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Con gli anni Settanta cambia la tv e cambia la Rai: il punto

Con la riforma della RAI del 1975 e il passaggio del servizio pubblico dal controllo del governo a quello parlamentare, si avvierà quel processo poi ribattezzato "Lottizzazione", ovvero la spartizione dei canali radiotelevisivi della RAI su base elettorale. Così come vennero regolamentate le trasmissioni via cavo, favorendo la nascita di TV private locali

Prima di addentrarci, come di consueto, nell’analisi e soprattutto nel ricordo degli sceneggiati della televisione italiana del 1971, giunti alla ventesima puntata, voglio porre l’attenzione su come si era sviluppata la RAI all’inizio del nuovo decennio e quali erano le sue linee guida, anche in riferimento al tema delle nostre puntate. Lo ritengo utile perché la Storia aiuta sempre a capire l’evoluzione della società in cui viviamo, ed è quindi molto importante poiché dà un’idea di cosa siamo e da dove veniamo. È come una bussola che ci permette di stare al mondo in una certa direzione, senza saremmo disorientati e, probabilmente, non riusciremo mai veramente a capire perché accadono certi eventi. Analogamente, conoscere anche le vicende della RAI, che ai più ricorda solo un mero intrattenimento o semplice (e necessario, certo) veicolo di informazione, aiuta a capire meglio il concetto sopra espresso.

Si sono utilizzati i dati del 1971, in quanto si tratta di uno degli ultimi anni in cui l’ente televisivo di Stato terrà fede alla suo mission, vale a dire contemplare un numero adeguato di ore di trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate all’educazione, all’informazione, alla formazione, alla promozione culturale, con particolare riguardo alla valorizzazione delle opere teatrali, cinematografiche, televisive (anche in lingua originale) e musicali, riconosciute di alto livello artistico o maggiormente innovative. Inoltre, attraverso la lettura dei dati, conosceremo alcuni dati statici molto interessanti, che evidenziano quanto sia cresciuta la diffusione del mezzo televisivo.

Da sottolineare, sempre a proposito di cambiamenti, che pochi anni dopo, con la riforma della RAI del 1975 e il passaggio del servizio pubblico dal controllo del governo a quello parlamentare, si avvierà quel processo poi ribattezzato genericamente “Lottizzazione” (termine coniato nel 1974 da Alberto Ronchey), ovvero la spartizione dei canali radiotelevisivi della RAI su base elettorale. Così come vennero regolamentate le trasmissioni via cavo, favorendo quindi la nascita di TV private locali, introducendo di fatto sul mercato soggetti che non avevano le stesse capacità produttive dell’Ente Pubblico e che acquisteranno all’estero le serie televisive, almeno inizialmente. E così finì del tutto un certo modo di fare televisione.

I dati sono tratti dal Conto Consuntivo dell’Esercizio Finanziario 1971 della RAI Radiotelevisione italiana.

“Oggi 25 milioni di italiani sono raggiunti quotidianamente dalle trasmissioni televisive e 16 milioni seguono i programmi radiofonici. Le persone che regolarmente vedono la televisione o ascoltano la radio sono dunque molte di più degli 8 milioni che si recano al cinema almeno una volta alla settimana, dei 12 milioni che ogni giorno hanno occasione di leggere un quotidiano, dei 15 milioni che ogni settimana leggono un periodico.

Quasi tutta la popolazione del Paese è in grado ormai di ricevere le trasmissioni radiofoniche sulle reti nazionali, che vengono ascoltate per una durata media di un’ora al giorno. La rete del programma nazionale TV, che all’inizio del servizio televisivo regolare nel 1951 serviva appena il 36 % della popolazione italiana, arriva attualmente a coprire circa il 98,3 %. La rete del secondo programma TV, che alla sua entrata in funzione il 1° novembre 1961 copriva il 52% della popolazione, assicura oggi la ricezione a oltre il 91 %. La durata media giornaliera dell’ascolto televisivo è pari a circa due ore.

Attualmente agisce attraverso i Centri di produzione di Roma, Milano, Napoli, Torino e 14 Sedi regionali. Gli studi televisivi, in numero di 8 all’inizio del servizio, sono oggi 29, di cui 5 per il colore; quelli radiofonici, 80 nel 1951, sono saliti a 125 nel 1971. È, questo, un rilevante patrimonio tecnico che la RAI ha costituito continuamente incrementato, mantenuto in efficienza e posto al servizio della comunità.

Le ore globali di trasmissione televisiva sono salite, tra il 1954 e il 1971, da 1.497a 5.274. Questo totale dell’ultimo esercizio si è ripartito in 4.547 ore di trasmissioni sulle due reti nazionali, 182 di programmi locali in lingua italiana e 545 di programmi in lingua tedesca per le minoranze dell’Alto Adige. La durata complessiva delle nostre trasmissioni radiofoniche, che nel 1954 era di 28.509 ore, nel 1971 ha raggiunto le 45.814 ore, suddivise in 17.676 ore di programmi sulle tre reti nazionali, 16.850 ore di programmi locali e 11.288 ore di programmi per l’estero. Al volume di emissione sopra esposto corrisponde un ascolto che è continuamente cresciuto e ha progressivamente mutato la sua composizione sociale. Alla fine del 1954 si contavano 88.000 abbonati alla televisione, e tra coloro che non possedevano il televisore era molto diffuso (per oltre il 90 %) l’ascolto in gruppo, nelle famiglie di amici o nei locali pubblici. L’audience dei normali programmi serali oscillava tra le 500.000 e il milione di unità. Attualmente abbiamo superato i 10 milioni di abbonamenti soltanto una piccola quota dell’ascolto serale avviene fuori di casa. Si può contare su un pubblico medio di circa 20 milioni di telespettatori nelle trasmissioni di prima serata, con punte che superano i 27 milioni in occasione di programmi di grande richiamo.

