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L'intervista

Covid, Fagiuoli: “A Bergamo molto lontani dai dati di marzo: ecco perché”

Stefano Fagiuoli, direttore del dipartimento di medicina all'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ci offre un parere sulla situazione attuale e differenze tra Bergamo e la Lombardia

“I prossimi 10-15 giorni saranno decisivi per capire come si evolverà la seconda ondata”. Così il dottor Stefano Fagiuoli, direttore del dipartimento di medicina all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, si esprime in merito al proseguimento dell’epidemia da Coronavirus.

Ora come ora la situazione del capoluogo orobico è diversa dal resto della Lombardia e di molte altre città italiane anche se non bisogna abbassare la guardia: lo abbiamo intervistato per saperne di più.

Come sta andando l’emergenza Covid a Bergamo e in Lombardia?

In questo momento tra la situazione di Bergamo e della Lombardia in generale ci sono sensibili differenze, a cominciare dal numero di pazienti. La pressione sulle strutture sanitarie nell’area di Milano, Varese e Monza è certamente più impegnativa e significativa rispetto a quella che si sta riscontrando all’ospedale di Bergamo e nella provincia bergamasca. Le possibili spiegazioni sono svariate: la più ovvia a cui bisogna pensare – e speriamo che non sia quella vera – è che ci sia uno sfasamento di un paio di settimane rispetto all’ondata che ha colpito le altre zone e quindi anche noi potremmo vedere un incremento dei pazienti analogo. Oltre a non essere una buona notizia, può darsi che non avvenga perchè possono entrare in gioco altre possibili spiegazioni.

Quali?

L’importante esposizione che si è verificata nella prima ondata, in qualche modo, potrebbe aver creato una sorta di protezione rispetto al virus. L’ultimo lavoro realizzato dall’istituto Mario Negri arriva a ipotizzare che nel territorio orobico si sia raggiunto un 38-40% di copertura, cioè di persone con la sierologia positiva: una grossa fetta della popolazione in queste aree, quindi, sarebbe già stata esposta al virus, sapendo che in alcune zone della Valseriana e della Valbrembana questa percentuale è persino superiore. Potrebbe essere un’eccellente notizia e avere due significati.

Ci spieghi

Il primo è che ci si infetti meno perchè ci sarebbe una sorta di protezione maggiore: se almeno un terzo della popolazione è già protetto, è chiaro che la propagazione del virus trovi spesso dei blocchi. Il secondo significato, che non esclude il primo, invece, è che la severità o l’aggressività con cui il virus tende a colpire le persone può essere mitigata da questa possibile protezione. Questa ipotesi è meno probabile perchè il numero degli infetti, quando si va a cercarli, è in linea con quello delle altre zone: i ricoverati, invece, tendono a essere meno. Ci piacerebbe molto che la copertura anticorpale fosse vera perché  sarebbe un messaggio importante per tutti. E c’è un terzo aspetto che non dobbiamo dimenticare.

Cioè?

In queste zone, sia come operatori sanitari sia come cittadini, abbiamo vissuto l’emergenza Coronavirus direttamente, non attraverso i social e i giornali: quasi nessun bergamasco può dire di non aver avuto un parente o un amico colpito dal virus. Nei mesi scorsi spostandosi in città si notava subito che gli anziani in giro fossero pochi e che in nessun momento si vedeva muoversi la maggior parte delle persone senza dispositivi di protezione e mascherina anche nella normale passeggiata in città e questo sicuramente ha avuto una sua importanza. Mi piacerebbe unire la seconda e la terza spiegazione perchè si aprirebbero ottimi scenari: se nei prossimi 15 giorni la situazione non peggiorasse avremo buone notizie. Come sempre, speriamo le cose migliori ma ci comportiamo come se dovessimo aspettarci il peggio: è quello che è stato fatto nella Bergamasca e mi piacerebbe pensare che con questo atteggiamento arrivino i risultati.

Cosa pensa del nuovo Dpcm? Secondo lei sarebbe necessario un lockdown mirato a Milano oppure alla regione o all’Italia?

