Lo sceneggiato TV “Coralba” fu realizzato, in cinque puntate, dalla RAI in coproduzione con la Germania e con la Francia. Girato in esterni ad Amburgo, andò in onda a colori in Germania nel 1969 e sul Canale 1 di Francia nel 1970. In Italia fu trasmesso in bianco e nero dal 2 gennaio 1970, e fu un grandissimo successo. Tanto che quando nel 1976 la RAI finalmente cominciò a trasmettere a colori, Coralba fu riproposto di domenica in prima serata. Con una media di ascolto di 18 milioni di pubblico a puntata.
Un medico veneziano, Marco Danon, dopo la morte di un bambino suo paziente, si trasferisce ad Amburgo, dove fonda con due soci un’industria farmaceutica, basata sul successo di un nuovo farmaco, “Coralba”. Danon vive felice con la giovane moglie e con la figlia di primo letto, quasi coetanee. Un giorno arriva una lettera: qualcuno vuole del denaro in cambio del silenzio sul suo passato. Lui cede al ricatto e da quel momento una serie di eventi drammatici sconvolge la sua vita, fino a un liberatorio colpo di scena, che lascia senza fiato.
Soggetto: Biagio Proietti. Sceneggiatura: Biagio Proietti, Daniele D’Anza, Belisario Randone. Regia: Daniele D’Anza. Cast: Rossano Brazzi, Valerie Lagrange, Mita Medici, Glauco Mauri, Carlo Hintermann, Venantino Venantini, Germana Paolieri.
Diretto da Sandro Bolchi, lo sceneggiato “Il cappello del prete” è ispirato all’omonimo romanzo di Emilio De Marchi del 1888, considerato uno tra i primi veri romanzi polizieschi in lingua italiana. Protagonista è Luigi Vannucchi nel ruolo del barone Carlo Coriolano di Santafusca. Del cast fanno parte anche Mariano Rigillo, Franco Sportelli, Guido Alberti, Achille Millo, Bruno Cirino, Giacomo Furia, Angela Luce.
Un aristocratico napoletano, il barone Santafusca (Vannucchi), mandato in rovina da un prete usuraio, Don Cirillo (Sportelli), lo uccide e arriva poi alla follia, consegnandosi alla giustizia nonostante nessuno sospetti di lui. Dopo “I fratelli Karamazov”, Bolchi affronta dunque temi che potrebbero ancora dirsi dostoevskiani: il fatale precipitare verso il delitto e il rimorso che porta alla follia. Ma la cornice è ben diversa, è una Napoli ottocentesca e vociante, la cui complessità sociale è segnata da vistosi contrasti, inoltre, come disse lo stesso regista, facendo parlare i personaggi in dialetto tutto acquista una coloritura, una verosimiglianza, un contorno che altrove mancherebbero.
Dal 6 febbraio, sul Secondo, vanno in ondale due puntate di “Papà Goriot”, scritto, diretto e interpretato da Tino Buazzelli. Tratto dal celebre romanzo di Balzac (1834) facente parte delle “Scene della vita privata” de “La Commedia umana”. Il romanzo è dedicato allo zoologo francese Etienne Geoffroy Saint-Hilaire ed è considerato uno dei capolavori del realismo. Esso costituisce un punto di svolta nella costruzione dell’opera madre di Balzac, in cui è contenuto. Nello sceneggiato è ben rappresentato uno spaccato della società parigina a metà dell’Ottocento: nella povera pensione di Madame Vauquer (Gabriella Giacobbe) vivono Eugene de Rastignac (Carlo Simoni), uno studente squattrinato ma volenteroso, Vautrin (Paolo Ferrari), un uomo misterioso che poi si scoprirà essere un forzato evaso e il vecchio Goriot, che ha vissuto unicamente per l’amore fanatico per le sue due figlie. Le ansie dolorose e la decadenza di Goriot sono rese con grande partecipazione da un Buazzelli che sente di vivere un’esperienza televisiva unica.
