporale o forse per l’eternità dei personaggi e dei temi che affronta, ma il film coglie ancora nel segno riuscendo ad emozionare come all’epoca della sua uscita.

Alla riuscita del film contribuirono anche le presenze attoriali, da quella di Nino Manfredi nel ruolo di Geppetto, minimale e accomodante, a quello di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, nei rispettivi ruoli del gatto e della volpe che sanno caricare i loro personaggi di quella furberia tipica della campagna italiana, tanto da diventare due mariuoli da strapazzo e alla bellezza popolare di Gina Lollobrigida, qui nella sua maturità, composta e perfetta nel ruolo della fata. Altri interpreti furono Lionel Stander che interpretava Mangiafoco, Ugo D’Alessio nei panni di mastro Ciliegia, Vittorio De Sica, in un cameo nella parte del giudice e, naturalmente, il bravissimo Andrea Balestri nel ruolo del protagonista. Inoltre, proprio in ragione di quanto si diceva prima a proposito della pregressa attività televisiva dell’autore, il ruolo di Lucignolo venne affidato a Domenico Santoro, un ragazzo napoletano che Comencini ebbe a conoscere proprio in occasione di “I bambini e noi”.

Per il film il pittore Oscar Tirelli realizzò tre diversi burattini di legno: uno statico; uno meccanico (utilizzato per le scene in movimento, oggi conservato negli archivi della San Paolo Film di Milano) più una testa senza occhi per le scene del movimento degli occhi (conservata nel Teatro Prati di Roma); e infine uno acquatico per le scene in acqua, costituito da pezzi impermeabili conservati negli archivi Cinepat di Roma.

La sceneggiatura fu dello stesso Comencini in collaborazione con Suso Cecchi d’Amico, ma l’idea nacque già nel lontano 1963 quando, caduti i diritti d’autore sull’opera di Collodi nel 1940, cominciarono a scrivere una nuova sceneggiatura a quattro mani, ma poi rinunciarono sapendo dell’intenzione di Federico Fellini di realizzare un film sull’omonima storia (ma mai realizzato). A sostenere la tenerezza del magico realismo dello sceneggiato, ci pensa la meravigliosa colonna sonora di Fiorenzo Carpi, con quella musica fine e popolare, che mescola il tono crepuscolare e il guizzo saltellante, l’ingenuità e la saggezza, l’alto e il basso. Credo non vi sia bambino, tra quelli che all’epoca hanno ascoltato quelle musiche, che nel risentirle non provi ancora un’emozione.
“Pinocchio” fu girato tra il Lazio e l’Umbria, principalmente nelle province di Viterbo, Terni e Roma e venne realizzato a colori, nonostante all’epoca la Rai trasmettesse ancora in bianco e nero (le trasmissioni a colori regolari della Rai inizieranno solo cinque anni dopo, il 1º febbraio del 1977). Fu trasmesso sul Programma Nazionale dall’8 aprile, suddiviso in cinque puntate, per una durata totale di 280 minuti; fu poi possibile vederlo in originale quando fu replicato, sempre in cinque puntate, in occasione del decennale della pellicola nel 1982 sempre sulla Rai1.

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