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La pediatra

“I bambini hanno diritto a scuola e sport: ciò che perdono oggi non lo riavranno più”

Sara Pulcini, pediatra di famiglia a Casirate e Misano Gera d’Adda, mamma di Riccardo e Alessandro, 7 e 4 anni, condivide una riflessione che, pur partendo dalla necessità di tutelare la salute pubblica anche con misure restrittive sia indispensabile rimettere in primo piano i bambini e il loro diritto a un sano sviluppo psico-fisico

Sara Pulcini, pediatra di famiglia a Casirate e Misano Gera d’Adda, mamma di Riccardo e Alessandro, 7 e 4 anni, condivide una riflessione che, pur partendo dalla necessità di tutelare la salute pubblica anche con misure restrittive sia indispensabile rimettere in primo piano i bambini e il loro diritto a un sano sviluppo psico-fisico.

Dottoressa Pulcini, come stanno i nostri bambini dopo i primi mesi di scuola?

Dai dati che abbiamo – non solo quindi sulla base della mia esperienza personale – in ambito pediatrico e cioè per i bambini da 0 a 14 anni (fino a 16 per situazioni di cronicità) la situazione non desta particolari preoccupazioni ed è attualmente ben gestita. Con l’inizio delle scuole qualche positività in più c’è stata, soprattutto nella zona della bassa bergamasca, ma in generale la situazione pare sotto controllo. Nei bambini sani i sintomi da covid19 si mantengono molto sfumati, lievi. L’istituzione dei punti tampone rapidi, con accesso diretto ed esito in 24 ore ha fatto certamente la differenza: per contenere il contagio è necessario individuare il virus con la massima tempestività, isolarlo, gestirlo e tracciare i contatti senza perderne nessuno. Se in classe c’è un positivo, i compagni – classificati come contatti stetti – vengono posti da Ats in quarantena con l’obbligo di tampone negativo prima di rientrare in comunità. Questo processo sta funzionando, anche se, è confortante dirlo, la maggior parte dei compagni testati a seguito di un caso positivo sono risultati negativi.

Questo è un messaggio positivo ma non certo un invito ad abbassare la guardia.

Certamente. Con l’inizio delle scuole siamo entrati in una fase più critica rispetto a quest’estate: più spostamenti, più occasioni di socialità, più contatti. Ma rispetto ai primi tempi dell’emergenza possiamo contare su un’organizzazione che sta finalmente funzionando. I punti tampone per gli studenti (docenti e non docenti) capillari sulla provincia – Bergamo, Ponte S. Pietro, Martinengo, Treviglio, Dalmine, San Giovanni Bianco, Seriate e Lovere (qui sito di ATS con il prospetto) – , hanno fatto la differenza. Questa modalità organizzativa per la diagnosi del covid19 ha lasciato gli ambulatori pediatrici sul territorio “covid free”, ambienti puliti e sicuri in cui continuare a svolgere, in sicurezza per tutti, la nostra attività con i bambini: le visite programmate di crescita, la somministrazione delle cure indispensabili per i pazienti cronici, la cura delle tante malattie tipiche dei bambini, dalle esantematiche alle moltissime forme batteriche e virali che ne compromettono la salute.

Non ci si ammala solo di Covid…

Eh no, è indispensabile che medici e pediatri, così come le strutture ospedaliere continuino a garantire la cura e la salute di tutti.

Come si stanno comportando i genitori?

Sono preoccupati, com’è giusto che sia. All’inizio di settembre, con la ripresa delle attività scolastiche, è stato difficile per tutti: famiglie, pediatri, scuole di ogni ordine e grado. Le direttive sono arrivate sotto data rispetto al suono della campanella e non così chiare. Diciamo che a settembre la situazione era molto fluida…. C’è voluto un mese di assestamento per tutti. I primi tempi il mio telefono squillava di continuo: tutti volevano rassicurazioni su quando e come presentarsi a scuola in presenza di sintomi anche lievi ma tipici da covid19: febbricola, tosse, mal di gola, raffreddore, congiuntivite. Noi avevamo indicazioni molto stringenti. E in più, ripeto, regnava il caos tampone. Ora è diverso.

La tempestività della diagnosi deve rassicurare le famiglie, la scuola e la collettività giusto?