rai

Nel 1959 la televisione era soprattutto intrattenimento. Ancora nel 1961 i programmi informativi e culturali costituivano appena il 19 % delle trasmissioni in onda tra le 21 e le 23. È con l’apertura del secondo canale che la televisione italiana si è avviata verso la maturità: quando, abbandonate le ipotesi di caratterizzazioni particolari per l’uno o l’altro dei canali, intrattenimento e educazione si presentano su ciascuna delle reti, offrendo all’ascoltatore una fondamentale possibilità di scelta. Mentre la gran massa del pubblico continua a rivolgersi alla televisione per riceverne una occasione di svago, ha cominciato a manifestarsi un diffuso interesse verso le nuove formule dell’informazione, della divulgazione culturale e dello spettacolo di qualità. Il filo di questo discorso non si è mai allentato. E infatti, oggi, i programmi informativi e cultura li rappresentano oltre il 50% della programmazione serale ed il 67,5 % dell’intera programmazione. Ogni giorno, alle 20.30, una media di 14 milioni di persone segue il telegiornale; l’edizione del rotocalco televisivo è seguita da 11,9 milioni di persone; le grandi inchieste di divulgazione culturale hanno un ascolto di quasi 7 milioni di persone, mentre 5,5milioni ne raccolgono le rubriche scientifiche; Tribuna politica e Tribuna sindacale raggiungono rispettivamente 7,7 e 7,4 milioni di persone. Infine, i programmi di educazione per gli adulti hanno un seguito costante di 1,7 milioni di persone. All’interno poi della programmazione cosiddetta di intrattenimento hanno preso risalto le proposte culturalmente qualificate. Così il teatro di prosa raccoglie all’appuntamento settimanale una platea di 7 milioni di persone; l’opera lirica incontra il favore di circa 4 milioni di spettatori; l’appuntamento con la letteratura, attraverso il grande romanzo sceneggiato, raduna 16 milioni di ascoltatori; e infine non è raro il caso che opere di grandi autori del cinema raggiungano elevate punte di ascolto.

La televisione non è, in Italia, uno strumento del quale si accetta in modo passivo la mediazione, ma è soprattutto uno stimolo per un incontro critico con la realtà. Non è dunque un luogo comune affermare che, di fronte alla carenza degli strumenti tradizionali di conoscenza e d’informazione, la televisione ha fatto scoprire, appunto per la sua diffusione, realtà nuove, ambienti, abitudini e valori spesso ignorati. Questa funzione si è rivelata sempre più importante, dati i rapidissimi mutamenti, non solo in campo tecnologico ma anche nei modi di vita delle popolazioni, che esigono una costante apertura, una permanente abitudine a ricevere nuovi contenuti e nuovi insegnamenti, e a seguire indirizzi in continuo rinnovamento.

Quest’azione di diffusione della cultura, di unificazione delle forme culturali e linguistiche, di sostanziale educazione del gusto, è stata possibile nella misura in cui la RAI ha rifiutato per sé il ruolo egemone di produttrice e distributrice di cultura, sollecitando al contrario tutte le collaborazioni, le convenzioni, i rapporti, gli incontri che potessero arricchire la comunicazione radiotelevisiva e, insieme, non compromettere, anzi sostenere difendere, la presenza e la vitalità di tutti gli altri veicoli dell’informazione, dello spettacolo, della divulgazione culturale.

L’azione della RAI, che si è brevemente delineata, ha dunque accompagnato l’evoluzione del nostro Paese partecipando ad essa, incidendo su di essa, stimolando la ricerca dei contenuti più validi, favorendo la maturazione civile e democratica degli italiani. Quest’azione è stata continua e ha di volta in volta adeguato metodi e forme espressive, in sintonia con le esigenze presenti nel corpo sociale.

Nel settore dello spettacolo si è fatto luce un nutrito arco di produzioni drammatiche in senso ampio, create appositamente per la televisione secondo il metro di una specificità modernamente intesa. Sono stati presentati sceneggiati, da studio o filmati, lavori originali, opere teatrali di rilievo, speciali di divulgazione storica e sociale. Ad essi si sono affiancati film e telefilm d’acquisto, i quali ultimi hanno ormai un posto marginale nella programmazione.

E volgendo l’attenzione al settore dello spettacolo, va anzitutto notato come la programmazione della drammatica televisiva si sia assestata nell’ultimo esercizio lungo linee parallelamente dirette, secondo i criteri di una originalità globalmente intesa, a valorizzare il patrimonio letterario e teatrale e a portare avanti la ricerca di sempre nuove espressioni. Sotto questo profilo, anzitutto la riduzione sceneggiata di opere edite ha presentato soluzioni modernamente televisive nella consueta gamma di alternative. Tra gli sceneggiati realizzati nei nostri studi hanno radunato ampie platee (dai 14 ai 20 milioni di spettatori). Per gli stessi risalta, come produzione di maggior rilievo culturale, la divulgazione storica e la problematica sociale e civile, che hanno costituito come di consueto i filoni principali della produzione dei programmi speciali, nel cui ambito si è inoltre estesa la ricerca di nuovi moduli di spettacolo”.

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