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Cinema

La recensione

Il ritorno di “Borat”: fotografia spietata dell’America conservatrice

A distanza di 14 anni dal primo film, il comico Sasha Baron Cohen torna a vestire i panni del giornalista kazako Borat Sagdiyev per portare a termine una missione di politica internazionale negli Stati Uniti nel bel mezzo di una pandemia mondiale

Titolo: Borat – consegna di portentosa bustarella a regime americano per beneficio di fu gloriosa nazione di Kazakistan

Regia: Jason Woliner

Durata: 96’

Interpreti: Sacha Baron Cohen, Maria Bakalova

Valutazione: **

Programmazione: Amazon Prime Video

In un mondo in cui il Kazakistan è divenuto lo zimbello di tutti a causa del primo film dello sciocco giornalista Borat (Sacha Baron Cohen), il presidente dello Stato est europeo incaricherà questi di portare un dono al vicepresidente degli Stati Uniti Michael Pence. Il regalo in questione è Johnny la scimmia, acclamato politico del Kazakistan ed amatissima porno star, e lo scopo è ovviamente quello di entrare nelle grazie del colosso occidentale così da divenire una nazione rispettata e temuta in tutto il globo. Cacciato di casa e dal suo villaggio quando si viene a sapere che tornerà in America, Borat si ripresenta quindi negli States, ma una volta arrivato scopre con orrore che il povero animale da dare in dono è stato mangiato da sua figlia Tutar (Maria Bakalova) che ha deciso di seguirlo a tradimento per coronare il suo sogno di sposare un ricco anziano che possa renderla felice. Questo però complica non poco i piani di Borat che in caso di fallimento verrebbe giustiziato non appena rimesso piede in patria. L’obiettivo per non morire diventa quindi chiaro: donare Tutar a Pence per completare la missione.

Borat 2”, che per esteso sarebbe “Borat – consegna di portentosa bustarella a regime americano per beneficio di fu gloriosa nazione di Kazakistan”, è un film comico che, ricalcando le orme della prima pellicola, riutilizza lo stile del “mockumentary” e cioè del finto documentario con tanto di medesimi moduli stilistici e narrativi. Per tutto il film infatti Sasha Baron Cohen sarà seguito da una telecamera in ogni sua folle peripezia, partendo dall’introdursi in un ballo per liceali fino all’interruzione, realmente accaduta, di un discorso del vicepresidente Pence con un Borat travestito da Trump e con la figlia Tutar in spalla per dargliela in omaggio.

Se poi a questo si aggiunge come un’intera parte del film si svolga tra la casa di due redneck retrogradi e sostenitori dell’ormai ex presidente repubblicano ed un convegno in cui molti manifestanti armati fino si denti non trovano niente di meglio da fare che inneggiare cori contro Obama e contro il medico Anthony Fauci, è presto chiaro come l’intento del film, in modo nemmeno troppo celato, sia quello di indirizzare il voto del popolo americano screditando Trump e i suoi elettori.

Se però nel primo film temi come razzismo, omofobia ed intolleranze di ogni genere venivano trattati con ironia pungente e battute taglienti, in questa pellicola Cohen esagera e si limita a sparare a zero su qualsiasi cosa apprezzi o sostenga Trump. Il troppo stroppia diceva qualcuno e mai come in questo film sembra che il detto sia rispettato: i dialoghi sono sempre arguti ed intelligenti, ma se questi vengono riproposti nella stessa salsa e con la medesima finalità per più di 95’ è chiaro come tale atteggiamento possa portare lo spettatore ad annoiarsi per una ripetitività che sul finale raggiunge davvero livelli critici.

Se ciò che cercate è un film leggero dalle battute sagaci e fulminanti “Borat 2” è sicuramente ciò che fa per voi, ma se foste in cerca un ulteriore livello di profondità fidatevi: riguardate il primo.

Battuta migliore: “Michael Pennis, ti ho portato la ragazza!”

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