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Pensilina 9

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Insegnare è come andare in scena a teatro: la “prima” è fondamentale

La similitudine con il teatro non è casuale: la dinamica che si viene a creare in un’aula scolastica tra docenti e discenti è spesso simile a quella che c’è tra attori e pubblico.

Marco P. è un docente di Bergamo che ottiene finalmente la cattedra in un paese del lago d’Iseo. Inizia un cambiamento radicale della propria vita che da oggi racconterà per Bergamonews per conoscere il mondo della scuola da un altro punto di vista. 

Le puntate precedenti:

“Ho avuto la cattedra: la mia avventura di docente sul lago”

La “chiamata” nella Scuola di Stato mantiene un’aura magica e fatale

 

È martedì 21 settembre: le scuole sede di seggio, come la mia, sono chiuse per lo spoglio delle schede e per lo smantellamento dei seggi elettorali. Io mi preparo all’esordio: l’indomani alle 7,55 la campanella suonerà e io mi ritroverò davanti ai miei nuovi allievi. Come in tutti gli esordi, desiderio e timore si avvicendano dentro di me e generano quel misto di angoscia ed eccitazione che ben conoscono gli attori prima dell’apertura del sipario.

La similitudine con il teatro non è casuale: la dinamica che si viene a creare in un’aula scolastica tra docenti e discenti è spesso simile a quella che c’è tra attori e pubblico. Da un lato c’è qualcuno che studia una parte e a volte improvvisa, dall’altra c’è un gruppo di persone, talora addormentate, talora molto esigenti, desiderose di ascoltare o più spesso di non essere coinvolte o addirittura chiamate sul palco (cioè alla lavagna). Molti sono in trepidante attesa che “lo spettacolo” finisca al più presto; del resto un insegnante non è poi così spassoso e non è nemmeno così semplice “andare in scena” una o più volte alla settimana davanti allo stesso pubblico ed essere sempre accattivanti.

Ma la prima è “la prima!” ed è molto importante partire con il piede giusto: iniziare male con una classe il primo giorno può comportare un grande sforzo per recuperare successivamente la fiducia e l’attenzione e gli adolescenti sono talvolta impietosi e senza peli sulla lingua (com’è giusto che sia a quell’età!).

Per la mia “prima” nella scuola sul lago decido di portarmi avanti, così, per non rischiare intoppi o ritardi con il traffico, decido di andare a dormire da un amico che abita a Endine Gaiano. Prendo il pullman vicino a casa sotto una pioggia battente e raggiungo così la Stazione delle Autolinee: Pensilina 9, naturalmente…! È quasi ora di cena e attorno a me ci sono quasi soltanto giovani di origine extracomunitaria e qualche clochard che comincia a predisporre il suo giaciglio per la notte con coperte, cartoni e carrelli della spesa.

Fumo una sigaretta, rispondo a qualche messaggio sul telefono e attendo pazientemente “la corriera”, come si diceva una volta. In anni ed anni di insegnamento ho elaborato una teoria sui pullman delle gite. In quella strana scatola di metallo con le ruote enormi, un po’ vintage se vogliamo, ma anche affascinante, ci si dispone in maniera non casuale. Nei posti in fondo fanno a gara per sedersi i più facinorosi, quelli che durante la gita intoneranno i cori da stadio, i professori di solito stanno davanti, vicino al malcapitato autista e subito dietro ai docenti si siedono due diverse tipologie di ragazzi: quelli che soffrono di mal d’auto e quelli che vogliono ascoltare i discorsi dei professori e, se possibile, intervenire cercando magari anche di darsi un tono. Talvolta le due categorie coincidono! Non è di certo un caso che tra i facinorosi non ci sia praticamente nessuno che soffre di mal d’auto… Nel mezzo ci stanno gli indecisi: quelli che non vogliono fare troppo casino, ma che, allo stesso tempo, non vogliono nemmeno ascoltare i prof. Sostanzialmente sul pullman la disposizione è simile a quella di una classe: nelle ultime file i casinisti, davanti i secchioni e, nelle file intermedie, gli indecisi.

Io, memore del mio passato da casinista, mi dispongo nell’ultima fila del pullman attorniato da una serie di giovanotti di varie origini: asiatiche, africane o sudamericane… Sono un po’ rumorosi, naturalmente, si conoscono più o meno tutti, parlano e urlano in diverse lingue e i loro smartphone emettono di continuo vari rumori molesti: audio di storie di Instagram, suonerie varie, vocali di whatsapp nelle lingue più disparate…

Una volta sistemato nell’ultima fila mi accingo a timbrare il mio biglietto, da cittadino coscienzioso, ma mi accorgo che a causa delle regole Covid la timbratrice situata vicino all’autista non è accessibile perché separata dal resto del pullman da una catenella di plastica rossa e bianca che taglia il corridoio tra le due file di poltrone. Torno indietro e chiedo ad uno dei giovanotti, miei compagni di viaggio, come posso fare. Si crea tutt’ad un tratto un silenzio incuriosito: tutti si domandano perché questo signore italiano di mezza età, oggettivamente un “corpo estraneo” su quel pullman a quell’ora, si rivolga ad uno di loro. Il ragazzo che mi risponde, di origine indiana suppongo, mi spiega molto gentilmente (mentre altri ascoltano sghignazzando) che non si può timbrare e che la regola, non scritta naturalmente, è la seguente: ognuno si tiene il suo biglietto a portata di mano insieme ad una penna. Se il controllore sale si deve scrivere al volo la data e l’orario della tratta che vale come una timbratura, se il controllore non sale… e qui partono le risate di tutto il gruppo dei facinorosi! Cerco di fare la faccia seria, quella che uso anche quando sono in cattedra, e gli chiedo: “Ma sei sicuro che non rischio di prendere una multa?!”. Lui si fa tutt’ad un tratto serio e mi rassicura come a dire: “Tranquillo bro’, ti garantisco che non corri alcun pericolo”. Mi sento accolto ed integrato e così posso togliermi giacca e zaino e cominciare il mio viaggio verso il lago sotto la pioggia.

Lascio immaginare al lettore se in me abbia prevalso l’indole da onesto cittadino che scrive, a prescindere, sul biglietto ora e tratta con la biro o quella del facinoroso che si siede nelle ultime file del “torpedone”…

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