Che fine ha fatto la signora Giulia, moglie del rispettabile avvocato Esengrini, scomparsa dalla cittadina di M. un giovedì di maggio del 1955? E perché proprio di giovedì, il giorno così speciale in cui, tutte le settimane da tre anni, prende il treno per recarsi a trovare la figlia in collegio a Milano? Rispondere a queste domande è il compito del commissario Sciancalepre, che si trova a indagare su quella che tutti in paese considerano una fuga d’amore. Frugando tra le ombre del parco di villa Esengrini, però il poliziotto inizia a sospettare che sia accaduto qualcosa di ben peggiore di un tradimento… Questa è il plot de “I giovedì della signora Giulia”, costruito attorno a degli stereotipi della detection classica come la villa tenebrosa degli Esengrini, vero fulcro della storia televisiva e letteraria. Il soggetto è dello scrittore Piero Chiara, in uno dei rari suoi impegni di scrittura televisiva, la sceneggiatura è di Paolo Nuzzi (anche regista insieme a Massimo Scaglione), Ottavio Jemma e Marco Zavattini. Interpreti: Claudio Gora, Tom Ponzi, Martine Brochard, Francesco Di Federico, Helene Remy, Gianfranco Barra, Umberto Ceriani, Louis Velle, Gianni Mantesi, Andrea Petricca.
Il clamoroso successo di “Giocando a golf, una mattina“, e di “Melissa” con i loro 15 milioni di spettatori di media, ma con punte di oltre venti milioni, aprì la strada a quello che fu il momento d’oro del rapporto tra Francis Durbridge e la Rai, e dalle sue opere saranno tratti così altri sceneggiati di successo, fra cui “Un certo Harry Brent“, che fu il primo giallo di Durbridge ad essere girato negli interni nei nuovi studi di Napoli, mentre per gli esterni tutta la troupe si trasferì, come era ormai abitudine, sui luoghi reali della storia, e cioè nel villaggio di Sevenoaks, a Londra ed a Richmond.
L’esordio avvenne ancora di domenica ed ancora sul Nazionale, e nuovamente con la formula bisettimanale, andando in onda per sei puntate (ma sarebbe stata l’ultima volta) ogni domenica e martedì alle 21,05 dal 1° novembre 1970, e concludendosi, dopo tre settimane intensissime, il martedì 17 dello stesso mese. Ormai il successo dei gialli di Durbridge sembrava inarrestabile: il gradimento sfondò il muro già altissimo del 82%, toccando quota 83, mentre la media di ascolto si attestò a quasi diciannove milioni di spettatori. Contrariamente a ciò che era accaduto sotto la gestione di Daniele D’Anza, questa volta non fu il regista stesso ad adattare la traduzione della solita puntualissima Franca Cancogni, ma un giovane sceneggiatore con già all’attivo un giallo tv di grande successo, “Coralba“, Biagio Proietti, che venne incaricato di intervenire sul copione di Durbridge per trasformare i sei episodi originali di mezz’ora in altrettanti episodi di durata doppia, allungando le scene, moltiplicando i dialoghi, approfondendo le psicologie dei personaggi.
Un flemmatico londinese di nome Harry Brent è coinvolto, suo malgrado, nell’omicidio di una giovane donna, Barbara Smith. La Smith era stata appena arrestata per l’omicidio di Sam Fielding, un ricco industriale di Sevenoaks, una piccola cittadina del Kent, ed era stata poi avvelenata in carcere. Prima di morire aveva fatto il nome del suo assassino, Harry Brent, che nega ogni coinvolgimento. Le indagini vengono affidate all’ispettore Alan Milton che si trova presto invischiato in una sinistra vicenda piena di depistaggi, cadaveri e personaggi misteriosi. Su tutti spicca però sempre il nome di quell’innocuo proprietario di un agenzia di viaggio, il nome di un certo Harry Brent. A interpretare questo coinvolgente intreccio abbiamo: Alberto Lupo (Harry Brent), Ferruccio De Ceresa (Peter Stone), Carlo Hintermann (Albert Bates), Enzo Garinei (Sergente Roy Philips), Claudia Giannotti (Susan Bates), Roberto Herlitzka (Ispettore Alan Milton).