Premettendo che, secondo me, i medici non dovrebbero sbilanciarsi dando pareri di questi tipo perchè non hanno la necessaria competenza epidemiologica, mi limito a osservare alcune cose della realtà e poi ognuno trarrà le proprie conclusioni. Una delle attività importanti che ha posto Bergamo all’attenzione per la notevole diffusione della prima ondata è stata la grande concentrazione di attività industriali e di densità di popolazione unita alla logistica e alla tipologia di trasporti. Nel momento in cui si chiude un’area di fatto è come chiudere tutta la logistica di quella zona: credo che sia molto complesso per cui dovrebbero esprimersi epidemiologi ed economisti, mentre i medici dovrebbero continuare a svolgere il loro lavoro. Se tutti facessero così sarebbe un bel messaggio.

Possiamo delineare la differenza a Bergamo tra adesso e marzo?

Dal punto di vista numerico non siamo sommersi da pazienti in gravissime condizioni come a marzo, Nell’ultimo mese si è verificato un incremento ma è stato assolutamente governabile: siamo passati da circa 30-40 a un’ottantina. Oggi la nostra attività in unità intensiva è solo parzialmente dedicata ai pazienti bergamaschi, c’è un discreto numero di persone che abbiamo accolto da altre strutture della regione com’è giusto che sia perchè ognuno deve fare la sua parte indipendentemente da dove arrivi il malato. È una mia posizione, ma mi fa piacere che sia condivisa da tutto l’ospedale che ha dato la sua disponibilità per questa operazione.

Siamo vicini o lontani da marzo?

Siamo ancora molto lontani. Se considera che dopo 15 giorni dall’esplosione dell’onda a marzo avevamo oltre 400 pazienti ricoverati, 80 dei quali in condizioni critiche, oggi i numeri sono clamorosamente più bassi. Per la popolazione il messaggio è che a Bergamo la situazione è diversa ma bisogna comportarsi come se ci fosse un’ondata altrettanto forte per evitare i rischi. Noi operatori, invece, non dobbiamo dare per scontato che sia conclusa così la seconda ondata nella bergamasca: va ricordato, infatti, che quando a Bergamo eravamo sovrastati dal virus, altre zone della regione o d’Italia avevano pochi casi e poi sono state aggredite. Abbiamo ancora 10-15 giorni per capire se questa curva che nella Bergamasca è molto piatta si manterrà tale perchè se fosse così non sarebbe una buona notizia solo per Bergamo ma per tutti.

Dunque la situazione di Bergamo può essere indicativa per l’evolversi di quella nazionale?

Se sarà vero l’assunto che non cresceremo e la curva resterà piatta, vuol dire che chi è stato colpito in modo molto pesante la prima volta lo è meno la seconda. L’onda che sta colpendo le altre zone, però, a livello numerico è persino peggio di quella di marzo. Cerchiamo e troviamo più positivi ma più alto è il numero dei positivi e maggiore è il numero di chi ha contratto la malattia e di chi l’avrà in forma grave. La differenza tra oggi e marzo è che allora si facevano i tamponi solo a chi era ricoverato e quindi il tampone positivo equivaleva ad avere la malattia, mentre oggi si manifesta in un bassissimo numero di persone, ma i ricoverati, i decessi e le unità intensive sono in incremento specialmente nella regione e in Italia.

In questo contesto Bergamo sta abbastanza bene?

Si, siamo consci di questo ma stiamo guardando le cose non pensando che andrà tutto bene e fregandocene ma comportandoci come se dovessimo prepararci al peggio. Senza fare drammi, bisogna mantenere lo sguardo attento e non abbassare l’attenzione sulle precauzioni. In questi mesi a Bergamo il messaggio è stato talmente recepito che le persone che hanno disatteso questi comportamenti sono state poche.

Per concludere, è vero che le ambulanze sono aumentate o è una nostra impressione?

In città dal punto di vista dei numeri non stanno aumentando come a marzo. Un anno fa sentendo un’ambulanza mi preoccupavo solo quando ero per strada perchè dovevo lasciarla passare, mentre in casa o in qualunque altro ambiente non ci facevo caso. Oggi, invece, l’ascolto e ci penso: credo che l’effetto marzo sia abbastanza vivo: è la mia percezione, non so se è vero per tutti ma ho il sospetto che sia così.

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