Direi di sì. La tempestività del “tampone scuola” e la relativa diagnosi limitano senza dubbio i contagi, favorendo anche un reale tracciamento. Nei bambini e nei ragazzini – la fascia d’età che va dal pediatra – questo ha senz’altro limitato la diffusione della pandemia.

Tutti si augurano soprattutto che ci sia un medico al bisogno…

Noi pediatri del territorio ci siamo sempre stati. Anche per noi – oltre che per i medici ospedalieri che si vedevano arrivare numeri impressionanti di pazienti in sofferenza – è stato difficile destreggiarci tra le richieste dei pazienti, le loro necessità e le indicazioni che ci impedivano di visitare. Non avevano protezioni se non quelle che ognuno riusciva a reperire per conto suo. Ora la situazione è diversa. I dispositivi di protezione ci sono, linee guida più chiare anche. Noi continuiamo ad essere in prima linea. I pediatri di famiglia così come i medici di base sono il primo presidio della salute sul territorio. Per questa ragione dovremmo essere al centro del sistema, nell’interesse di tutti. Quest’anno molti pediatri di famiglia hanno dato anche la disponibilità a vaccinare nei propri ambulatori tutti i bambini – non solo i cronici, come era in passato – nella fascia d’età 2-5 anni. Si tratta di un vaccino antinfluenzale in spray nasale. Il vaccino aiuterà a contenere i casi di influenza in un momento molto delicato come questo.

Dobbiamo fare i conti con il Covid19, una pandemia che sta mettendo in ginocchio il mondo. Detto questo, la tutela della salute pubblica ha permesso il rispetto dei diritti dei bambini?

I bambini sono stati troppo penalizzati dalle restrizioni di contenimento del covid19. Io credo che sarebbe utile una rivalutazione delle disposizioni troppo limitative nei loro confronti. I bambini sono sempre stati gli ultimi ad essere presi in considerazione: non potevano giocare all’aria aperta, uscire di casa nemmeno in cortile, fare movimento etc. Si è data molta più importanza alle attività degli adulti piuttosto che a quelle dei bambini. In parte comprensibile, in parte no. “Piccoli si nasce, grandi si diventa”: se per gli adulti uno o due anni di vita in “stand by” non fanno una grande differenza, sullo sviluppo psico-fisico di un bambino la fanno, eccome. Ogni decisione che riguarda i bambini dovrebbe essere presa con grandissima sensibilità.

Le ultime decisioni che riguardano lo sport, per esempio.

Esatto. Sospendere di punto in bianco lo sport di base in squadra, non solo le partite ma anche gli allenamenti è stata una decisione avventata. Da pediatra oltre che da mamma posso dire che questa decisione è stata particolarmente infelice ed eccessiva. Mio figlio maggiore è un piccolo rugbista. La società sportiva, il Rugby Bergamo, ha fatto il massimo per garantire una ripresa dell’attività sportiva in tutta sicurezza, pur nelle limitazioni che escludono il contatto. I bambini stavano all’aria aperta, con gli amici, socializzavano. Oggi dobbiamo tenere presente che molti figli sono unici: uscire di casa e andare a fare sport è un’occasione irrinunciabile di benessere, crescita e socialità. Lo sport aiuta il fisco e influenza positivamente il carattere, è una parte integrante del processo di crescita. Mi auguro con tutto il cuore che le decisioni prese in ambito sportivo vengano rivalutate mettendo al centro, davvero, il benessere dei nostri bambini.

La scuola in presenza deve continuare? Cosa ne pensa?

La scuola in presenza per apprendimento e, ribadisco, per un corretto sviluppo psico-fisico, è bene che sia l’ultima cosa ad essere fermata. Quello che togliamo ora ai nostri bambini glielo neghiamo per sempre: ogni decisione va presa avendo questo principio ben chiaro in testa.

È vero che con il Covid-19 si riscontra un aumento dei sintomi emotivi nei bambini?

I bambini hanno certamente una capacità adattiva maggiore a quella degli adulti. Adattarsi però non significa non soffrire. Riscontriamo sempre più bambini con sintomi da disagio emotivo: ansia, paure, tic, disturbi del sonno, irrequietezza. Teniamone conto: noi adulti abbiamo questa grande responsabilità.

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