“Le cinque giornate di Milano”. Trasmesso in cinque puntate come le famose giornate, non ne costituisce la rappresentazione cronologica, e quindi ogni trasmissione non corrisponderà ad una “giornata”. La prima, infatti, rievocherà gli antefatti della rivolta e l’atmosfera che precede i fatti (La vigilia). La seconda descriverà la notte fra il 17e il 18 marzo quando vennero prese le prime decisioni e lo scoppio dell’insurrezione (La sommossa). La terza riguarderà la giornata del 19 marzo, l’intervento di Cattaneo le esitazioni di Casati e l’invito a Carlo Alberto (La guerriglia). La quarta sarà concentrata sulla minaccia di Radetzky, dissuaso dai consoli stranieri di bombardare Milano, il 20 marzo, e sulla polemica se accettare o no la tregua proposta dal maresciallo austriaco (La rappresaglia). Ed infine la quinta si concluderà con la vittoria e con i protagonisti che narreranno gli episodi più significativi dell’ultima e risolutiva fase e con il preannuncio dell’intervento di Carlo Alberto. (La vittoria).
La regia è di Leandro Castellani, che ne cura anche la sceneggiatura con Luigi Lunari. Attori e personaggi: Ugo Pagliai (Hubner), Arnoldo Foà (Radetzky), Franco Graziosi (Casati), Silvano Tranquilli (Correnti), Raoul Grassilli (Cattaneo), Franca Nuti (Amelia), Fosco Giachetti (Metternich), Luciano Virgilio (Cernuschi), Romano Malaspina (Luciano Manara), Pietro Biondi (Clerici), Gigi Ballista, Carlo Cattaneo, Stefano Satta Flores. Da rilevare, inoltre, soprattutto per i fans di Ugo Pagliai e degli sceneggiati ‘gotici’, che questo sceneggiato è molto interessante per almeno un paio di ragioni; innanzitutto per lui si tratta del primo ruolo da protagonista (il barone austriaco Joseph Alexander von Hübner) in uno sceneggiato a puntate; e poi che in questo personaggio già si intravvedono i tratti che diverranno tipici dell’eroe più volte incarnato sul piccolo schermo dall’attore toscano: un eroe chiaroscurale, spesso forestiero, raffinato e intellettuale, avvolto da un’aura romantica e vagamente misteriosa, non di rado tormentato e alle prese con situazioni più grandi di lui.
Era l’anno 1911 quando apparve su di una rivista inglese un racconto dello scrittore britannico Gilbert Keith Chesterton che, successivamente, fu raccolto ne “L’innocenza di Padre Brown”; fu la prima apparizione di una lunga, fortunata e felice serie. Dirà Chesterton nella sua autobiografia che la prima caratteristica di Padre Brown è di non avere caratteristiche; la sua importanza, di non apparire importante; e che la sua qualità cospicua quella di non essere cospicuo, e che il suo ordinarissimo aspetto esterno voleva essere in contrasto con la sua attenzione e la sua intelligenza insospettate. Tutto ciò fu ben interpretato da Renato Rascel nello sceneggiato “I racconti di padre Brown”.
Sembra che Padre Brown sia esistito veramente. Si chiamava Padre John O’ Connor, era un prete cattolico romano nato in una famiglia originaria della verde Irlanda, parroco di San Cuthberto, nello Yorkshire, esattamente a Keighley. Viene descritto come un uomo piccolo, con una faccia dolce e un’espressione modesta, ma maliziosa. Chesterton asserisce di essere stato colpito dal tatto e dallo spirito col quale sapeva associarsi ai suoi compagni molto “Yorkshire” e molto protestanti.
Trasmesse in sei puntate dal 29 dicembre 1970 al 2 febbraio 1971, le avventure del prete-detective incontrarono un grande successo di pubblico (una puntata totalizzò circa 21 milioni di spettatori), grazie soprattutto alle qualità dei due attori protagonisti: Renato Rascel, perfetto (anche fisicamente) nel ruolo di padre Brown e Arnoldo Foà, nei panni di Flambeau, l’inafferrabile ladro convertito e riportato sulla retta via da padre Brown fino a diventarne il fidato e validissimo compagno di avventure. Con la regia di Vittorio Cottafavi.
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