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L'analisi ascom

Smart working: lo usa il 43,1% delle imprese, ma resta inadatto per commercio e turismo

Oltre il 67% delle aziende lo valuta efficace per il buon andamento dell’impresa. Il direttore di Ascom, Oscar Fusini: “Resta però inadatto per commercio e turismo e ha svuotato i centri urbani”

Con il ritorno delle restrizioni a contrasto della pandemia e gli incentivi al lavoro da remoto, torna d’attualità il tema dello smart working.

L’Osservatorio Congiunturale sulle imprese del terziario della provincia di Bergamo condotto da Format Research per Ascom Confcommercio Bergamo, traccia il quadro del ricorso al lavoro agile nelle imprese del terziario bergamasco. Tra le principali evidenze, emerge che quasi la metà delle imprese ha introdotto un’esperienza di smart working nel 2020.
Il 43,1% ha adottato o adotterà lo smart working nel corso dell’anno.

La crescita è stata esponenziale a seguito del primo lockdown e degli incentivi al lavoro da remoto. Prima della pandemia erano solo il 3,9% le imprese ad adottare il lavoro agile, con un boom del 1.005%. La crescita è continuata anche dopo la primavera, quando la percentuale era del 37%.

In quest’ultimo mese c’è stato un ulteriore balzo del 16,5%.

Delle imprese che hanno fatto ricorso allo smart working, la metà, pari al 22,3% del totale, non proseguirà al termine dell’emergenza sanitaria. Le imprese che invece hanno dichiarato che continueranno a impiegare questa tipologia di lavoro saranno il 20,9%.

Tra le imprese che concederanno lo smart working, solamente il 22,9% cioè un’impresa su quattro, lo concederà a tutti o almeno a gran parte dei dipendenti, mentre il 36,1% lo concederà in rotazione e il 41% lo riserverà a poche persone e solo per pochi giorni la settimana.

Quanto al giudizio sullo smart working è molto positivo per il 25,3% delle imprese che lo adotta, in linea con il dato della primavera, mentre è abbastanza buono per il 42% degli utilizzatori (con una percentuale complessiva di soddisfazione del 67,3%), con una crescita del 4% rispetto al dato primaverile (quando lo era per il 38%).

Lo smart working nel terziario risulta in generale adatto per il settore dei servizi e meno per il commercio e il turismo, salvo per le aziende di medie e grandi dimensioni.

“Lo smart working è stato apprezzato perché ha consentito alle imprese di non interrompere il lavoro a seguito delle chiusure e ha consentito ai lavoratori di gestire i figli durante la chiusura delle scuole – commenta il direttore Ascom Oscar Fusini -. Tuttavia, il lavoro agile continua a non essere compatibile per molti settori produttivi tra cui commercio e ristorazione. Infatti nonostante i ripetuti blocchi delle attività del terziario il 56,9% non vi ha fatto ricorso”.

Non mancano anche effetti negativi sulla vitalità dei centri urbani: “Lo smart working svuota le città e impoverisce il commercio tradizionale e la ristorazione – continua Fusini -. Con la fine della pandemia il sistema tornerà ad un equilibrio, più sostenibile per tutti. In particolare, potrà continuare ad essere concesso laddove sia funzionale e assicuri produttività del lavoro.  Verosimilmente continuerà a essere impiegato per tutti gli incarichi che non comportino contatti con la clientela e in cui il lavoro sia effettivamente misurabile”.

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